L'arte può cambiare il mondo,solo...

[di Lisa Topi]

The Milkmaid, Johannes Vermeer, 1660 circa.

Ho chiuso il mio primo post sul blog dei Topipittori invitandovi a sperimentare la luce dei dipinti fiamminghi del Rijksmuseum di Amsterdam. Oggi mi piacerebbe condurvi in una visita virtuale che si rivelerà più scanzonata di quanto preannunciato, un breve scorcio su alcune delle opere con occhi non vostri, non miei.

L’ultima volta che visitai il Rijksmuseum, la scorsa estate, trovai un’installazione singolare. A fianco di alcuni dipinti si trovavano dei grossi post-it gialli (philosophical graffiti) che dispensavano ai visitatori bizzarre chiavi di lettura dei quadri stessi. Scoprii, poi, che l’installazione faceva parte di un progetto chiamato Art is therapy del quale, Alain de Botton e John Armstrong, autori del libro che ha ispirato l’esposizione e del catalogo che cito, parlano così:

La mostra al Rijksmuseum vuole portare il visitatore a ripensare le premesse cruciali per capire quale sia lo scopo di una visita a un museo. L’intenzione è sollevare – e rispondere in modo diverso – alla complessa domanda su quale sia realmente lo scopo dell’arte. Suggerire, significativamente, che potremmo guardare e servirci dell’arte per i suoi potenti effetti terapeutici.

Una missione non da poco. E, in effetti, non è molto chiaro quanto gli autori intendano alla lettera le proprie raccomandazioni. Un vago imbarazzo serpeggiava tra i visitatori, me compresa, che non sapevano bene se doversi soffermare su quei manifesti sgraziati e non ben catalogabili. Credo che l’ironia e lo spaesamento provocato dall’operazione al Rijksmuseum abbiano centrato il bersaglio prima ancora dei testi, alcuni dei quali sono davvero brillanti, alcuni, forse, didascalici. Il punto di vista degli autori è certamente discutibile (perché un bambino può immedesimarsi in un pirata valoroso e una bambina in una sguattera o in una vedova arcigna, per esempio?) ed è probabilmente cucito addosso alla figura di uno spettatore non troppo attento, eppure sono divertenti questi esercizi di auto-guarigione, tra i quali si fa strada un glorioso auspicio, che riserviamo per il finale.

Stradina di Delft, Joahannes Vermeer, 1658 circa.

LA VITA È ALTROVE. HO UN MALRIPOSTO DESIDERIO DI GLAMOUR.

In una delle gallerie laterali della Gallery of Honour del Rijksmuseum, probabilmente dietro tre file di persone, è esposta una delle opere d’arte più famose al mondo. E non è una buona notizia. La fama estrema di un’opera d’arte è quasi sempre controproducente perché, per poterci toccare, l’arte deve provocare una reazione personale – e ciò è difficile quando un dipinto è a tal punto rinomato. Questo quadro è assai poco coerente con il suo status in ogni caso, perché, più di qualsiasi altra cosa, intende mostrarci che l’ordinario può essere molto speciale. Ci indica che prendersi cura di una casa modesta ma bella, pulire il cortile, accudire i bambini, rammendare i vestiti – e fare tutte queste cose accuratamente e senza crucciarsi – è il sommo dovere della vita. 

Questo dipinto è antieroico, un’arma contro le false immagini del glamour. Si rifiuta di accettare che il nostro fascino dipenda da gesti eroici non comuni o dal conseguimento di uno status. [...]  Se l’Olanda dovesse mai avere un Documento Fondante, un deposito concentrato dei propri valori, sarebbe proprio questo piccolo dipinto. È il contributo olandese alla ricerca di senso della felicità nel mondo – e il suo messaggio non appartiene solo a questa galleria.

La festa di San Nicola, Jan Havicksz Steen, 1665-1668.

SOFFRO DI FRAGILITÀ, SENSO DI COLPA, PERSONALITÀ DISSOCIATA, AUTO-DISPREZZO.

