Nella vita di Frances Kent, che nel prossimo novembre compirebbe 100 anni, ci sono stati tre momenti di svolta. Il primo venne nel 1936, quando, diciottenne, prese gli ordini e divenne una delle Sisters of the Immaculate Heart of Mary (le Sorelle del Cuore Immacolato di Maria) prendendo il nome di Corita: piccolo cuore.
Sister Corita in un ritratto degli anni Sessanta.
Si trasferì allora in convento di Los Angeles, fra le cui attività c’era anche una scuola superiore d’arte nota per le idee d’avanguardia che promuoveva, una delle sorelle più anziane riconobbe il suo talento artistico e la incoraggiò a studiare per diventare insegnante. Sister Corita così fece: divenne docente della scuola e ne prese la direzione nel 1964.
L'atelier dell'Immaculate Heart of Mary alla fine degli anni Cinquanta.
La seconda svolta venne in un giorno d’estate del 1962. In quel giorno, probabilmente nessuno si aspettava di vedere una suora all’inaugurazione della mostra di un artista newyorkese alla Ferus Gallery di Irving Blum. Quella mostra – Campbell’s Soup Cans – avrebbe cambiato la storia dell’arte, la carriera di Andy Warhol e la vita di Sister Corita.
Di quel giorno, avrebbe ricordato che «tornando a casa, vedevo tutto come Andy Warhol.» Sarebbe stato, quello, un momento fondamentale della trasformazione di Sister Corita Kent, insegnante d’arte, in un’artista che sarebbe passata alla storia come “la suora della Pop Art”.
La terza svolta avvenne nel 1968 quando, in piena reazione al Concilio Vaticano II e in contrasto allo sviluppo di un cattolicesimo progressista che stava prendendo piede in California, l’ultraconservatore cardinale James McIntyre accusò la scuola in cui Suor Corita insegnava di «comunismo» e il lavoro di Corita di «blasfemia». A queste accuse, Corita reagì abbandonando l’abito e trasferendosi a Boston, continuando la propria carriera da artista laica.
Parlare del lavoro artistico di Corita Kent significa immergersi in uno degli ambienti artistici più frizzanti al mondo in uno dei momenti di maggiore fermento in epoca recente: la Los Angeles degli anni Sessanta. Corita aveva contatti con il regista Alfred Hitchcock, il compositore John Cage, l'architetto Buckminster Fuller e i designer Charles e Ray Eames; la scuola in cui insegnava – ancorché confessionale – era all’avanguardia sia come idee sia come metodi didattici.
Erano anni in cui tutto stava cambiando. Perfino la Chiesa sembrava volesse entrare nella modernità ed essere coinvolta nella rivoluzione sociale e culturale allora in atto, coinvolgendo a propria volta i propri fedeli. In quegli anni, la scuola delle sorelle losangeline diede una voce assai sonora alle speranze di cambiamenti duraturi e liberali nella Chiesa cattolica, coinvolgendo la comunità in attività e manifestazioni contro la guerra nel Vietnam, per il superamento delle diseguaglianze sociali, per la difesa dei diritti civili.
In questo contesto, dopo l’”incontro” con Andy Warhol, Corita – che fino ad allora era stata un'insegnante eccellente, ma un’artista mediocre, dedita principalmente a dipinti di argomento sacro – cominciò a sviluppare un discorso artistico assai articolato che, prendendo le mosse dagli oggetti di uso comune, legati alla produzione di massa che sarebbero di lì a poco diventati cari alla Pop Art, coinvolgeva la comunicazione pubblicitaria, sia visiva sua testuale, per sovvertirla e piegarla alle necessità di preparare una infrastruttura narrativa adatta a sostenere la crescita di una società più giusta e nuova.
