Di tomte, di nisse, di scrittrici svedesi e porridge natalizio

[di Letizia Soriano]

Illustrazioni di Andreas Flinch e Jenny Nyström

Come ogni anno, l’arrivo dell’Avvento, porta con sé personaggi diversi in base alla tradizione di ciascun Paese. Io sono molto legata alla figura del tomte che da diversi anni mi accompagna nei giorni che precedono il Natale. Il tomte è uno spirito, un guardiano, uno gnomo, un folletto. Si dice che i Forest Tomte non siano più alti di tre mele, abbiano una folta barba e un cappello rosso. Tipicamente raffigurati come piccoli anziani, vestono nel tradizionale abito contadino, costituito da un pullover con una cintura in vita e pantaloni con le calze alle ginocchia (l’abito maschile comune nella Scandinavia rurale nel diciassettesimo secolo).  Questo folletto è stato a lungo un simbolo del solstizio d'inverno e della celebrazione del Natale, anche se le sue connotazioni si sono evolute nel corso degli anni.

Illustrazione di Jenny Nyström

Originariamente si riteneva che il guardiano della fattoria (“tomt”, appezzamento di terra) fosse lo spirito ancestrale del primo agricoltore che aveva lavorato quel terreno e che continuava ad abitare all’interno della stalla o del fienile. Alcuni tomtar potevano abitare anche dentro mulini, barche o semplicemente nelle abitazioni, ma in luoghi nascosti come camini o soffitte. La sua funzione principale era quella di occuparsi della fattoria e del bestiame, punire le negligenze nei lavori domestici (era un grande amante dell’ordine e della pulizia) e svegliare i padroni di casa quando si presentavano intrusi o gli animali erano in pericolo. Il tomte era un ottimo aiutante: tagliava il fieno, setacciava la farina, portava la paglia e si occupava degli animali. Era particolarmente legato ai cavalli dei quali amava intrecciare la criniera, un’antica usanza che serviva per proteggerli da malattie e sventure. Le trecce di svariate forme non dovevano assolutamente essere sciolte altrimenti la protezione sarebbe venuta meno. Se il tomte si accorgeva che il suo volere non era stato rispettato (o se notava che gli animali venivano trattati in modo crudele), scatenava la sua ira con dispetti e malefatte ai danni del padrone: rovesciava oggetti o li rompeva, legava insieme le code delle mucche nella stalla e, in alcuni casi, abbandonava addirittura la fattoria.

Illustrazione di Jenny Nyström

 Svolgeva le sue mansioni durante la notte dopo essersi accertato che nessuno stesse lavorando o disturbando la quiete domestica. Naturalmente il padrone del podere per continuare a ottenere i suoi favori, doveva trattarlo con grande rispetto. Un modo per assicurarsi la sua benevolenza e per ringraziarlo del lavoro svolto era quello di lasciargli un po’ di cibo ogni sera e, alla Vigilia di Natale, una scodella di porridge detto tomtegröt (letteralmente “porridge del tomte”) preparato con latte e avena, o latte e riso. Si dice che lo richiedesse con una generosa cucchiaiata di zucchero, una noce di burro e della cannella e che, se non accontentato, poteva adirarsi moltissimo. La leggenda narra di una serva che nascose scherzosamente il burro sul fondo della ciotola a lui destinata: il tomte si infuriò talmente tanto che uccise la mucca migliore della famiglia. Ma dopo aver finito il pasto e aver realizzato che il burro era sul fondo, andò a rubare la mucca di un vicino per riparare al suo errore.

Illustrazione di Jenny Nyström

Spesso questo personaggio viene chiamato nisse poiché nisse è il soprannome norvegese di Nils (Nikolas). È probabile che il nome si riferisca a una delle creature più familiari del folklore scandinavo, scoperta nel corso del diciannovesimo secolo da un gruppo di folkloristi svedesi che si dedicò alla raccolta di storie popolari provenienti dalle zone rurali. Sebbene la Svezia fosse un paese fortemente cristianizzato, era diffusa la credenza in creature sovrannaturali che abitavano boschi, laghi, montagne e fattorie (i cosiddetti naturväsen) alla quale si accompagnava un’ampia varietà di tradizioni riguardanti il modo di interagire con essi. Questi esseri però vivevano fuori dalle comunità umane; se ci si avvicinava alle abitazioni, le creature che si incontravano diventavano più amichevoli e meno pericolose.

