Le parole sono lo scheletro delle cose

(per questo motivo resistono più a lungo)

Le lampade che pendono dal soffitto sono i soli della casa

È vero che il divano è il nonno dei mobili?

L’ombrello è un fiore di tessuto

[di Letizia Soriano]

Cominciano così le poesie raccolte nel libro Il segreto delle cose della scrittrice cilena María José Ferrada, accompagnate dalle illustrazioni di Gaia Stella. E proseguono raccontando l’inizio della pioggia in una giornata d’inverno, l’estate dei fiori che dura una settimana, le parole nascoste dentro le matite, i discorsi che ascoltano le tazze con il loro unico orecchio. Qui gli oggetti prendono vita, osservano, ascoltano, scrivono, custodiscono personaggi immaginari che parlano una lingua sconosciuta, eppure comprensibile, in una sorta di animismo che ritroviamo spesso nel mondo infantile: è il pensiero magico ad attribuire volontà e possibilità di azione a tutti gli altri esseri del mondo, anche a quelli inanimati. Ma cosa succede se questa capacità non si estingue con il passare del tempo? Se nel rapporto tra l’essere umano e gli oggetti che lo circondano (un ombrello, un libro, una sciarpa) quel dialogo segreto continua e si dilata? Chi ha la fortuna di osservare il mondo con questo tipo di sguardo può far nascere dalla sua penna piccoli componimenti chiamati greguerías. Proprio come è successo a Maria Josè Ferrada.

Il segreto delle cose di María José Ferrada e Gaia Stella

Greguería, una parola che in italiano fa il solletico, in spagnolo si traduce con schiamazzo, parlottìo, trambusto. È stata inventata dallo scrittore e giornalista d’avanguardia Ramón Gómez de la Serna (Madrid 1888-1963), tuttavia Jorge Luis Borges ne attribuisce la paternità al francese Pierre-Jules Renard (1864-1910), riservando a Gómez de la Serna solo l’invenzione del nome. Si tratta di una frase ingegnosa e breve generata dall’incontro tra il pensiero e la realtà, un’ispirazione che nasce dalla suggestione improvvisa che un oggetto o un evento suscita nell’immaginazione di chi osserva. Non è un semplice gioco di parole, ma l’accostamento di due immagini che, grazie alla sensibilità poetica dell’autore e alla sua visione umoristica, crea un cortocircuito tanto leggendario quanto familiare, quotidiano.

L’acqua si scioglie i capelli nelle cascate

Il tram approfitta delle curve per piangere

Il sogno è un deposito di oggetti smarriti



De la Serna, nel corso della sua vita, ne scrive a migliaia e ogni volta si diverte a definirle in modo diverso: "hanno qualcosa dell'indovinello, evitano l'aspetto del colmo e non devono mai essere barzellette o facezie, per quanto lo possano sembrare. Non devono somigliare a nulla che sia già stato detto. Non sono riflessioni né hanno niente a che vedere con esse, giacché bisogna diffidare delle riflessioni che sono come quelle palle di neve che fabbricano i monelli cattivi nascondendoci dentro una pietra. La greguería non è nemmeno aforistica. L'aforisma è enfatico e sentenzioso. Io non lo pratico. Si riduce quindi alla metafora? Tutto quanto è materiale e immateriale può essere oggetto di metafora. La metafora moltiplica il mondo senza far caso al retore che proibisce di collegare cose solo perché lui non è capace di farlo. Umorismo + metafora = greguería".

  

Greguerías ilustradas di Ramón Gómez de la Serna (Trampantojos, 1947)

Nel vasto repertorio delle opere ramoniane (romanzi, saggi, opere teatrali, racconti, poesie, monologhi radiofonici), la greguería è onnipresente, la ritroviamo anche in una serie di articoli, illustrati di suo pugno, per la rivista Blanco y Negro tra il 1930 e il 1935, un centinaio dei quali sono stati esposti nel settembre 2022 grazie alla fondazione ABC di Madrid.

