Alcuni giorni fa, al Maxxidi Roma, sede dell'edizione 2012 di Tribù deilettori (buona l'idea di comunicare ai ragazzi cosasia l'architettura contemporanea, facendola vivere loro in un'occasionecome questa, legata al gioco, al pensiero, all'immaginazione),mi sono imbattuta in un'opera di arte che mi ha molto colpito. Una sorta di gigantesco “bucato”, fattodi centinaia di vestiti di bambini appesi a corde: maglie, magliette,tute, felpe, tutine, maglioncini, camicie, vestitini, giacchette,giubbottini, uno dopo l'altro, a braccia aperte e stese, a darsimani invisibili, esercito di bambini fantasma spavaldamente offertial cielo e al vento di Roma. Ho chiesto a Gianluca Giannelli,inarrestabile organizzatore di Tribù, se l'operafosse stata realizzata in occasione del Festival. La rispostaè che si è trattato solo di una coincidenza: l'installazione Towardstomorrow è stata inaugurata il 14 aprile(in mostra fino al 15 luglio), realizzata dall'artista finlandese Kaarina Kaikkonencon abiti recuperati attraverso un grande progetto educativodi raccolta che ha coinvolto le famiglie delquartiere. L’opera è collegata a un progetto di cuifa parte un'altra grande installazione dell’artista: Are We Still GoingOn?, pensata per la Collezione Maramotti (aReggio Emilia, fino al 28 ottobre).
Osservando questainstallazione, ho riflettuto su come a volte opere d'arte contemporaneacreino un senso di estraneità che porta a guardare dapprima in mododistratto, superficiale, per rivelarsi poi capaci, a poco a poco,di penetrare più a fondo, spaesando, irretendo, portandoa fermare l'attenzione su quello che non capiamo, chiamandoci atrovare un senso che chiede di essere afferrato, ma non si dàfacilmente nella sua complessità, costringendoci ad abbandonareogni schema, per trovare in noi le ragioni profonde di quel chevediamo e ci tocca.
Credo di essere entrata inrelazione con questa opera nel momento in cui ne ho accettato ladifficoltà annidata sotto l'apparente facilità, quando mi sonoimposta di guardarla e riguardarla, certa che l'unico accessofosse lasciarne risuonare liberamente ogni eco e rimando, in unacatena di libere associazioni e riflessioni. Provo a esporne alcune,senza alcuna pretesa di esaurire il significato di un'opera che è,evidentemente, aperto.
Questa installazione mi sembra giochisu concetti opposti, e la sua vitalità, il suo movimento derivanoprecisamente dalla forza di questi contrasti, dal loro offrirsi comecomplessità senza semplificazioni: numero e unicità, interioritàe esteriorità, massa e individualità, insieme e parte, presenza eassenza, passato e presente, prossimità e distanza, ordine e caos,per citarne alcuni. Osservando questa serie infinita di indumenti,capita di fissare l'attenzione su uno di loro in particolare: l'abitoallora smette di essere involucro e diventa il bambino a cui èappartenuto. Si riempie della sua assenza, un'assenza che induce chiosserva a cercare indizi della sua persona. Subentra una sfasaturatemporale, nell'immaginazione: bisognerà immaginare un bambino,il bambino che vestiva quell'abito o quel che ora è diventato, unragazzo, un adulto? Chi è stato quel bambino? In che modo è entratoin quel vestito, lo ha portato? Quando?
Ho bene in mente il modo in cuida bambina vestivo i miei abiti, alcuni odiati, altri prediletti: certoil modo in cui un adulto si veste e percepisce i propri abiti è moltodiverso da questo. Le fiabe dove ci sono abiti o scarpe magiche benedescrivono il modo in cui i bambini indossano le cose. Unagiacca rossa dà coraggio, così come un paio di stivali è in gradodi trascinare all'avventura. Così questa schiera di abiti fluttuantidiventa a tratti un esercito fiabesco, dotato di poteri: non c'èbottone di questi vestiti che non parli della mano che l'ha toccato,manica che non descriva i gesti che ha contenuti, scollo e tasca che nonospitino immagini di volti o oggetti. Dentro infatti vi hanno abitatobambini. Rivelare il mistero del loro essere ed essere nelle cose,che è quello di ogni individuo la cui storia è inenarrabile nellasua complessità, sembra uno degli obiettivi di questa opera. Alladistanza fra bambini e adulti, fra noi e loro, allude anche, credola distanza fisica che l'artista ha interposto fra l'osservatoree l'installazione. Siamo costretti a guardare dal basso ilmanifestarsi dell'infanzia, a cogliere il suo volare alto comesi fa quando si assiste a una migrazione. Crescere è spostarsi,infatti, muoversi in una direzione, orientati dall'istinto e dallanecessità: compiere un'attraversata che, una volta compiuta, siguarda con una sorta di incredulo stupore. C'erano molti pericoli,non lo sapevamo; li abbiamo superati, come abbiamo fatto? Abbiamoavuto molta forza e molto coraggio. Nessuno ce l'aveva detto,e nessuno ce l'ha mai riconosciuto. Dobbiamo farlo noi stessi:e questo significa forse il valore dell'autonomia che offrel'età adulta.
