[di Giovanna Zoboli]
Recentemente ho scritto qui di un libro illustrato, realizzato su commissione, sul tema del mare e della navigazione, a cui ho collaborato nel 2018. Un altro libro a cui all’inizio di quest’anno ho lavorato, sempre per Calamus che è il nostro studio di comunicazione, è 50+30. 25 kinds of design, commissionato a studio Graph.X da Living Divani per festeggiare cinquant’anni di storia (e trenta di collaborazione con Piero Lissoni come art director), ed edito in occasione del Salone del Mobile 2019. Living ha scelto i 25 pezzi di design più rappresentativi usciti dalla propria produzione in cinquant’anni e intorno a questi Graph.X ha costruito un elegante pop up che si apre con una rapida storia dell’azienda, prosegue organizzando i pezzi più emblematici per decennio, e include una riflessione di Piero Lissoni sul senso della propria direzione artistica.
Quando i testi del libro mi sono stati affidati, mi sono chiesta come procedere. A parte l’introduzione, i testi che dovevo immaginare si riferivano a ciascun pezzo a cui è dedicata una doppia pagina. Il libro fa parte di quei pop up nati sull’esempio di ABC3D, edito da Albin Michel nel 2008, libro che ha fatto storia, realizzato dalla geniale grafica, illustratrice e ingegnera della carta francese Marion Bataille. Il tema del design, naturalmente, ha influito sulle scelte grafiche, con il risultato di proporre al lettore a ogni giro di pagina una sequenza ricca, spettacolare, sorprendente, mirata a raccontare gli oggetti senza mai rappresentarli direttamente, ma evocandoli attraverso forme, colori, materiali, invenzioni.
Il mio compito è stato quello di identificare una forma narrativa, per il testo, altrettanto efficace e brillante. Ho scartato subito l’idea di descrivere i singoli pezzi, che mi pareva, oltre che noioso e troppo tecnico, non coerente con l’esigenza di individuare una forma narrativa più indiretta e più forte. In quel periodo mi capitò, su un social di leggere un post di qualcuno che chiedeva ai suoi follower di riportare gli incipit di romanzo preferiti. Fu interessante leggere le risposte: una lunga lista di incipit, diversissimi l’uno dall’altro per stile, atmosfera, struttura, lessico. Un patchwork di storie al loro esordio. È noto che l’incipt ha un’importanza strategica, fondamentale nella costruzione di un romanzo o di un racconto. Ce ne sono di famosissimi: Gregor Samsa, destandosi un mattino da sogni agitati, si trovò trasformato nel suo letto in un enorme insetto immondo. Oppure: È cosa nota e universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere in cerca di moglie. E ancora: Sull’Atlantico un minimo barometrico avanzava in direzione orientale incontro a un massimo incombente sulla Russia, e non mostrava per il momento alcuna tendenza a schivarlo spostandosi verso nord. Oppure ancora: Nell’albergo c’erano novantasette agenti pubblicitari di New York e tenevano le linee interurbane talmente monopolizzate che la ragazza del 507 dovette attendere la sua chiamata fin quasi alle due e mezzo. O anche: Fu il 15 di giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, sedette per l’ultima volta in mezzo a noi. E: – Natale non sarà Natale senza regali, – brontolò Jo, stesa sul tappeto. E: Quando il signor Hiram B. Otis, ministro degli Stati Uniti, acquistò Canterville Chase, tutti gli dissero che stava commettendo una gran sciocchezza, in quanto il luogo era senza dubbio infestato dagli spiriti. E: "Sì, di certo, se domani farà bel tempo" disse la signora Ramsay. "Ma bisognerà che ti levi al canto del gallo" soggiunse. E: Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. E: Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.
Si potrebbe continuare per pagine e pagine (vi lascio indovinare a che romanzi appartengano queste perle).
Un incipit, lo si capisce da quelli che ho appena riportato, deve essere come un colpo di pistola: mirato, esatto, imperativo. E produrre un suono abbastanza prepotente da attrarre su di sé tutta l’attenzione. Deve essere fulmineo: tanto è necessario perché un lettore avverta l’ingresso nella narrazione come inderogabile. Altrimenti rimane fuori dalla porta a girovagare senza meta.
Leggendo quella sequenza, mi parve di avere la soluzione che stavo cercando. Pensai che sarebbe stato interessante associare a ogni pezzo di design un testo formulato come l’incipit di una narrazione. Questo era possibile perché ogni oggetto, nel libro, è prresentato con un nome proprio – Veruska, Calibano, Benson, Marianne eccetera: un nome che potrebbe benissimo essere quello di un personaggio. Così, convinta dell’idea, scrissi qualcuno degli incipit e proposi l’ipotesi al cliente che la accolse con favore.
Il mio migliore amico si chiama Benson. Ha 48 anni e fa lo chef. Anzi no, non fa: è il re degli chef. Il suo piatto preferito è il tonno tataki. Anche il mio. Ci piace mangiarlo davanti alla nostra serie preferita. Lui sdraiato sul divano; io sdraiato su di lui. Siamo due abitudinari. O meglio, lo eravamo.
Chi mai può dire di conoscere qualcuno? Per esempio, chi può sapere chi sia veramente King? Così conservatore e, insieme, così ribelle. Così affidabile e così imprevedibile. Così riservato e così spavaldo. King, insediato al suo posto, detta legge, in casa. E quando riposa, non vola una mosca. In compenso, quando è sveglio lui, non dorme nessuno.