In questa occasione il curatore della mostra ha raccontato che in Spagna non serve spiegare cosa siano le greguerías, ampiamente diffuse anche nelle scuole, ma che invece è necessario farle conoscere al pubblico straniero. In effetti la loro diffusione non ha incontrato grande favore nemmeno nel nostro paese nonostante de la Serna abbia vissuto a Napoli negli anni Venti. Nell’arco di un secolo sono state pubblicate pochissime raccolte, con intervalli di tempo lunghissimi: la prima intitolata Capricci (Ed. Tirrena) è apparsa nel 1930 grazie al gruppo Novecentista frequentato dallo scrittore; un altro libro dal titolo Mille e una greguería, con la traduzione di Danilo Manera, è stato pubblicato molto più tardi, nel 1993, dalla Biblioteca del Vascello, ma, probabilmente, fu grazie alle traduzioni di Gesualdo Bufalino, grande narratore e brillante aforista, che questo genere ricevette qualche attenzione in più. Bufalino scrisse Sghiribizzi a metà degli anni Novanta, traducendo un’infinità di greguerías caratterizzati da un indice tematico molto dettagliato; suddivisi in ordine alfabetico troviamo temi di diversa natura, da argomenti generici e astratti come: Amore; Dio; Filosofia, Pensiero, Idee; Lavoro; Morte; Nascita; Natura; Vita…  fino ad ambiti molto più dettagliati, talvolta bizzarri: Barbieri; Biglietti da visita; Giudizio Universale; Mulini a vento; Paracadute; Presentimenti; Sigari/Accendisigari; Specchi; Starnuti e Sbadigli.

Il coccodrillo è una valigia che viaggia da sola

Il pensatore di Rodin è uno scacchista a cui è stato tolto il tavolo

I giovani son fatti dello stesso materiale dei vecchi

Bufalino spiega la scelta di tradurre la parola greguerías: “per pura assonanza l’ho trasformato in un termine come ghiribizzo, adottando il plurale nella forma più antica, desueta: sghiribizzi. M’è sembrato giusto per aforismi brevissimi, alcuni contratti in un solo rigo”. Aggiunge che se si fosse trattato di un’opera più sintatticamente articolata: “non avrei osato affrontarne la traduzione ma gli aforismi di Gómez de la Serna sono guizzi funambolici, brevi, brucianti. Alla luce, certo, di una dichiarata congenialità con il mondo e con l’aspirazione dell’autore. Mi hanno consentito il piacere di giocare con la lingua, il divertimento e la scoperta. Sono giochi di prestigio adorabilmente datati, che domandano orecchie e occhi bambini.

Agli occhi e alle orecchie di cui parla Bufalino aggiungerei anche i nasi, per citare il libro che mi ha permesso di conoscere le greguerías e di proporle nelle scuole. I bambini cercano di tirarsi fuori le idee dal naso (Ed. Giralangolo) contiene una scelta di testi molto ironici che danno la possibilità di avvicinare in modo abbastanza diretto e naturale questo genere letterario al mondo dell’infanzia, terreno molto adatto a far affiorare idee surreali ma, allo stesso tempo, concrete.

Il titolo è estrapolato dalla raccolta 100 Greguerías, uscito nel 1999 (Ed. Mediavaca) con le illustrazioni di César Fernández Arias.

100 greguerías ilustradas, Ramón Gómez de la Serna e César Fernández Arias, Media Vaca

Immagini interessanti e poetiche si possono trovare anche nel bellissimo albo bilingue: Oh, i colori! (Lapis Edizioni), scritto da Jorge Lujàn e illustrato da Piet Grobler, un viaggio in mezzo ai colori che abitano in tutto ciò che ci circonda:

Il beige si è addormentato nella sabbia da quanto lo ha cullato la marea

Sì l’azzurro sta tutto in cielo

salvo che in alcuni fiori

e negli occhi di Consuelo

La notte si è messa il vestito nero perché risplendano belli gli occhi dell’universo

