Da qualche giorno è in libreria Il disastrosissimo disastro di Harold Snipperpot, il nuovo attesissimo albo di Beatrice Alemagna. Di Harold non vi diremo nulla, per lasciarvi il piacere di scoprire chi sia fra le pagine. Vi diremo solo che porta gli occhiali, abita in una grande casa con due genitori un po’ strani e passerà, grazie a uno straordinario organizzatore di feste, il compleanno più bestiale che si possa immaginare, letteralmente.
Abbiamo rivolto a Beatrice alcune domande a partire da questo libro per capire come lavora ai suoi personaggi, ai suoi progetti, e in particolare cosa significhi per lei disegnare bambini, animali, adulti, ambienti. Insomma, buona lettura.
Harold sembra far parte della grande famiglia dei bambini dei tuoi libri: sghembi, stortignaccoli, un po’ impiastri, buffi, e da un certo punto di vista persino “brutti” (i famosi bambini brutti di Beatrice Alemagna…). Come definiresti l’infanzia? Cosa ti interessa raccontare di questo periodo della vita?
B. A.: Ahahahaha! Quali sono i famosi bambini brutti di Beatrice Alemagna (cit.)? Non ne conosco affatto l'esistenza! I miei bambini sono bellissimi. E non perché sono i miei, ma solo perché si ispirano a tutti i bambini normali: fragili , storti, umani. Oramai credo si sappia: mi piace l'imperfezione, mi ispira, mi interessa. Non parlo solo del disegno, ovviamente, ma davvero, amo sempre più appassionatamente le irregolarità e le dissonanze degli esseri, la loro capacità di accettarsi tra loro e di accettarsi in se stessi (capacità che, d'altronde, non sempre possiedo io stessa). Soprattutto le amo quando penso al mondo e alla sua odiosa necessità di livellamento. L'infanzia è questo: gioire dell'assenza di norme in un luogo in cui tutto è possibile. Lo spazio infinito della scoperta del mondo e della ribellione. La cassa di risonanza di tutte le emozioni più violente. L'infanzia non ha definizioni perché è libertà, e la libertà è proprio impossibile da circoscrivere.
Ogni libro nasce da un’intuizione, una cellula madre che a un certo punto mostra qualcosa di interessante che vale la pena di indagare. Come ti è venuta l’idea è di questo libro?
La cellula madre, nei miei libri, ha sempre radici molto remote. Da piccola sognavo segretamente una festa con gli animali in casa. Un sogno definito da subito come irrealizzabile. La frustrazione è un ottimo motore per la creatività. Penso a tanti altri miei testi. Derivano spesso da desideri impossibili, da sentimenti inafferrabili. Un giorno, ricordo, mi ritrovai a osservare una fotografia in cui apparivano alcuni cani bardati a festa intenti a soffiare sulle candeline di una torta, seduti al tavolo di qualche umano, probabilmente frustrato pure lui. L'idea di una festa con tanti animali e di una casa-zoo (nella speranza, ovviamente, che nessuno sarebbe più venuto a prenderli), mi apparve, allora, per qualche tempo, possibile. I sogni si possono abbandonare, ma la voglia di realizzarli può restare per sempre. In Harold, c'è questo. Il sogno, il cambiamento, la catastrofe meravigliosa: quella che arriva, immonda e terrorizzante, ma poi porta avvenimenti strabilianti.
Una volta che hai messo a fuoco l’idea intorno a cui sviluppare la storia, quali sono i passi fondamentali per arrivare dai primi schizzi alla realizzazione del libro?
Non so indicare un percorso esatto. Io faccio una serie di passi in un senso e poi torno spesso indietro. Ho tutto un balletto intimo e alquanto sconosciuto (ma esaltante) alla mia stessa logica per creare un libro. Prendo tante strade, le esploro, le scarto. Disegno, ricerco. A volte non trovo nulla e mi intestardisco. Altre, mi dico che se non trovo niente, allora è segno che non sono sulla buona strada. Cerco anche di seguire l'istinto. Creare una storia, infatti, non è solo logica. Ci sono coinvolti anche cuore e anima. E pure la musica. Un libro è sempre anche una partitura musicale.
