(Neanche) un elogio alla nota sul registro



- Ahò, ma chi ti credi di essere, il “maestro” femmina chesicredeumbertoeco?

- ShhhhhhhhhHHHH

[di Giorgia Atzeni]

Premesso che:

- sono tante le cose che NON si possono fare a scuola;

- considero le note disciplinari un richiamo per colpire nell’orgoglio studenti acerbi e “quasi maturi”. Brevi rendiconti, istantanee di episodi al di sopra di ogni sospetto, capolavori di sintesi, per rendere partecipi le famiglie di quanto di eccentrico avviene tra le mura scolastiche. In sostanza, un elenco di “avventure fra i banchi”, di marachelle un tempo scritte a penna su un registro cartaceo, oggi quasi un tweet su quello elettronico;

- in classe non le propongo quasi mai, avvalendomi dell’esonero “maestro femmina” - laddove la popolazione studentesca, nonché il corpo docente, è per la maggioranza maschile - per adottare la strategia del dialogo e mai il pugno duro (anche se per alcuni non pare ci sia da vantarsene);

- la comunicazione autoritaria tra docente e discente ostacola irrimediabilmente ogni apprendimento significativo. E se ancora a troppi interessa solo la docimologia, troppi altri intendono la Scuola come trasmissione di saperi e non la loro interiorizzazione in ambiti reali, utilizzando talvolta metodi pseudo-coercitivi che sanno di predella;

- è quasi impossibile incidere su certi allievi stando disposti un’intera mattina come soldatini in-front-of.  Ancora meno se “la classe fa la ola mentre spiego”, un alunno “vaga in giro per l’aula senza meta, cercando merendine altrui”, l’altro “emette suoni non riconducibili al genere umano”, quell’altro “tenta invano di cancellare con la gomma la testa del compagno”,“Tizio si dà al turpiloquio”, “Caio confessa di avere i cosiddetti strapieni di me e della scuola” e Sempronio ”con una tecnica tutta particolare, fa esplodere il cestino della carta” (1) . In pratica, come faccio a fare il mio mestiere se la classe “ha deciso di tenere una lezione parallela alla mia?!” (2);

-  spesso al tecnico industriale, dove insegno materie letterarie ai meccanici aeronautici - citando Enrico Galiano - confluiscono ragazzi che hanno già smesso di sognare, che fanno una fatica immane davanti a “muri di rabbia” e rassegnazione, sotto coltri di mazzate che la vita gli ha già dato, di “bocciature”, di “non ce la farai mai!”, di famiglie disastrate!

Concluse le premesse, mi azzardo a procedere.

Ai miei alunni, disobbedire, piace. Non credo solo ai miei. Alcuni sembrano adorarti, certi - insipienti - non ti ascoltano e non ti seguono. Quanto più numerosi sono i veti, maggiore è il desiderio di infrazione.

Chi di voi, per esempio, non ha distrutto il proprio diario come atto di rivolta? Distruggere il diario è l’esperienza liberatoria per antonomasia. Scarabocchiare all’impazzata è un atto terapeutico, una tregua essenziale, un rifugio mentre il prof spiega le formule di elettrotecnica, uno sfogo dopo due ore di matematica a scoppio, una provocazione, un segreto, una terapia post analisi logica, un’esplosione per allontanare le paure di fronte alle richieste di perfezione dell’”esamificio”.

Keri Smith docet.

Nonostante noi docenti non amiamo particolarmente le note, i miei studenti sono convinti del contrario.

“Diamine, professoressa Atzeni! Proprio lei che con la fantasia possiamo tutto, anche trasgredire, a lei piacciono le note?” Per la bambina che son stata la parola “nota” poteva essere riferita solo all'ambiente musicale e dunque, in tutte le altre accezioni, altamente offensiva dell’intelligenza infantile e adolescenziale. Da grande, tra una pubblicazione e un’altra, le “note” son poi diventate quelle a piè pagina, talvolta fastidiosamente lunghe come questo post.

Lo confesso, quando frequentavo il Liceo classico Siotto di Cagliari, ne assegnavo di simpatiche a quei prof che sbagliavano un congiuntivo o la concordanza tra soggetto e aggettivo. Si trattava di note immaginarie: restavano agli atti sul mio diario che girava fra i banchi tra una lezione e l'altra. Mi divertivo a compilare lunghi elenchi degli strafalcioni fra saccenti e mettevo per iscritto tutti gli atteggiamenti bizzarri e balzani ex cathedra.

“Ma prof se conosce a menadito le regole perché poi ci invita alla riflessione scritta, in cui ognuno deve elencare su un foglietto quali desidera infrangere dentro e fuori?”

 

 

Perché può essere divertente e liberatorio. Se la Scuola è un servizio, cogliere le opinioni è essenziale. Trascrivere le lamentele, come nei Cahiers de doléances, può dare un po' di respiro all'utenza; dopo il reclamo, la routine educativa può ripartire con maggiore sollievo.

