Il disegno, organo di senso e di conoscenza

[di Gioia Marchegiani]

Quando ero piccola dicevo che da grande avrei voluto avere un vivaio e fare la giardiniera. Amavo andare a comprare le piante stagionali con mio papà. Mi piaceva quel momento iniziale di perlustrazione dei banconi zeppi di fioriture: si faceva tutto il giro e poi si sceglieva cosa prendere. La tradizione prevedeva di solito primule e violette in primavera, e gerani, petunie e fucsie, per l’estate. Sapevo che avrei potuto scegliere una piantina per me, da mettere sul balconcino della mia stanza, lì dove arrivavano le piante un po’ malmesse o qualche esperimento da talea, in attesa di capire cosa farci. È stato quello il luogo in cui ho fatto le prime osservazioni botaniche, uno dei miei passatempi preferiti, avvolta dal profumo della mimosa fiorita in giardino in primavera, e quello dei tigli del viale, in estate. Era la mia stanza di fuori dove nei pomeriggi estivi aspettavo di sentire le prime grida degli amici in cortile per poi raggiungerli e inselvatichirmi tra nascondini dentro cespugli polverosi, arrampicate sul cedro del libano e furti di rose al signore più antipatico del condominio.

Con l’adolescenza il balcone e le sue attività si sono trasformati in rifugio e luogo di riflessioni artistico-poetiche. Finito il gioco della giardiniera, quello che osservavo erano le forme, il ciclo delle stagioni. O un’ape che si era spinta a incontrare il mio crisantemo giallo, pur avendo a disposizione i giardini e gli incolti del quartiere. È lì che ho sperimentato e cominciato a comprendere qualcosa del sollievo dell’uomo nella natura, raccontato dai poeti, filosofi e artisti che studiavo al liceo. Lì ho cominciato a coltivare il mio bosco interiore e i miei sogni, come quello di avere un giardino, appunto.

Trovo interessante riflettere su come la mia scelta di essere illustratrice, i percorsi intrapresi, le esperienze e gli incontri mi abbiano riportato in qualche modo alla dimensione naturalistica, dove mi piace stare. Oggi, quando mi perdo nel dipingere illustrazioni botaniche piene di dettagli o quando lavoro nel mio giardino, come allora entro in un’altra dimensione. Mi accorgo di quante affinità ci siano tra coltivare piante e disegnarle e, soprattutto, come una attività sia funzionale all’altra. Accudire un giardino ti dà la possibilità di osservare passaggi gloriosi o tragici: entrambi richiedono un approfondimento e interventi differenti per perfezionare, mantenere, sostenere l’equilibro naturale tra le parti. Un disegno funziona un po’ allo stesso modo. È un processo che richiede ispirazione ed empatia, in cui si pratica l’osservazione, la meraviglia, la delusione e in cui si deve accogliere l’errore come possibilità di fare meglio.

Continuo a comprare guanti performanti, ma finisco sempre a lavorare a mani nude. Quel contatto è funzionale e fondamentale. Mettere tra noi e l’altro una seppur sottile barriera altera la percezione e la comunicazione. Lo abbiamo sperimentato recentemente con l’uso delle mascherine e dei guanti durante la pandemia. Così avviene con le piante, la terra, l’acqua. Penso alle api, protagoniste del mio ultimo libro, Api, sciami, alveari, alle loro azioni minuscole, rapide e precise, stimolate dalle antenne e dai peli che ricoprono il loro corpo, minuscoli organi di percezione, fondamentali per la loro organizzazione e per monitorare e rispondere alle esigenze proprie e della colonia.

Anche noi siamo dotati di organi di senso incredibili la cui funzione non è legata solo alla sopravvivenza, ma possono essere il passe-partout che permette di penetrare più a fondo l’essenza delle cose e, nello specifico, anche di realizzare un disegno migliore. Ecco perché avere a che fare con una pianta di salvia per me è l’occasione di conoscerne il vigore della fioritura, i sintomi delle malattie, ma anche di apprezzarne la superficie vellutata delle foglie e il suo profumo, esperienze che possono conferire realismo al mio disegno ma, soprattutto, possono raccontare. Cosa? Per esempio, la precisione di un bombo nell’infilarsi nel fiore per succhiarne il nettare. O l’emozione che suscita il suo profumo o il ricordo di quando da bambina ho mangiato una sua foglia.