Illustrazione di Jenny Nyström

Secondo la tradizione quella maggiormente disposta nei confronti dell’uomo era il proprio il nissetomte. Mentre molti credevano che averne uno nella propria abitazione fosse una specie di benedizione, i primi credenti associavano il personaggio a falsi dèi e all'adorazione del diavolo. Il tomte era considerato pagano; oltre a indicare la pigrizia del fattore che a lui destinava la maggior parte dei lavori, rappresentava anche una potenziale minaccia per i contadini vicini poiché era solito rubare. Oggi le sue radici pagane si sono praticamente estinte: Tommy Kuusela, dell'Istituto svedese per la lingua e il folklore, sostiene che il suo nome e la sua immagine siano cambiati nel corso del tempo (la sua figura oggi viene per lo più associata a san Nicola) per mano di artisti e autori.

Cartolina illustrata da Jenny Nyström

Un fattore significativo nella sua evoluzione arriva dall'interpretazione dell'artista Jenny Nyström che lo dipinse per la prima volta a corredo del poema Tomten di Viktor Rydberg (da allora trasformato nella figura amichevole dalla barba bianca e dal cappuccio rosso). La poesia, pubblicata su una rivista svedese nel 1881, racconta di un tomte solitario, l’unico sveglio durante la fredda notte di Natale, intento a meditare sui misteri della vita e della morte:

 

Brillano luminose le stelle

Addormentato è il cortile solitario

Tutti, a mezzanotte, sognano

Chiara è la luna e risplendono i cumuli di neve

Bianco scintillante, su abete e pino

Nessuno tranne il Tomte è sveglio (…)

 

Il componimento di Rydberg divenne presto uno dei più famosi testi natalizi svedesi e, dopo essere apparso nel 1957 sulla rivista per bambini Klumpe Dumpe con le illustrazioni di Harald Wiberg, venne ristampato più e più volte.

Astrid Lindgren nel 1966 legge ai suoi nipoti Annika e Anders

Tuttavia gli editori stranieri consideravano il testo di Rydeberg troppo metafisico e difficilmente traducibile, per cui nel 1960 venne chiesto alla scrittrice Astrid Lindgren, che lavorava come redattrice per la casa editrice Rabén & Sjögren, di scrivere un nuovo testo in prosa ispirandosi alle illustrazioni di Wiberg. Il testo uscì nello stesso anno in Germania dove il libro Tomte Tummetott diventò rapidamente popolare e fu ripubblicato in altre lingue. Come sappiamo in Italia il libro uscì solo nel 2012, anno in cui l’editore tedesco ritrovò nei suoi archivi le scritture originali della Lindgren e decise di riportarle in Svezia, questa volta con le illustrazioni di Kitty Crowther vincitrice, nel 2010, dell’Astrid Lindgren Memorial Award.

Tomte Tummetott illustrato da Kitty Crowther

A Rimini però (e questo lo racconto sottovoce) era già arrivato all’ inizio degli anni Settanta. Al Centro Educativo Italo Svizzero venivano spesso ospitate tirocinanti, maestre e infermiere svizzere grazie ai contatti che Margherita Zoebeli, sua fondatrice, continuava a mantenere con le istituzioni di Zurigo. Una di queste, Elisabetta Dubach, in quegli anni arrivò portando con sé il libro nell’edizione tedesca per raccontarne la storia e mostrarlo ai bambini. Rita Calieri, un’educatrice della Betulla, la struttura residenziale presente all’interno del CEIS per minori in condizione di disagio, volle tradurlo con l’aiuto di una tirocinante d’Oltralpe, così da leggerlo ai ragazzi nel periodo dell’Avvento. Da lì la storia di Tomte Tummettot fece il giro della scuola, e il libro fu fotocopiato e conservato con la sua traduzione italo-svizzera a tratti imprecisa ma molto affettuosa, fino ad arrivare nelle mie mani una quindicina di anni fa. Da allora questo folletto dispettoso ritorna ogni anno anche nel mio Avvento: certe sere mi sembra di sentirlo brontolare in cucina, davanti alle pentole da lavare e mentre faccio finta di dormire, lui lava, asciuga e riordina. La mattina dopo, se sono fortunata, mi fa trovare una tazza capovolta, una treccia in testa e un dolcino di riso.

Illustrazione di Jenny Nyström