Il disordine dentro una scatola

[di Letizia Soriano]

In una lunga intervista realizzata durante la progettazione delle sue mostre, in occasione dell’ultima BCBF di Bologna, l’autrice Anne Brouillard (Lovanio, 1967) racconta del suo forte legame con la Svezia. Un luogo necessario per consolidare la sua passione nei confronti della letteratura per l’infanzia. Di madre svedese e padre belga, i suoi genitori erano entrambi grandi lettori, ma anche appassionati di pittura e bricolage. A differenza dei suoi coetanei, la sperimentazione dei diversi materiali, in casa sua, non era certo un problema.

 “C’erano altri bambini per cui pitturare a casa era fuori questione, perché ci voleva tutta un’organizzazione; da noi lo facevamo sempre. La mia camera era sempre in disordine. L’avrei voluta ordinata, ma avrei preferito che si ordinasse da sola. C’erano bambini che non avevano diritto al disordine. Ricordo che avevo un’amica da cui andavo spesso e rimanevo impressionata dall’ordine: tutti i suoi giocattoli erano ben riposti e, mentre io cercavo di spiegare come fosse casa mia, lei mi ribadiva che anche da lei c’era un gran disordine! E mi mostrava una scatola con un po’ di cianfrusaglie dentro: il suo disordine era tutto in una scatola. Intanto io pensavo alla mia camera. Non ero molto fiera della confusione: quando c’erano amici di scuola che passavano vicino casa mia, li salutavo dalla finestra perché non volevo che vedessero il disordine dentro” (Oblò n.8, Anne Brouillard, a cura di Hamelin, associazione culturale)

Il diritto al disordine è qualcosa a cui non avevo mai pensato. Mi ha molto colpito trovarlo in questo racconto d’infanzia dove viene presentato come qualcosa di tangibile, qualcosa che pur essendo percepito con chiarezza dall’autrice, viene taciuto con un po’ di vergogna (accade spesso che i bambini fingano di non accorgersi di ciò che gli sta intorno o che, semplicemente, non abbiano le parole, gli strumenti, per raccontarlo) condizionando la sua vita sociale. Mi sono sempre domandata a che livello i bambini riescano a tollerare il disordine e che impatto possa avere sulle loro giornate. Avendo vissuto in una casa estremamente pulita e ordinata questo è un problema che mi ha sempre interessato.

Io non ho mai avuto il permesso di lasciare in giro i miei giochi, di macchiare un vestito o una tovaglia, di stendermi bocconi su uno dei tanti letti che mia madre rifaceva al millimetro. I divani, poi, erano completamente banditi. Stavano in una stanza chiusa a chiave che si chiamava lasala (una parola che per me era tutta attaccata) ed erano rivestiti di cellophane. Se ti sedevi, rischiavi di portarli in giro per tutta la casa, appiccicati al sedere. C’era anche una poltrona a cui, naturalmente, era toccato lo stesso destino, e un paio di grossi mobili in arte povera che non potevo toccare perché con ogni probabilità avrei lasciato qualche impronta sulla loro superficie. Insomma, l’unico spazio in cui potevo giocare era la cucina in cui trascinavo avanti e indietro le mie bambole, i miei mini pony, e dove mi era concesso fare i compiti, ma stando molto attenta a non far cadere i trucioli di legno dal temperamatite. Non era proprio facilissimo, per me, tenere a mente tutte queste indicazioni e rispettarle. La polverina di gomma da cancellare dai pantaloni volava direttamente sul pavimento; una o due bambole me la dimenticavo in giro e finivo sempre per impataccarmi. Alla fine, nessuno mi sgridava apertamente, ma mi accorgevo di grosse sbuffate e occhi al cielo. La questione dell’ordine e della pulizia viveva più che altro di regole non scritte a cui bisognava in qualche modo aderire. Ma il fatto di essere in tanti fratelli e mia madre, invece, sola a occuparsi di tutto, mi faceva comprendere con chiarezza, pur essendo molto piccola, che la sua era una esigenza seria. Da adulta, invece, il suo atteggiamento mi ha fatto desiderare, con tutta la forza, soffici materassi su cui saltare, stanze piene di libri e di oggetti mal spolverati, e un’autonomia che è arrivata molto presto. 

Fonte: Etsy

La cosa che davvero non mi piaceva, durante l’infanzia, era di non poter invitare nessun bambino. Ma quelli erano anche anni in cui ancora esistevano i cortili condominiali, i bambini si incontravano all’esterno e giocavano di nascosto con le chincaglierie trovate dentro i garage e le cantine. I  casa, forse, un amico non avrei saputo gestirlo perché di tutto quell’ordine mi vergognavo. Non avrebbe potuto fare quasi nulla di divertente a casa mia.

Tutto questo per dire che io e Anne Brouillard, da bambine, ci siamo trovate ai poli opposti del medesimo problema. Forse è per questo che il suo diritto al disordine mi ha così colpito e mi ha fatto pensare a quanto ancora, da adulta, continui a osservare il modo in cui i bambini gestiscono le loro cose, ordinate o disordinate che siano. Mi interessa soprattutto capire il loro approccio alla vita materiale, qualcosa che vive prevalentemente dentro lo spazio che frequentano e dentro i loro oggetti personali. Qualcosa che naturalmente ha a che fare anche con l’organizzazione della loro vita interiore.

Lavorando alla scuola primaria e avendo insegnato in tante prime classi, ho potuto osservare bene i primi approcci ai nuovissimi materiali scolastici. Zaini scintillanti, grossi quadernoni da maneggiare, penne e matite da tirare fuori e riporre con un certo criterio. C’è chi fin da subito sente una certa confidenza con questi oggetti, li tratta con estrema cura senza dimenticarli in giro. Altri che, invece, già a novembre hanno perso metà del corredo scolastico e a cui non viene nemmeno in mente di guardare nella cesta degli oggetti smarriti.

