[di Beatrice Baruffini]
Qualche anno fa partecipai a un incontro, organizzato dal Teatro delle Briciole dove già lavoravo come formatrice e attrice, con Marco Baliani, uno dei massimi esponenti del teatro di narrazione in Italia, sulla relazione tra narrazione teatrale e infanzia. Rimasi colpita in particolar modo da due considerazioni che tracciarono, allora, un solco profondo nel mio lavoro.
Baliani disse che le bambine e i bambini, almeno fino ai dieci anni, sono dei concentrati di emozioni forti che non sono mai a metà, non hanno sfumature né contemplano mezze misure. Se amano, amano da morire, se odiano, lo fanno a morte, se tristi, lo sono inconsolabilmente, se felici, urlano dalla gioia, ogni volta giurano che non lo sono mai stati così tanto e sono pronti a scommettere che nessuno lo è più di loro. Questo stato egocentrico-emozionale (in parte, nell’accezione di Jean Piaget) tuttavia è destinato a finire, o meglio a mutare, perché crescendo la relazione che hanno con il mondo si organizza diversamente: cambiano non solo i pensieri, le credenze e le strutture cognitive, ma ciò che si trasforma è anche il linguaggio con cui i bambini si esprimono e la selezione che operano su di esso. C’è quindi un momento in cui l’infanzia si mostra nel pieno della propria capacità di esprimersi, un’età dell’oro in cui riesce a raccontarsi e a raccontare il mondo con un punto di vista originale, capace di rimandarci all’inizio, nell’attimo in cui, come esseri umani abbiamo iniziato a sperimentare la terra, la vita, gli altri. E se da una parte essi rappresentano il riflesso di come eravamo, dall’altra scorgiamo ben più forte una visione sul presente che, se ascoltata, captata, còlta, contiene già, senza bisogno di guardare altrove, le suggestioni e gli spunti per osservare da questa prospettiva - la loro - il nostro futuro.
Si dice che il punto di vista dell’infanzia sia per molti aspetti coraggioso e rivoluzionario. Ma questo spesso è il pensiero dell’adulto, che da lontano la osserva, senza trovare il coraggio di abbandonare i costrutti sociali che lo influenzano per mettersi davvero in dialogo con l’infanzia. Perché in fondo, questo coraggio è da trovare insieme, allora sì, diventerebbe prassi, azione concreta, abitudine.
Nel lavoro con i bambini cerco di instaurare così un patto di reciprocità che porti entrambi a perseguire lo stesso obiettivo: raccontare, per interpretare, il mondo. Io sono semplicemente il loro tramite: l’adulto curioso che li osserva e li interroga. Il “come farlo” è il teatro: uno spazio fisico senza inferenze dall’esterno dove avere cura gli uni degli altri, ma anche un linguaggio e insieme di codici per ospitare visioni e alimentare sguardi. Attraverso la finzione teatrale, nel gioco serissimo che è il teatro, gettiamo le basi per creare una relazione solida dove stare a nostro agio.
I dialoghi dell’infanzia nascono dopo qualche anno di ricerca e messa a punto di un metodo teatrale, sostenuto dal Teatro delle Briciole, articolato in tre tappe: la prima di esplorazione e raccolta dei contenuti, per la stesura della drammaturgia; la seconda, di rielaborazione e stesura del testo; la terza, di creazione. Avevamo alle spalle progetti con l’infanzia sulla poesia del novecento, la fotografia di Paul Strand, la pittura di Cesare Zavattini, e su un dizionario composto da parole scelte da loro per definirsi (casa, mostri, nonni, buio, notte, alieni, e così via.). Questa volta però, la scelta dei contenuti del progetto, era di natura tutt’altro che semplice. Le chiamavamo “le grandi parole”, “i grandi temi”, con un punto di vista che scoprimmo essere molto adultocentrico. Per questo scegliemmo di ingannare i bambini, facendoli credere che fossero stati loro a decidere di cosa parlare.
Lì abbiamo inziato a giocare col teatro.
Il primo giorno, li abbiamo accolti in uno spazio vuoto, con un tavolo sul palcoscenico e alcune sedie intorno. Avevamo convocato un’assemblea di «esperti di personaggi astratti straordinari», così c’era scritto sui cartellini segnaposto. Astratto è un aggettivo che decidemmo di usare per introdurli al gioco teatrale e creare quei cortocircuiti interessanti che permettono di svalicare dal vero al finto e viceversa. Noi ascoltavamo e facevamo domande, prendevamo appunti, guidavamo cautamente e rilanciavamo la conversazione. Si faceva fatica a tenerli zitti. Dopo pochi minuti avevano già nominato gli Dei, la Morte e Madre Natura. I nostri tre temi, che ci spaventavano come adulti, per loro avevano lo stesso peso di qualsiasi altra parola o contenuto. Il fatto che li avessimo scelti come esperti fu il sigillo di un patto che resse fino alla fine.
