Ed ecco l'ultimo post che pubblichiamo sul teatro per questa prima stagione 2018, a un passo dalla pausa estiva. Firmato da Enrica Carini, che ringraziamo, è dedicato al teatro d'ombra e a una compagnia che da molti anni lavora con questa antica e bellissima tecnica. Vi ricordiamo che il nuovo spettacolo di Teatro Gioco Vita debutterà al Teatro dei Due Mondi di Faenza, il 4 luglio alle ore 12,all’interno del festival Colpi di Scena, organizzato dall’Accademia Perduta Romagna Teatri, e si intitola Il più Furbo. Disavventure di un incorreggibile lupo.
[di Enrica Carini]
Sono stata architetto e fornaia, poi un giorno ho scoperto le parole del mio mestiere: essere un’artigiana della fantasia.
“...improvvisamente si ricordarono ciò che Federico aveva detto del sole,
dei colori e delle parole. E le tue provviste Federico?”
Federico, Leo Lionni
All’inizio di questa storia io, Enrica, avevo cinque anni, topo Federico già più di venti, e Teatro Gioco Vita solo qualcuno in meno. Era la prima volta che qualcuno mi portava a teatro e, anche se, non so bene dire come, i semi delle parole d’ombra di Federico, il topo poeta, sono rimasti nascosti nelle mie tasche di bambina, un po’ come le sue provviste.
Pescetopococcodrillo, 1985.
Molti anni più tardi, nel minuscolo forno che allora avevo, condividendo alcune chiacchiere e una manciata di briciole con una donna sensibile e una libraia generosa, il topo Federico, insieme a Pesce e a coccodrillo Cornelio, ha fatto di nuovo ritorno. Per caso, o per destino, avevo ritrovato proprio quei libri di Leo Lionni che portavano ancora i segni di scena a matita di quello spettacolo, Pescetopococcodrillo, che a mala pena ricordavo. Ho tenuto quei libri con me, li ho letti e riletti, poi anche ai miei figli, e poco a poco ho ritrovato quelle lontane provviste, ma non era ancora quello il tempo.
Sipario su Federico.
Doveva arrivare quell’inverno, il più terribile di tutti gli inverni, in cui una sera con i miei piccoli semi stretti nel pugno mi sono affacciata per la prima volta alla soglia dell’Officina delle Ombre. Ricordo le sagome nere che si intravedevano dai vetri, la porta socchiusa che aprendosi cigolava sul buio, l’incontro con Nicoletta prima e Fabrizio poi e, soprattutto, ricordo che poco a poco iniziai a capire quella frase di Lele Luzzati che avevo letto infinite volte “c’è un’ombra nella mia vita…”, e sentii che quei semi potevano finalmente germogliare.
La porta dell’Officina delle Ombre.
Agamben in uno dei suoi saggi scrive che “le porte del mistero lasciano entrare, ma non lasciano uscire”. Sì, deve essere così, ma forse siamo noi a scegliere il mistero da cui non vogliamo uscire, semplicemente perché in esso ci ritroviamo, e io, proprio per questo, penso di aver in qualche modo scelto l’ombra.
In questi giorni ho la fortuna di sentir cigolare molto spesso la porta dell’Officina. La mattina arriviamo alla spicciolata per l’allestimento della nuova produzione per l’infanzia; guidati da Fabrizio Montecchi, maestro d’ombre e regista, e da Nicoletta Garioni, artista e scenografa, siamo in tanti: Anna Adorno, tecnico luci; Paolo Codognola, compositore e musicista; Andrea Coppone, performer; Tania Fedeli, costumista; Federica Ferrari, creatrice di sagome; Katja Gorečan, una giovane poetessa slovena in Erasmus presso TGV; e infine la sottoscritta, che nello specifico è qui nel ruolo di drammaturga, ma preferisco dire che provo a tessere parole per dar voce alle ombre insieme a Fabrizio.
Insieme lavoriamo a Il più furbo. Disavventure di un incorreggibile lupo, tratto dall’opera di Mario Ramos. È la storia di un lupo (un classico lupo delle fiabe) che si crede il più furbo e che nel maldestro tentativo di sfamare il suo istinto con un lauto pranzo a base di nonna e nipotina, rimane intrappolato in una camicia da notte rosa. A questo punto per l’incorreggibile lupo iniziano una serie di sfortunati incontri e disavventure che ci fanno ridere e allo stesso tempo riflettere.
Allestimento di Il Più Furbo, prove. Foto, Mauro del Papa.