Certo, i gaglioffi, tenuti a frequentare regolarmente le lezioni e ad assolvere i loro impegni di studio, non vorrebbero mai ascoltare, ma solo parlare, mangiare e usare il telefono.

Occorrono le sanzioni, dite? Quante ne irroghiamo al Nostro o alla Nostra? Ma non vorrete convocare un consiglio disciplinare che poi bisogna tornare la sera per discutere tutti vicini-vicini se e quale “castigo” affibbiare al manigoldo giocherellone di turno che “fa la verticale al muro mentre introduco la Rivoluzione francese?” Ma siamo matti? Dovrei prima spiegare come mai il debosciato si sia alzato dal posto, come sia arrivato fino alla parete laterale, abbia puntato le mani sul pavimento e si sia rovesciato a testa in giù, come se niente fosse, in modo totalmente imprevedibile ed estemporaneo mentre il popolo assalta la Bastiglia.

Non cerchiamo colpe, piuttosto escogitiamo trucchetti per evitare provvedimenti ad personam o punizioni del gruppo che - senza valvola di sfogo alcuna - dovrebbe restare stipato in aula (schiena dritta) in un palinsesto di sei mattine su sette dove c’è chi sa e parla (spesso ai muri) e gli astanti, muti come pesci, dovrebbero stare a sentire. E loro, no, non ascoltano e levano gli scudi. A questo punto il docente non dovrebbe sollevare, ma mitigare sempre i toni. Al massimo, dovrebbe usare l’autotune o il beatbox motivazionale per catturare l’attenzione dei più indisciplinati, cuffie-connesse-sei-ore con Spotify. Alla riforma (3) del voto in condotta che “dovrebbe” responsabilizzare i ragazzi e restituire autorevolezza ai docenti (4), io ribatto con il Castigat ridendo ed epochè (ἐποχή). La “sospensione del giudizio” e anche della valutazione. Perché tutto andrebbe sempre misurato e quantificato?

Chiediamoci piuttosto: come fare a catturare le loro menti? Alle prime ore mangiano cracker, lasciando sul banco scie di briciole - che nemmeno Pollicino nel bosco prima dell’abbandono - e all’ultima si assiste a veri e propri ammutinamenti. Indipendentemente dal grado di maturità presunta dei discenti - se non altro per questioni anagrafiche - per ristabilire l’ordine, smorzare tafferugli ed evitare l’insurrezione, ho ritenuto necessario adottare non la sospensione degli studenti ma quella “della parola”. Ed è questo momento di riflessione muta che più li innervosisce. Ma prof oggi non spiega? Certo, la lezione è questa!

Il silenzio non è gradito! Sospiri, pianti e alti lai…

Ai miei piace fischiare fortissimo quando suona la campana della fine delle lezioni, dopo essersi catapultati fuori mentre ancora introduco, climax discendente, il Decadentismo. E non solo gli piace tirare su il volume della voce ogni tre per due, ma anche far perdere le loro tracce una volta “mandati in bagno”, darsi pappine e pugni ogni piè sospinto che non capisci mai se scherzino o facciano sul serio, fare il verso degli animali, esprimere i loro sentimenti usando - una parola sì, una no - epiteti poco edificanti spesso rivolti al genere femminile. Santa pazienza!

Del resto, che gli adolescenti portino dentro le aule stati d’animo inquieti, spesso accompagnati da insoddisfazione, è un fatto noto. Entro in classe quasi tutti i giorni e fra i banchi, il più delle volte, regna la noia. E quando ci si annoia, per dirla con il poeta psicanalista statunitense Nuar Alsadir, non si riesce a sognare e nemmeno a pensare. Non è confortante: la noia è una sensazione che nasce come impulso o tabù spesso di natura aggressiva. Di per sé non è pericolosa, ma lo è ciò che si nasconde sotto di essa. Scrive John Berryman in Dream song 14 che “Confessare di essere annoiato/significa che non hai/risorse interiori”. Insomma, la noia non risolta internamente spinge lo studente insofferente a cercare continuamente sollievo fuori di sé e ciò si manifesta con un’iperattività che gli psicoanalisti definiscono "difesa maniacale”. Ciò che propone la scuola non è interessante o non abbastanza divertente? Allora scatta il muoversi di continuo, il manipolare carta o plastilina o gomma pane, il controllo continuo dei social media, il mangiare ininterrottamente, l’alzarsi in piedi per “sgranchirsi le gambe”.

 

Dovreste vedermi quando, al cambio dell’ora, arrivo sull’uscio dell’aula. Io. La prof di lettere! La peggiore. La logorroica. Quella che leggiamo a tutti i costi. Quella che ci farà scrivere. Ma chi ne ha voglia! Adesso inizia a rompere questa!

Sapendo che i baldi giovani amano imitare i versi degli animali, concedo loro almeno dieci minuti per fare tutto lo zoo. E quando domando loro, dulcis in fundo: “Come devono vivere gli animali?” e loro in coro “Liberi!” E loro liberi vorrebbero stare: sbullonando i sederi dalle sedie. Così a volte propongo il circle time che allenta la “tenuta” della classe.  