Anche l’organizzazione dei tavoli mi incuriosisce: c’è chi sistema le sue cose con un ordine piuttosto funzionale, chi invece sparge, senza soluzione di continuità, i suoi materiali anche sui banchi degli altri.

La regola, in questi casi, spunta fuori da sola grazie alla classe-comunità che, a un certo punto, impone una gestione di spazi e convivenze, a cui ognuno, per stare bene e far stare bene gli altri, deve aderire.

Nel libro Il segreto dell’infanzia Maria Montessori dedica ampio spazio all’analisi dei periodi sensitivi, quelle “sensibilità speciali, che si trovano negli esseri in via di evoluzione”. Tra questi cita il periodo sensitivo dell’ordine, attivo tra i sei mesi e i tre anni.

Un’affermazione curiosa per tutte le persone che frequentano bambini di questa età e che si ritrovano a dover riordinare in continuazione giochi, fogli, colori. Maria Montessori, però, ci spiega che il bisogno di ordine del bambino non è quello dell’adulto. L’adulto ricerca l’ordine nell’ambiente esterno per soddisfare un proprio bisogno estetico. Per il bambino invece l’ordine è qualcosa di più profondo, qualcosa che risulta essere necessario per muoversi agevolmente nel mondo.

Immagine dal sito ilmamilio.it

Scrive: “La natura pone nel bambino la sensibilità all’ordine, come costruzione di un senso interno che non è la distinzione tra le cose, ma la distinzione dei rapporti tra le cose; e perciò collega l’ambiente in un tutto ove le parti sono tra loro dipendenti. In tale ambiente conosciuto nel suo insieme diviene possibile orientarsi per muoversi e raggiungere degli scopi: senza tale acquisto mancherebbe il fondamento della vita di relazione”. L’ordine di un ambiente, quindi, è vissuto come piano di sostegno utile a orientarsi dentro una situazione nuova che, a sua volta, facilita anche il contatto con gli altri.

Rispetto all’utilizzo dei materiali nelle classi e all’ordine che questi richiedono, mi viene in mente il movimento Senza Zaino adottato, nell’ultimo decennio, in diverse scuole pubbliche italiane. In queste scuole i materiali si trovano già in classe, disposti sui tavoli, e sono quasi esclusivamente condivisi. Questo aspetto è particolarmente utile per integrare gli aspetti cognitivi, organizzativi e logistici grazie a procedure condivise che permettono agli studenti di sviluppare una certa consapevolezza attraverso la cura dell’ambiente che li circonda. Naturalmente gli insegnanti devono svolgere un grande lavoro di regia e organizzazione.

Anche nelle scuole steineriane la cancelleria è spesso fornita dagli insegnanti perché vengono adottate determinate tipologie di materiali in base alla programmazione didattica e quindi all’età dei bambini. Tutti gli studenti, anche i più piccoli, imparano presto a destreggiarsi tra queste possibilità, con più o meno ordine da parte di ciascuno, e spesso si aiutano nel riporre le proprie cose. Non di rado mi è capitato di veder svuotare interi zaini per essere risistemati da compagni molto precisi che mal tolleravano la confusione del loro vicino di banco.

Tarremah Steiner School

Che l’ordine rappresenti una necessità utile a pensare meglio, a riflettere e, banalmente, a ritrovare le proprie cose, è dunque assodato. Ma lo è anche il disordine?

Spesso si associa all’uno una certa rigidità, all’altro una forma di libertà, di creatività, forse di anarchia. Si dice infatti: essere “schiavi dell’ordine”, non del disordine. Anche in alcuni libri, all’apparenza disordinatissimi, possiamo tracciare dei percorsi ordinati, delle scoperte che hanno a che a fare con un certo tipo di categorizzazione, nonché di lettura ordinata del caos. Sto parlando dei wimmelbuch, molto amati da bambini di età molto diverse fra loro: grandi albi a tema, tutti giocati su un delicatissimo equilibrio fra caos e armonia, e brulicanti di minuscoli particolari da scovare in mezzo a immagini affollatissime.

A volte si ha bisogno del disordine per ritrovare qualcosa che “sta dentro” e che si può trovare solo smontando, spargendo, toccando, cioè “disordinando” un sistema, ma andando con ordine! È il caso dello Smonting, dove ordine e disordine convivono amabilmente soprattutto nelle fasi di smontaggio e di riassemblaggio. Qui i materiali diventano fondamentali per la creazione di oggetti ex novo (ad esempio, circuiti elettrici) molto sfiziosi; oltretutto lo Smonting ora è diventata anche una materia STEM particolarmente importante per l’Agenda 2030 in tema di sostenibilità.

Un personaggio celeberrimo che pratica il suo disordine in modo adorabile e indipendente è Pippi Calzelunghe. Nella sua Villa Villacolle, infatti, si permette di svuotare interi cassetti, gettando in aria ogni tipo di cianfrusaglia, di stendere l’impasto dei biscotti per terra, di dormire sui cuscini con le scarpe. Quando Tommy e Annika scoprono che la loro amica vive e decide tutto da sola, le chiedono: “Allora chi ti dice quando devi andare a letto, di sera, o cose simili?”, Pippi risponde: “Me lo dico da sola. Prima con le buone, e poi se non ubbidisco, me lo dico un’altra volta, più severamente”.

E questo, per me, è anche quello che si dicono intimamente certi bambini quando decidono di trovare un po’ di ordine al centro del caos o quando si permettono un po’ di caos dentro un ordine esagerato.