Così andammo avanti.
Riccardo, uno di loro, ci confessò un segreto: erano anni che pregava Zeus e lo faceva, di nascosto, anche quando andava a messa con sua madre. Suo cugino gli aveva suggerito di cancellare dal foglio delle preghiere la parola Dio e sostituirla con la parola Zeus. Tanto, ci disse, un Dio vale l’altro. Questa confessione accese una discussione infuocata che attraversò mitologia, scienza, filosofia, logica e ovviamente religione. Nel fluire del loro ragionamento, senza soluzione di continuità, abbiamo finito col credere a tutto, e poi, più a nulla. Abbiamo sorriso davanti alla razionalità con cui ci hanno spiegato i miracoli di Gesù, ci siamo commosse per la loro struggente non accettazione della morte che però deve esistere, per il bene di tutti. Se no ci sarebbero ancora i nonni dei nonni dei nonni.
I discorsi su Dio si sono intrecciati con i discorsi su Madre Natura. Madre Natura contemplava la Morte, la Morte rimandava alla Vita, la Vita a Dio o a Madre Natura. Vero e finto, finto e vero, queste tre parole sono diventate lo spazio tra realtà e finzione punto di forza del progetto. Senza il teatro non saremmo arrivate a costruire i Dialoghi. Abbiamo raccolto pagine e pagine che sembrano citare inconsapevolmente Savater, Benjamin, ma anche Garcia Marquez, Calvino, Guerra. Riordinammo, tagliammo, spostammo le loro parole, cercando di rispettarne con massima autenticità, i contenuti, le espressioni, i pensieri, gli intrecci. Ne risultarono tre dialoghi indipendenti, ma connessi e necessari, uno all’altro. Il primo è il Dialogo con Dio, il secondo con Madre Natura, il terzo è il Dialogo con la Morte.
Una volta registrati sono diventati un’unica traccia audio. Tra un dialogo e l’altro, cinque diverse versioni di What a wonderful world.
Abbiamo sperimentato diverse modalità di ascolto: collettivo (un’unica fonte sonora e pubblico vicino) o intimo (una fonte sonora per ogni partecipante) fino a scegliere la versione definitiva che ha debuttato l’estate scorsa all’interno dell’Insolito Festival di Parma. Un’installazione di venti sedie sdraio, distanziate una dall’altra, dove poter ascoltare bendati, attraverso lettori Mp3, i Dialoghi dell’infanzia.
Cortile del Guazzatoio nel Palazzo della Pilotta (Parma).
I dialoghi dell'infanzia a Insolito Festival (fotografie di Antonio Mascolo).
Queste voci hanno simbolicamente occupato le piazze, i giardini, alcune strade e parchi della città. Chiedevamo un momento da dedicare all’ascolto e qualcuno, soprattutto passanti che invitavamo lì per lì, ci rispondeva che non aveva tempo e che non erano interessati. Trovammo significativo questo disinteresse. A volte prevaleva la paura di scoprire contenuti troppo forti e sentirsi forse inadeguati, qualche passante ce lo dimostrò con sguardo terrorizzato. Come autrice del progetto avevo contemplato questa possibilità, che per fortuna, riguardò soltanto alcuni. Anzi, è proprio per loro che iniziai questa ricerca. La seconda cosa che Marco Baliani ci disse quel giorno a teatro fu che nessuno ha più tempo da dedicare all’ascolto dell’infanzia che, invece, non vede l’ora di raccontarsi. Il teatro può servire proprio a questo: a ospitare nei propri luoghi, nei propri riti, nei propri discorsi l’infanzia, a darle vita, forma e uno spazio da cui guardare il mondo, e iniziare, forse, mentre noi come pubblico la osserviamo e ascoltiamo, a cambiarlo.
Dialoghi dell’ infanzia on tour
di Beatrice Baruffini
Ideazione e realizzazione suono: Dario Andreoli.
Voci di Sofia Armani, Pietro Braghiroli, Simone Cremonesini, Marta Massironi, Greta Sapio, Anna Grace Veres, Alessandro Zini
collaborazione drammaturgica Agnese Scotti, Ilaria Mancia.
Le bambine e i bambini esperti di personaggi astratti straordinari: Giovanni Alfieri, Enrico Allodi, Luana Ambrosio, Matteo Andaloro, Riccardo Borghesi, Benjamin Bozzini, Gaia Cavellini, Simone Cremonesini, Magdalena Fulvi, Jan Fulvi, Altea Murati, Alessandro Poli, Francesco Poli, Lavinia Ricucci, Maddalena Terzi, Aurora Tirelli, Alessandro Zini.
Una produzione Teatro delle Briciole / Associazione MicroMacro.