 Oh, i colori! Lujàn Jorge e Grobler Piet, Lapis edizioni

Gómez de la Serna non si considerava l'unico scrittore ad aver ideato le greguerías. Ha trovato precursori nei poeti haiku, nei detti e nell'antica poesia arabo-andalusa. Le greguerías sono molto conosciute anche in Repubblica Ceca grazie al lavoro dell'interprete Josef Forbelský che negli anni Sessanta si occupò di tradurle favorendone la diffusione in tutto il paese. Laurie-Anne Laget, ispanista e forse la principale studiosa di Ramón Gómez De La Serna, parla addirittura di effetto Ramón come di “sensazione di sorpresa mista a evidenza poetica, che punge la curiosità del lettore mentre ne suscita la complicità.”

Tuono: un baule rotola giù dalle scale del cielo

Le spighe fanno il solletico al vento

Le rondini sono gli uccelli in abito da cerimonia

A Laget si deve la scoperta di un vastissimo archivio conservato presso l’Università di Pittsburgh, la cui selezione ha dato vita al libro Nuevas Greguerías, accompagnate da 15 fotografie del fotografo Chema Madoz, noto per i suoi scatti paradossali dove forma e contenuto sono apparentemente in contrasto tra loro. Immagini che dialogano in perfetta sintonia con i testi di Ramón.

Nuevas Greguerías Ramón Gómez de la Serna Chema Madoz La Fabrica Editorial

Un’operazione simile si può osservare anche nella mostra degli Oggetti Trovati di Bruno Munari, dove vive lo stesso tipo di humor paradossale che, oltre a farci sorridere, ci invita a una diversa chiave di lettura basata su relazioni o affinità visive. L'oggetto trovato quasi sempre viene cercato per le sue caratteristiche di sorpresa: le righe che stanno sopra ai sassi sono strade per biciclette in miniatura, un pennello a cui Munari annoda dei fiocchi formando delle trecce, diventa una pennellessa dai modi vezzosi; una radice raccolta durante una passeggiata nel bosco si trasforma, per le sue caratteristiche morfologiche, in un polpo di montagna.

Omaggio a Bruno Munari, promo per il Munari Day dello IED di Roma

Ma per rendere giustizia all’umorismo casuale degli oggetti non abbiamo solamente bisogno di occhi curiosi, nasi capienti o attacchi di pareidolìa, servono anche dei nomi, come spiega Massimiliano Tappari parlando del suo libro Infanzia di un fotografo (Topipittori): “Stavo passeggiando sul letto del fiume Torre pieno di sassi e vuoto di acqua. A un certo punto ho notato una pietra che riproduceva il profilo di una donna. Questo sasso esisteva già per conto suo, ma è rinato sotto nuove spoglie perché l'ho raccolto e rinominato. C'è un'operazione che ognuno di noi fa ogni giorno senza quasi accorgersene: quando finisci di scrivere un documento il computer ti propone di salvarlo con nome. Quel “salva con nome” è alla base di ogni gesto creativo, o anche semplicemente umano, che si rispetti.” 

Infanzia di un fotografo, Massimiliano Tappari, Topipittori

Questo sguardo attento, creativo, direi anche generativo, si moltiplica grazie anche all’obbiettivo della sua macchina fotografica. In questo modo Tappari ci racconta qualcosa di importante a proposito del segreto (involontario) delle cose, ci dice che è un segreto che sta sotto gli occhi di tutti: in un cartello stradale che si accompagna a una didascalia fuorviante o nella foto di una statua a cui hanno sfocato il volto per questioni di privacy, ma che si svela più facilmente se l’occhio è il protagonista della visione: “Per fare un'apparizione bisogna essere in due. Non c'è solo qualcosa che si palesa ma ci deve essere anche qualcuno disponibile a darle credito". E questo mi sembra si colleghi con una certa coerenza a quello che diceva de la Serna, quando affermava che: «i migliori cortocircuiti li fa la realtà».