Lo spettacolo vede in scena un solo attore-narratore, Andrea appunto, che, grazie alle tecniche d’ombra proprie del linguaggio teatrale sviluppato da Teatro Gioco Vita e una qualità di movimento fortemente coreografica, ci conduce dentro un mondo in cui la dimensione favolistica e quella realistica si incontrano e si scontrano producendo quell’effetto comico e a volte grottesco proprio della storia raccontata.
Siccome ho sempre pensato che le fortune devono essere condivise con coloro che sentiamo a noi vicini per sensibilità, vorrei raccontarvi su questo blog, attraverso le parole di alcuni di noi, cosa succede nell’Officina delle Ombre quando nasce uno spettacolo.
La prima voce è quella di Fabrizio Montecchi che da quarant’anni condivide l’esperienza di Teatro Gioco Vita di cui è responsabile artistico della compagnia e regista, oltre che ideatore e regista di spettacoli di teatro d’ombre in tutto il mondo e docente alla scuola di teatro di figura di Charleville-Mézières.
Allestimento di Il Più Furbo. In scena, Fabrizio Montecchi e Andrea Coppone. Foto, Mauro del Papa.
L’Officina delle ombre, dove ci troviamo ora, è il luogo in cui le ombre prendono vita per la prima volta e la fucina in cui nascono tutti gli spettacoli di Teatro Gioco Vita. Perché è così speciale?
Nel teatro d’ombre tutti gli elementi di un allestimento, (scenografia, sagome, luci, musiche, etc.) devono essere riuniti fin dall’inizio perché è solo dalla loro combinazione e sintesi, operata in scena dal performer, che si riesce a costruire lo spettacolo. Tutto questo può avvenire solo in un luogo come l’Officina, concepito per questo, dove gli spazi sono pensati per permettere di lavorare su tutti questi livelli contemporaneamente e per favorire la complicità e la compresenza di tutti i collaboratori che sono coinvolti nell’allestimento.
Officina delle Ombre, il laboratorio.
Officina delle Ombre, la biblioteca e le sagome.
Officina delle Ombre, palcoscenico.
A partire dal 1985 con Pescetopococcodrillo, molti degli spettacoli per l’infanzia da voi allestiti nascono da albi illustrati. Come scegliete le storie da raccontare e quali caratteristiche devono avere?
Quando creiamo spettacoli per i più piccoli il nostro primo riferimento è la letteratura per l’infanzia e, in particolar modo, il libro illustrato. Nel tempo ci siamo sempre più rivolti a grandi interpreti e autori contemporanei. Il primo è stato Leo Lionni seguito poi da Grégoire Solotareff, Barbro Lindgren, Max Velthuijs, Nadja, Wolf Erlbruch, Rascal, Kitty Crowther, e ora Mario Ramos. Ci anima dunque da sempre una grande curiosità e attenzione verso l’editoria per bambini, nazionale e internazionale.
Io e Niente, 2017. Foto, Mauro del Papa.
Non esiste un unico criterio che ci orienta nella ricerca dei libri da mettere in scena. Sicuramente è fondamentale il fatto che la narrazione si sviluppi su due piani contemporaneamente: l’illustrazione e il testo. L’illustrazione ci colpisce quando sentiamo che si presta a essere tradotta in figure d’ombra, quando ci suggerisce immediatamente idee di messinscena. Il testo c’interessa quando ha una struttura drammatica e, qui entro però in una valutazione del tutto personale, quando mi permette di riconoscermi, anche in quanto adulto, nella storia che mi trovo a raccontare.
Il Cielo degli orsi, 2014. Foto, Serena Groppelli.
Nello specifico del testo di Mario Ramos Il più furbo cos’è che ti ha colpito al punto da sentire il bisogno di portare in scena questa storia?
Ho trascurato Mario Ramos per tanto tempo, non gli ho mai dedicato troppa attenzione. Poi, poco tempo fa, ho capito di aver bisogno di lui e del suo modo di raccontare le storie. Dopo aver raccontato ai bambini tanti piccoli drammi avvertivo un forte bisogno di cambiare registro: volevo fare una commedia. Le storie di Ramos sono per me piccole commedie. Sembrano superficiali ma, come tutte le vere commedie, sono invece profondissime. Ecco, in questo periodo sento che il suo modo di raccontare mi corrisponde perfettamente.
Allestimento di Il più furbo. Foto, Mauro del Papa.
Nella traduzione scenica il linguaggio del teatro d’ombre come può arricchire la narrazione di un albo illustrato?