Considero la matita o il pennello non come un medium, ma come il prolungamento della mia mano, un ulteriore organo di senso, strumento di restituzione, ma anche di conoscenza. Non disegno soltanto per rappresentare, ma per conoscere. Ecco perché sono convinta dell’importanza di far disegnare il più possibile bambine e bambini. Ecco perché, mentre lavoravo alle illustrazioni botaniche di In un seme, ho pensato a chi quelle piante le avrebbe osservate, ricopiate e poi riconosciute nel campo vicino casa.

 

Quella della riconoscibilità è un’altra delle questioni su cui mi soffermo nei miei incontri di pittura en plein air. Che io disegni un’illustrazione botanica iperrealistica o un rapido schizzo, ciò che conta è che il soggetto sia riconoscibile e che funzioni nello spazio. Penso alla lezione di Ellswort Kelly nel suo Plant Drawing, una raccolta di disegni di piante dove la linea essenziale della matita che traccia il profilo delle forme mostra chiaramente come queste siano la risposta della pianta alla ricerca di un equilibrio nello spazio, la sua reazione alla forza di gravità. Dunque la curvatura di uno stelo ha la stessa importanza della venatura, del picciolo, del bordo di una foglia. Ogni elemento racconta il modo in cui una pianta sta nello spazio, anche in relazione a ciò che ha intorno. Ecco ancora qualcosa che ha a che fare con il racconto della storia dell’evoluzione che, a furia di tentativi e strategie, ha dato vita alla natura così come la osserviamo oggi: un complesso tessuto fatto di equilibri delicati che assicurano la sopravvivenza di tutte le specie. Mentre disegno la natura osservo, ascolto e conosco. Questa pratica, ancor più se coltivata da piccoli, oltre a rendere più consapevoli della bellezza e del suo senso, arricchisce la mente.

Come scrive Munari nel suo FantasiaIl prodotto della fantasia, come quello della creatività e della invenzione nasce da relazioni che il pensiero fa con ciò che conosce…la fantasia sarà più o meno fervida se l’individuo avrà più o meno possibilità di fare relazioni.

Penso allora alla Botanica parallela, di Leo Lionni, che con una proprietà del trattato scientifico ottocentesco descrive e illustra vegetali inventati. In questo libro, come in tanti suoi racconti, convergono tutte le sue esperienze di incontro con la natura osservata e disegnata fin da bambino. Oppure penso a Beatrix Potter che con precisione da naturalista disegnava e dipingeva il mondo campestre in cui viveva e gli animali che frequentava e osservava da bambina, poi diventati i protagonisti dei suoi racconti.

Gli acquerelli sono i miei compagni di viaggio e un foglio di carta il luogo dove mettere a dimora la natura e i suoi abitanti. Dagli appunti botanici fino alle più elaborate illustrazioni, dagli sketchbook alle pubblicazioni, è come se andassi coltivando uno spazio verde in cerca di un’armonia compositiva. Oggi, come da bambina sul mio balconcino, innaffio pensieri e concimo visioni insieme a erbe aromatiche. Non aspiro più al vivaio, piuttosto mi avventuro per prati e paesaggi da contemplare, boschi da perlustrare e racconti da illustrare.

Questo articolo è uscito sul numero 5 del semestrale 48, dell'ottobre 2023, da noi pubblicato in esclusiva per le Case dei Topi, rete di librerie fiduciarie creata nel 2021. La rivista si occupa del mondo della cultura rivolta ai ragazzi, ragazze, bambini e bambine, e di chi ne è parte, istituzioni, enti, associazioni, persone. Disegnare la natura è un ciclo di articoli dedicato al tema della rappresentazione del mondo naturale. Questo è il terzo articolo, i precedenti, tutti pubblicati anche su questo blog, sono di Kitty Chrowter e Joanna Concejo. Li trovate qui e qui.