Probabilmente sei un po’ come questo quadro. Ci sono dei lati di te che sono alquanto degenerati. Forse bevi, hai qualche comportamento leggermente compulsivo, non ti comporti sempre “bene”. Sei, nel linguaggio di quest’opera d’arte, un bambino avaro. E ciò a volte ti disturba, spingendoti all’auto-critica. Ma di certo – e questo è ciò che tendiamo a sottovalutare – sei anche molto rispettabile e ragionevole sotto altri aspetti della tua vita. Jan Steen ti sta proponendo di integrare i risvolti problematici della tua personalità col resto di ciò che sei. [...]

Il dipinto mette in scena per noi una reazione generosa e costruttiva alla debolezza. [...] Un bambino cattivo che la mattina di Natale o per la festa di San Nicola scopre che Babbo Natale gli ha lasciato un pezzo di carbone o un ramo di salice nella scarpa o nella calza non dovrebbe provocare un’ansia immotivata. L’ordine del mondo non collasserà per una singola trasgressione. Come mostra la nonna del bambino in preda al pianto, forse non è stato del tutto dimenticato: c’è un regalo sotto il suo cuscino. Ecco cosa dobbiamo fare con noi stessi: essere meno preoccupati e turbati dalle nostre follie occasionali.

Casa di bambole di Petronella Oortman, 1710.

VIVO NEL MONDO REALE; SONO TROPPO VECCHIO(A) PER I GIOCATTOLI.

I bambini hanno una capacità naturale di proiettarsi in ruoli diversi, attraversando quelle che a prima vista potrebbero sembrare delle barriere inscalfibili: un dolce bimbo di cinque anni può calarsi senza problema nei panni di un pirata sanguinario. Noi siamo composti di strati multipli: potremmo essere state molte altre persone se la vita ci avesse condotto per altre strade. Prendere contatto con il gioco ci permette di tirare fuori le parti di noi stessi che non siamo soliti mostrare. Queste parti potrebbero essere piuttosto strane. Con questa casa di bambole, potete giocare a essere:

  • Un valoroso capitano di mare cinquantaduenne recentemente tornato da Giava;
  • Una domestica di retrocucina abbandonata alla nascita dalla madre alcolizzata;
  • Una ricca vedova arcigna con i geloni e un carattere austero ma una passione per i cani di piccola taglia.

La casa delle bambole è un emblema dell’arte: ti mette in grado di provare le cose prima di viverle.

Ritratto di Rutger Jan Schimmelpenninck e la sua famiglia, Pierre Prud'hon, 1801-1802.

NON SO MAI COSA FARE DI FRONTE A UN QUADRO.

Spesso non siamo certi al cento per cento di come dovremmo comportarci in un museo d’arte (oltre a stare in silenzio e ben attenti al nome dell’artista), e la nostra mancanza di direzione indica che ci annoiamo facilmente. Ma c’è una cosa in particolare che possiamo fare per divertirci. Negli spazi pubblici, soprattutto nei ristoranti e nei caffè, può essere divertente immaginare come sono le persone intorno a noi, cosa possono contenere le loro vite, come ci si sente a essere loro amici e come sono le loro relazioni. Questo tipo di pensiero è tanto più indicato per lo studio di certi dipinti nei musei. Sebbene siamo molto distanti dalla realtà, questa pratica dovrebbe essere valorizzata tanto quanto l’apprendimento di date e influenze storiche. Nel caso di questo dipinto, non fate caso ai vestiti alquanto singolari e all’ambientazione in pieno bosco e avrete quattro persone che invitano a fare supposizioni sulle loro personalità.

Della moglie si direbbe che non disdegna mansioni amministrative, che è tollerante con i piccoli fallimenti (benché abile nel capire quando porre dei limiti), gentile all’esterno ma, se necessario, dura e severa in privato. Potrebbe essere la persona adatta con la quale condividere un’ansia professionale in qualche modo umiliante. Il marito, invece, sembrerebbe premuroso e sensibile anche se ha totale controllo del proprio lavoro e i piedi ben saldi a terra, un equilibrio cui è giunto pienamente solo con il matrimonio e sotto l’influsso positivo di sua moglie.

Questo è solo un inizio approssimativo... potete continuare, qui e con altre opere – e poi la prossima volta che vi troverete in un caffè.

La toilette, Jan Havicksz Steen, 1655-1660.