Il tempo della rappresentazione teatrale impone sempre una maggiore articolazione della narrazione. Nelle messe in scena d’attore o di figura spesso gli sviluppi si svolgono in orizzontale, articolando con più azioni e situazioni un racconto. Nel teatro d’ombre, invece, una storia ha la possibilità di svilupparsi maggiormente in senso verticale. Piccole azioni o dettagli presenti in un libro possono trovare nello spettacolo una dilatazione temporale e spaziale enorme. Una suggestione contenuta in un disegno può tradursi in una scena lunga e articolata.
Ranocchio, 2009. Foto, Jonathan Gobbi.
I bambini, infine, come si relazionano con i personaggi d’ombra e come reagiscono agli spettacoli?
Il teatro d’ombre ha la strana capacità di portare in scena qualcosa che è contemporaneamente lontano e vicino. L’ombra è percepita come una presenza vera e viva, e non come una riproduzione, ma nello stesso tempo è anche vissuta come distante. Questo fa sì che non ci sia mai quel tipo d’identificazione che c’è con un attore in carne ed ossa, o con qualcosa che sia possibile toccare. È questa presenza lontana, distante, ma reale e viva che favorisce la relazione con i bambini, e ci permette di costruire un dialogo e un rapporto che può affrontare anche argomenti molto delicati.
Ai grandi tavoli da lavoro Nicoletta Garioni sta realizzando le sagome, è l’artista che da ormai venticinque anni cura la realizzazione di tutti gli elementi che daranno vita alle ombre e le scenografie di ogni spettacolo.
Qual è il primo approccio che hai con l’albo illustrato che viene scelto per un nuovo allestimento?
Io e Fabrizio guardiamo insieme il libro per capire come tradurre il mondo visivo in una messa in scena. La prima valutazione è quindi fatta insieme su un piano complessivo: come si pongono le figure nei confronti del lettore, come vengono impaginate, che tipo di spazialità hanno. Questo per trarne suggerimenti non solo sulla storia e sul mondo dell’autore, ma anche sulle possibilità sceniche che si potranno mettere in gioco. Nello specifico Il mio è dunque uno sguardo grafico pittorico sulle figure e sull’impaginazione.
Tutto il mondo visivo del libro è ricco di suggestioni pronte a essere colte e ricreate in materiali d’ombra, dai colori della scena e degli schermi ai colori per le luci e gli ambienti d’ombra.
In seguito analizzo i personaggi, per valutare la possibile traduzione dei disegni in sagome. Studio il loro carattere e la relazione che hanno nello sviluppo generale del libro.
Infine arrivo alla concezione della modalità di traduzione e di costruzione.
Allestimento di Il più furbo. Nicoletta Garioni e Andrea Coppone.
Ogni volta fai un delicatissimo lavoro di traduzione dei personaggi per portare le illustrazioni a prendere vita sulla scena d’ombra. Come ti poni in rapporto con la singola storia e con tutta la produzione dell’autore?
È un lavoro enorme, complicato e delicato allo stesso tempo. Affinché la traduzione risulti il più fedele possibile alle intenzioni dell’artista spesso bisogna passare attraverso un tradimento, sempre finalizzato però alla massima lealtà e fedeltà. Questo è un lavoro interamente di disegno, di traduzione grafica. La difficoltà sta nel capire ciò che è necessario cambiare per far sì che il personaggio sembri come uscito dal libro. È importante individuare il tratto del protagonista che lo caratterizza, cogliere la sua immagine “base” per poterla poi sviluppare nelle diverse scene.
Il passaggio successivo è quello di individuare insieme al regista le diverse situazioni sceniche e le tecniche di animazione per sviluppare le articolazioni delle sagome che permetteranno i movimenti delle figure d’ombra.
Allestimento di Il più furbo. Il Lupo, sagoma definitiva.
Parlando di tecniche, di articolazioni e di meccanismi vedo la curiosità dei bambini che nasce dopo l’incanto dello spettacolo. Ci puoi raccontare come reagiscono di fronte alla scoperta della tecnica che ha generato l’ombra?