Trapela da questi abitiuna fragilità dei corpi, una ingenuità dei pensieri che fa quasimale: come fanno i bambini, persone che hanno vestiti così piccoli,così buffi, così onesti, a sopravvivere? Davvero è un mistero, eci appare evidente quando vediamo questi abiti tutti insieme: hannouna forza che spegne sul nascere ogni possibile obiezione. Scoprireuna maglietta da calciatore, fra tutti questi abiti, fa divampareall'improvviso la furia che manifestano certi bambini nell'immaginarsicampioni, la spropositata grandezza del sogno che espone costantementel'infanzia all'impietoso essere svergognata dalla realtà. Come si faa sopravvivere al dolore di non esser riconosciuti? In questa marciatrionfale di bambini fantasma sono rappresentate tutte le età:non separate in incomprensibili fasce corrispondenti ad astratticapacità e saperi, giocano invece fra loro come da sempre sanno farei ragazzi, come accade nei libri di Elsa Morante: neonati con bambini,ragazzini con adolescenti, in una libera comunità di pari, una Repubblicadi Pochi Felici, come ci racconta Elio Vittorini in Erica e i suoifratelli. Le tutine dei neonati, disegnanopiccole sagome perfette.
Ci dicono che sono esseriumani ancora completi quelli che le vestono, dotati di braccia, gambee testa. Le età successive imporranno al corpo di frazionarsi inpezzi diversi. L'integrità dell'uomo al suo inizio, alla sua origine,diventa così visibilissima: potenza in atto, dotata di tutto quantoè necessario, ordinatamente e nitidamente disposto. Fanno l'effettodi piccoli démoni, questi neonati-tutina e sembrano essere glidèi tutelari dei bambini, a loro volta protetti dall'intera specieinfantile. Lungo tutto il perimetro dell'installazione, a segnarnei confini, abiti in cui il colore è stato dilavato dalla luce,dall'acqua, dall'uso. Presenze che sembrano indicare infanzie piùlontane nel tempo. Come fossero immagini di ricordi: più che bambini,il ricordo che si ha di essi. Ci segnalano questi confini che hannoil pallore di foto, di immagini sbiadite, che l'infinito presente incui vive l'infanzia è cinto, come una fascia di sicurezza, dallamemoria di chi ne è uscito per sempre. Un cerchio magico in cuisaltare è impossibile come spiega Saint- Exupéry in un passo di Terra degliuomini:
"Di fronte a questodeserto trasfigurato mi tornano in mente i giochi della mia infanzia,il parco cupo e dorato che noi avevamo popolato di dèi, il regnosconfinato che ricavavamo da quel chilometro quadrato mai interamenteconosciuto, mai interamente esplorato. Noi componevamo una civiltàchiusa, in cui i passi avevano un sapore e le cose un significatoche a ogni altra civiltà erano negati. Allorché, diventati uomini,viviamo sotto l’imperio di altre norme, che cosa ne rimane delparco pieno d’ombra dell’infanzia, magico, gelido, rovente,di cui adesso, se mai vi si torna, costeggiamo con una speciedi disperazione, dall’esterno, il muricciolo di pietre grigie,stupefatti di trovare racchiusa in così angusto recinto una provinciache avevamo trasformato in un infinito, e consapevoli del fatto che inquell’infinito non rientreremo mai, perché nel gioco, e non nel parco,bisognerebbe rientrare.”
Se vi capiterà di vederequest'opera, forse vi verranno in mente la stupefazione e il piacereimmensi che si provavano, da piccoli, dopo aver ritagliato la figurinadi un bambino o di una bambina in un foglio di carta piegato in tanteparti, dispiegandolo poi in una fila di bambini che si tengono permano. Una decorazione da niente, all'apparenza. Per un bambino, inrealtà un miracolo grazie al quale uno può diventare, improvvisamente,tanti: tanti, tantissimi bambini.