SENSUALITÀ E DECENZA NON SI MESCOLANO.

Siamo abituati all’idea che le immagini erotiche non abbiano dignità e gentilezza. Tendono a costituire un mondo a sé con la sessualità, tagliate fuori dalle altre questioni di cui ci occupiamo regolarmente. Ci sorprende, dunque, trovarci di fronte a un’immagine apertamente erotica che è altrettanto interessata ad altri aspetti della natura umana, che apprezza il raccoglimento, la tenerezza e la mente delle persone.

Lei non rinuncia alla sua identità di cittadina onesta solo perché si sta togliendo la calza lasciandoci tranquillamente dare una sbirciatina. È sempre la stessa persona che poco prima, quello stesso giorno, a un ricevimento ha fatto un’acuta osservazione allo Stadtholder e poi si è occupata della contabilità domestica. Sa come riuscire in questa difficile impresa: essere rispettabile e sensuale allo stesso tempo. 

Il quadro apre alla possibilità che possiamo essere tanto sensuali quanto brave persone. Il quadro, sorprendentemente forse, è come il ritratto di un santo: ci mostra qualcuno che dovremmo cercare di imitare.

Ciocca di capelli di Giacomina di Baviera, prima del 1770.

HO TEMPO.

Sappiamo che le persone molto tempo fa avevano dei capelli, che avevano l’abitudine di pettinarli, agghindarli con cura nei ricevimenti formali (o con vento forte), toccarli nelle situazioni di tensione seduti nei salotti e accarezzarseli l’un l’altro nei momenti più intimi del corteggiamento. Eppure sorprende, commuove e ancor di più spaventa, trovarci di fronte a una ciocca dei capelli di Giacomina – sostanzialmente perché il resto di Giacomina non è lì con noi. La personalità, le fantasticherie, le ambizioni, il rimpianto e la bontà d’animo che una volta erano attaccati a questi capelli non ci sono più, sono polvere e cenere mentre Giacomina, per mezzo dei suoi capelli eterni e all’apparenza giovani, è ancora incredibilmente presente.

Il pensiero della morte, finora astratto e dunque non troppo angosciante, inizia a stringere la sua morsa. Ci dirigiamo verso i capelli di Giacomina. Solo alcuni pezzetti di noi, e non i più importanti, sopravvivranno tra qualche secolo, e magari dentro una teca sotto lo sguardo fisso degli sconosciuti. Ma questo non deve essere motivo di panico; i capelli ci ricordano continuamente che la sabbia scorre con implacabile velocità attraverso tutte le nostre clessidre.

Servizio da tè, 1725-1730.

NESSUNO SI ACCORGE DI ME.

Pensate a quanto invisibili, minuscoli, poveri e non apprezzati ci si debba sentire per convincersi a comprare un servizio da tè del genere.

Il gioco della guerra (allegoria della guerra nordica), Crispijn Van de Passe II, 1656.

COME RIMPIANGO I BEI TEMPI ANDATI.

I significati politici qui appaiono ovvi. I leader spietati considerano la guerra come un gioco (stanno giocando a backgammon). L’economia soffre – l’oro è riversato in una cassa con un buco alla base. I soldati comuni sono rappresentati, in primo piano, niente meno che come maiali, pronti per essere mandati al macello oltreoceano. 

L’opera è un memento di quanto il progresso reale possa essere dolorosamente lento. Alcune parti del mondo sono ancora dilaniate dalle guerre – ma l’idea che la guerra sia un’elegante avventura aristocratica è stata completamente scardinata, grazie (in parte) alle immagini che l’hanno messa in discussione in maniera così evidente e memorabile. All’epoca, questa incisione sosteneva una tesi coraggiosa e radicale – diretta contro una diffusa ammirazione per la nobile arte della guerra. Il fatto che l’atteggiamento assunto da quest’ opera sia oggi la norma e l’oggetto della sua satira ormai antiquato, è una conquista notevole – testimonianza del potere delle immagini.

I problemi del mondo sono di così grande portata e le nostre vite così marginali, le nostre azioni così deboli al confronto, che è comprensibile se ci limitiamo ad alzare le spalle in segno di resa. Non dovremmo. L’arte può cambiare il mondo... solo molto lentamente.