Nonostante il nome, Vesta non è il tipo angelo del focolare. Per esempio, i colori dei suoi vestiti. Accesi. Vistosi. E il passo, energico, deciso. Quando entra in una stanza, si crea una sospensione. Qualche volta le lampade registrano persino abbassamenti di intensità. E come prende posto: accavallando le gambe con la caviglia sottilissima che esce dagli anfibi.
L'isola è piena di rumori, suoni, amorose melodie. Mi fermo ad ascoltare, poco prima che scenda la notte. Calibano mi vola sulla spalla e, insieme a me, scruta nell'oscurità che cala. Lontanissimo, a sud, si sente rombare un tuono; a nord, la luna si affaccia dietro le alture boscose. E noi, seduti vicini, argentati di luce, aspettiamo.
Avevo otto anni quando a scuola mi soprannominarono Frog. Probabilmente è per la voce, disse mia madre, assertrice convinta della teoria che i bambini debbano crescere nel culto della verità. Quel nome, però, a me piaceva. Sapevo da una vecchia storia di mia nonna che in ogni rana si nasconde un principe. E infatti... Per esempio, so per certo che stasera quella bionda seduta di fianco al pianoforte mi bacerà.
Madre, padre, tre bambini, un Jack Russell ruvido e un coniglio da compagnia: la famiglia Wall si trasferì nella casa accanto alla nostra in una mattina d'autunno. Sembrava gente sensata, gentile. Fu a mezzogiorno, quando sistemarono il divano in mezzo al prato, che ci venne qualche dubbio. Dissero che erano loro cugini: un'orchestra di venti ottoni che suonò per tutto il pomeriggio nel corso del più lungo dejeuner sur l'herbe mai apparecchiato.
Mi sono divertita a immaginare questi incipit, ognuno studiato sulla forma e sullo spirito dell’oggetto, oltre che sulla qualità grafica della pagina che gli è dedicata. Mi sono divertita perché naturalmente scrivere incipit non è affatto semplice. Scriverne 25 di seguito, poi, e scritti in modo che ognuno suoni diverso dagli altri, introducendo a un mondo e a un’atmosfera narrativi a sé, è ancora più complesso. Ma è anche un lavoro che dà molta libertà. È un esercizio di sintesi che deve contenere in nuce tutto ciò che seguirà, ma per una narrazione che, in questo caso, non ha seguito. Diciamo che, quindi, il compito dell’incipt, qui, è indurre il lettore a immaginare da sé il racconto, spinto dalla curiosità prodotta dalla tensione narrativa. Insomma, qualcosa che somiglia molto, nello spirito, a un gioco, qualcosa di simile agli Esercizi di stile di Raymond Queneau. Creare un oggetto o creare un testo, infatti, è anche proprio questo: un esercizio di stile, una variazione su un tema, una palestra creativa rigorosa che mette alla prova gli strumenti espressivi e l'uso che se ne fa, consapevolmente.
Le fotografie di questo post sono di Anna martinucci che ringrazio per la collaborazione.
La chiamavamo Bubble Rock e non certo per la sua avvenenza. Era alta, enorme. Una montagna. E noi, naturalmente, degli spocchiosi liceali privi di cervello. Dieci anni dopo, quando la incontrai in aeroporto, fu lei a riconoscere me. Non ho mai visto nessuno indossare la divisa di pilota in modo più elegante. Nessuno ordinare due margarita con tanta classe. E nessuno invitare un uomo su un divanetto due posti con tanta sfacciataggine.
C'era una volta un re che aveva tre figlie. Un giorno, poiché si stava facendo vecchio, disse loro che prima di morire voleva sistemarle e chiese che mariti desiderassero. La più grande disse di voler un principe d'oro; quella media, uno d'argento, e la più piccola che era sempre di buon umore disse al padre di volerne uno extrasotf: «Così potrò ben riposare ogni volta che sarò stanca.» Le due sorelle, che erano un po' superbe, risero. Ma quella ragazzina aveva l'occhio lungo, altroché, perché l'amore di oro e argento non sa che farsene.
A dieci anni, Bukva divenne aiutante del padre, svuota cantine. La domenica mattina, prestissimo, raggiungevano in auto il capannone fuori città. Le strade erano deserte. In silenzio, camminando fra pile di oggetti dismessi, irriconoscibili, sceglievano i pezzi per il mercato. Fu in mezzo a quella vertiginosa farragine di oggetti che per la prima volta lesse un libro.
L'erba di dicembre crepita sotto le suole della scarpe. Il cielo appena velato si distingue appena dalla linea dell'orizzonte, un po' più scura. Pochi uccelli. Nessuna presenza umana. La superficie del lago, perfettamente circolare, fa pensare alla mano di un matematico. La superficie ghiacciata riflette l'ora, bianchissima.
Sa tutto della casa. Dove c'è più calore, dove il fresco spiffera sotto le porte. Ci sono anfratti in cui le voci si spengono. Altri in cui ogni rumore acquista corpo. Gli piacciono i luoghi alti, infatti si chiama Aero, perché è stato trovato sulla terrazza di un condominio di venti piani, un coso minuscolo, chissà come c'era arrivato. Non disdegna la solitudine che trascorre, immobile come un idolo egizio, sullo scaffale delle letteratura russa, lo sguardo rivolto dentro di sé, in un luogo senza fondo.