I bambini vivono tutto lo spettacolo nella convinzione che il personaggio d’ombra sia autonomo, e questo è dato dal nostro sforzo immenso per mostrare l’ombra viva e vera. Al termine dello spettacolo però i performer svelano al pubblico le sagome che hanno reso possibili le ombre affinché i bambini possano vedere come è stato possibile realizzare tutto quanto. La dissociazione fra l’assoluta vitalità dell’ombra e l’estrema tecnica della sagoma che la proiettano, genera meraviglia prima e una grande curiosità poi. Ed è nel desiderio di toccare i meccanismi, di provare con le mani e sentire che toccando quell’anellino effettivamente la testa si abbassa che i bambini si rendono conto dell’incanto ma anche della difficoltà di costruzione e di animazione dei personaggi.
Allestimento di Il più furbo. I sette nani.
In regia ci sono Anna Adorno e Paolo Codognola: Anna è tecnico luci di gran parte degli allestimenti più recenti di Teatro Gioco Vita; Paolo, musicista e compositore per il teatro e la danza, ha curato la composizione delle musiche originali degli allestimenti più recenti di Teatro Gioco Vita.
Anna Adorno e Paolo Codognola. Foto, Mauro del Papa.
Anna, innanzitutto “tecnico luci” è una definizione forse non proprio esatta per il tuo ruolo, mi aiuteresti a definirlo meglio?
In francese esiste una parola “régisseur du spectacle”, di cui non conosco un equivalente in italiano, che definisce chi gestisce lo spettacolo nel suo complesso (dalle scenografie, alle luci, alle musiche) sia nella fase di allestimento che nelle repliche successive. Ecco, questo è piuttosto il mio ruolo: sovraintendere a tutta la macchina teatrale. Nel teatro d’ombre specialmente il mio lavoro non è solo illuminare lo spettacolo, ma intrecciare una serie di elementi che lo animano: dalle luci con cui si “fanno” le ombre, alle luci di scena, alle musiche.
Senza le luci non possiamo avere le ombre, come valuti quelle necessarie per la messa in scena?
Fabrizio e Nicoletta impostano un dispositivo di base per lo spettacolo e il sistema delle luci che proietteranno le ombre. Nella primissima fase dell’allestimento iniziamo a calibrare insieme quello che serve per rendere fluide le soluzioni impostate e seguire l’alternanza di scene d’ombra e momenti d’attore. È necessario poi illuminare la scena al di fuori delle situazioni d’ombra: è un lavoro sottile perché ha dei limiti ben precisi. Si deve illuminare il performer, far risaltar i colori della scena, amalgamare i movimenti e le musiche, ma non deve mai intralciare le ombre che sono le vere protagoniste dello spettacolo.
Allestimento di Il più furbo. Prova d'ombre
Paolo, tu come ti sei relazionato con gli albi illustrati da cui sono stati tratti gli spettacoli per cui hai scritto le musiche?
Dipende sicuramente ogni volta dal tipo di storia in cui mi trovo coinvolto, ma in generale posso dire che, le illustrazioni m’influenzano maggiormente sulla scelta delle sonorità, delle atmosfere da ricreare, mentre il testo influisce spesso più sulla scrittura vera e propria dei pezzi. Ogni cosa poi può mettersi nuovamente in gioco con l’inizio dell’allestimento e la tessitura musicale può di nuovo modificarsi in rapporto alle scelte registiche sulle ombre, i testi e le azioni a cui è connessa.
C’è un approccio differente nella composizione per il teatro d’ombre rispetto a quella per altri spettacoli?
Mentre per il teatro in generale il lavoro è quasi filmico, impostato sullo sviluppo di temi principali che sottolineano le caratteristiche dei personaggi, per il teatro d’ombre la composizione musicale si lega, oltre che alla visione dei personaggi, anche alla questione della spazialità scenica e della storia. Diventa importante lavorare sul “fuori” sul “dentro” sul “dietro”, sulle dimensioni delle ombre proiettate e sulla spazialità condivisa da ombre e performer. Questo lavoro si basa prima di tutto sulla scelta degli strumenti e delle sonorità, e poi sullo sviluppo di un tema coerente legato al personaggio principale che possa essere coniugato alle varie situazioni della narrazione.
Il più Furbo. Disavventure di un incorreggibile lupo debutterà al Teatro dei Due Mondi di Faenza il 4 luglio alle ore 12,
all’interno del festival Colpi di Scena, organizzato dall’Accademia Perduta Romagna Teatri.
Spero di aver trovato l’interruttore giusto, di aver acceso quella luce capace di rivelare la profonda bellezza e la vitalità delle ombre con cui lavoriamo ogni giorno, e che qualcuno di noi vi incontri, incuriositi da questo universo, al termine di uno degli spettacoli. Grazie, per la vostra attenzione,
Enrica Carini.