Nelle opere di Corita, da quel giorno in poi, sacro e profano si mescolano. La Parola – intesa come “parola di Dio” – era già presente in molti suoi dipinti degli anni Cinquanta, ma a partire dai primi anni del decennio successivo, Corita, sull’onda del boom economico che aveva trasformato gli Stati Uniti del dopoguerra, promuovendo e permettendo il diffondersi della cultura del consumo (o del consumismo), cominciò a intravvedere nelle parole della comunicazione pubblicitaria gli elementi di un’arte cattolicamente rivoluzionaria. «I nostri colori sono i colori del mercato, i colori dei cibi che ci alimentano e i nostri suoni sono quelli del qui e adesso.» Per quanto sia ostico pensare di poter associare i principi del Cristianesimo con i supermercati e i cartelloni pubblicitari che caratterizzano il panorama urbano, per Corita questa cultura popolare divenne una fonte di ispirazione e di materia prima.
Così, il linguaggio e i colori della pubblicità entrano nella sua opera in maniera estremamente diretta (come i prodotti dell’industrializzazione di massa entrano in quella di Andy Warhol e il linguaggio del fumetto popolare in quella di Roy Lichtenstein). Così, il “Wonderbread” della Flowers Food diventa la metafora dell’ostia; la grande “G” del logotipo di General Mills diventa la “G di goodness”.
Nel 1964, l’incontro con Samuel Einstein, docente di inglese e scrittore, ispirò Corita a realizzare “The juiciest tomato of all”: «Di fronte a un cartellone pubblicitario che vanta “I pomodori Del Monte sono i più succosi” non è dissacrante affermare che Maria è “il più succoso di tutti i pomodori”. […] È proprio quello che vogliamo, sodo e succoso, un cerchio così pieno e perfetto da non potergli aggiungere altro.» Non ci si deve però stupire se, proprio a causa di questa serigrafia in giallo e rosso brillante, l’opera di Corita comincia a essere tenuta sotto sorveglianza dalle gerarchie ecclesiastiche.
Il suo attivismo per la promozione dell’uguaglianza di genere le valse, nel 1966 il titolo di “Donna dell’Anno” per il Time Magazine. In quell’anno, fra l’altro aveva organizzato 150 mostre personali simultanee di altrettante artiste in tutto il territorio degli Stati Uniti.
Le tensioni con la curia californiana si fanno sentire con molta chiarezza in una serigrafia di qualche anno successiva, ispirata da una celeberrima canzone tratta dal musical Hair: al titolo del brano – Let the sun shine in – viene associata un’immagine di Papa Paolo VI, sgranata fino al limite dell’astrazione, e una citazione di Arthur Waskow, un rabbino legato al movimento del Jewish Renewal che incorporava nell’ebraismo i principi del femminismo, dell’ecologia e del pacifismo. L’esito fu quello prevedibile: la gerarchia ecclesiastica si mosse, Corita abbandonò la tonaca e la sua scuola fu rapidamente riportata a una noiosa ortodossia.
Corita, trasferitasi sulla costa orientale, continuò la sua carriera di artista. Qualche anno dopo le fu diagnosticato un tumore e nel 1985 morì. Fra le sue opere più note, un immenso arcobaleno dipinto su un serbatoio del gas della Boston Gas Co., diventato uno dei riferimenti visivi della città.
Due immagini del serbatoio del gas di Boston decorato da Corita.
Uno dei suoi ultimi lavori fu un francobollo per lo US Postal Service: sei rapide pennellate di colori brillanti e quattro parole: Love is Hard Work. Il francobollo divenne un colossale successo commerciale, ne furono venduti più di 700 mila pezzi e fu usato come logo del vecchio Palazzo delle Poste a Washington.
Il celebre francobollo dello USPS e la serigrafia che l'ha originato (1985).
Ormai malata (sarebbe morta cinque mesi dopo) boicottò la cerimonia di presentazione della sua creazione, contestando la scelta del committente di tenerla sul set del popolare programma televisivo Love Boat, a Burbank. Giustificando la propria decisione così: «L’idea televisiva di amore è necessariamente superficiale, perché tutto si deve risolvere in un episodio di un’ora. Penso che sia pericoloso far credere alle persone che l’amore sia una cosetta veloce e che tutti i guai si possano risolvere rapidamente.»