Il corpo umano è il banco di prova del lavoro di ogni illustratore. E fra le figure umane, i bambini sono la prova più difficile. Tu sembri avere un vero genio per la rappresentazione di personaggi infantili. In che modo è possibile risolvere visivamente l’identità, la psicologia di un bambino?
Credo che la risposta si trovi nell'osservazione prolungata e nell'affetto che provo per i bambini. Penso, senza nessuna presunzione, di essere in empatia profonda con i personaggi dei miei libri, perché loro sono sempre i bambini che sono stata, che ho amato e conosciuto. Lo dicono sempre tutti i creatori di libri per bambini: l'aver mantenuto il terrore, i turbamenti, la voglia di ribellione, gli stordimenti, le leggende private e i miti dell'infanzia, è fondamentale per essere onesti e giusti, nel proprio disegno.
Disegnare bambini e disegnare adulti: procedi in modo diverso per dare corpo agli uni e agli altri?
No. I ragionamenti e gli sguardi sono gli stessi. Di base, c'è sempre la conoscenza e l'amore per l'anatomia del corpo umano. Questo detto dal basso della mia lacuna formativa dato che non ho frequentato un’accademia e sono un’autodidatta nel disegno!
Quanto tempo richiede e che tipo di lavoro, la caratterizzazione dei protagonisti dei tuoi libri?
Dipende. Spesso i personaggi arrivano come un'evidenza. Altre volte vanno lontani dalla matita. Bisogna inseguirli e arrabbiarsi. Questo può prendere molto tempo, davvero. Arrabbiature lunghe, faticose, ma, talvolta, proficue.
In questo libro ci sono moltissimi animali. Cosa ti interessa, visivamente, del rappresentare animali e quanto studio ti richiedono?
Sì, non avevo mai disegnato così tanti animali in un solo libro. In realtà, non avevo quasi mai disegnato più di un cane e qualche scimmia, nelle mie storie. E una tartaruga (e un leone! NdR). Noi illustratori ci dividiamo, a mio avviso in due categorie: quelli che sanno disegnare gli animali e quelli che amano disegnare gli umani. Io appartengo più alla seconda. Mi sono sempre appassionata all'antropomorfo, alle sue espressioni e alla sua forma. Gli animali con le loro forme sconosciute mi intimidivano molto. La mia sfida è stata, dunque, questa: raccontare gli animali nel mio linguaggio, senza cadere nell'iperrealismo, ma tentando di restare nel giusto. Ho dovuto studiarli per parecchio tempo.
Le ambientazioni delle storie nei tuoi libri sono veri e propri personaggi, spazi ‘viventi’, dotati di anima. Le case, gli ambienti naturali, le città: in che modo si cattura lo spirito di un luogo?
Ho la fortuna che questo sguardo mi venga da dentro. Forse perché sono figlia di un architetto e ho sempre visto disegnare case, strutture, spazi. Sin da piccola ho visitato i luoghi abitati con la massima curiosità. Ancora oggi, scoprire le case e gli oggetti della gente, soprattutto in paesi a me sconosciuti, mi riempie di meraviglia. Se catturo qualcosa di un luogo, è perché questo luogo fa risuonare qualcosa in me. Mi appartiene, da lontano. E forse qualcosa di me appartiene a quel luogo.
Cosa ti piacerebbe di più che i tuoi lettori provassero, leggendo Il disastrosissimo disastro di Harold Snipperpot?
Possono provare tutto quello che vogliono: credo sia una storia aperta a molte interpretazioni. Ma sarebbe bello che si divertissero quanto me mentre lo scrivevo e disegnavo. Anche solo un decimo.
Il primo schizzo realizzato per Harold Snipperpott.