Ai miei alunni piace il circle time, in primis, perché è sempre meglio della verifica su Durante di Alighiero degli Alighieri, o del progetto di una mappa concettuale in versione “autocritica” stillante peccati di gola e ignavia. Divorano panini e poltriscono: sanno già che l’Inferno li attende!

Se non altro la richiesta di mettere via libri e quaderni, spostare i banchi alle pareti per sedersi in cerchio al centro dell’aula, suona come un piccolo annuncio di indipendenza. Dallo spazio costrittivo del banco, abbandonate le penne, ci si può muovere per l’aula o comunque sedersi vicino al compagno che si preferisce. E non è poco. Nel cerchio tutti i punti della circonferenza sono alla stessa distanza, tutti i punti hanno la stessa importanza, tutti i punti sono indispensabili per disegnare il cerchio, docenti e discenti.

In ogni classe ci sono almeno un paio di studenti ai quali il circle time sembra “roba da asilo”, o che si sentono mortificati dall’esperimento così fuori schema nella scuola superiore, nonostante a lamentarsi siano gli stessi che fanno aeroplanini di carta o palline di gomma pane di continuo. Questi ultimi sono gli stessi che terranno gli occhi levati al cielo per tutta la durata dell’attività, con conseguenze facilmente immaginabili sulla qualità della concentrazione. Gli altri, invece, risolvono velocemente e per il meglio il conflitto tra il proprio giudizio sulla proposta didattica e la promessa di un momento di libertà o perfino di gioia condivisa. I loro interventi sono a volte i meglio riusciti.

Il setting dell’aula così disposta in cerchio diventa subito un banco di prova della capacità di adattamento e valutazione delle situazioni complesse. Così disposti, si parte con il flusso del confronto circolare e lavorano come se io non esistessi! La voce del maestro viene meno (finalmente) e si mobilitano (ma anche nobilitano) le risorse soggettive dell’allievo. Oggi parliamo di Jean-Jacques Rousseau e commentiamo la sua frase «L'uomo è nato libero e ovunque si trova in catene». Si fa il giro, ognuno dice la sua e, confrontandoci, scoprono che gli illuministi aprirono la strada al mondo contemporaneo. Del ripetere a memoria non si preoccupa nessuno. Neanche il primo della classe, che può finalmente parlare un po’ come gli viene. La valutazione è apparentemente sospesa ma gioiscono quando trovano un voto sul registro. Più che sufficiente! Questo costituisce un importante fattore di riduzione dello stress interrogazione-correlato.

A oggi l’atto di E-DUCARE, per trascinare, condurre oltre, non può più servirsi della metafora dell’imbuto piuttosto di una siringa nell’atto di aspirare, di un cavatappi, di un’aspirapolvere “che porta fuori”, estrae quel che c’è di buono, con un processo metacognitivo, in cui talvolta si assumono le conoscenze e talvolta le si estraggono, magari dopo una rimescolata in un frullatore-estrattore di succhi di frutta e verdura. E tutti i prof in coro: Ma quale succo se-qui-son-tutte-mele-marce?

“Studia!”, dice mamma! “Studia!”, dicono i prof! Al “Mangia, mangia” scattano immediatamente rifiuto e opposizione, insomma vien loro l’anoressia mentale. Educere o seducere? Io direi portare altrove, rapire.

Davanti a programmazioni misoneiste e cattedre frontalizzate meglio l’inaudito, l’imprevisto, l’insolito. Per disorientare, spaesare, per scoprire anche giocando. Perché l’attività conservativa della memoria è essenziale, ma vuoi mettere il cinema, il teatro, o la gita? Senz’altro meglio di un uso smodato di google maps sulla LIM per viaggiare virtualmente o sbirciare fuori dalla finestra, California Dreaming. Muoversi è essenziale nell’apprendimento esperienziale, sebbene quasi mai gli studenti escano dalla classe (5),  perché poi non sanno come ci si comporta e “tocca mettere la benedetta nota sul registro!” perché per contratto tutti i docenti di ordine e grado sono tenuti a preservare la loro integrità fisica durante l'orario scolastico - fuori e dentro l'aula - e contemporaneamente la nostra salute mentale. Maledetta culpa in vigilando!

Azzardo ancora. Dunque.

La vita è fatta di caos, di imprevisto, di turbolenza. E quanto son turbolenti questi, mi dico tutti i giorni, passando da un’aula all’altra. Ma che senso ha una Scuola noiosa e stupidamente severa che ammaestra e disciplina le giovani vite? Si ha sempre una gran fretta. Noi insegnanti ci carichiamo ogni giorno di ansia da prestazione ma non è aggiornamento di sistema. Non si dà mai troppo spazio all’alunno, al singolo alunno che occupa una posizione speciale dentro la classe. Ognuno con le sue peculiarità che ci piacciono molto o per niente. È più facile amare meno quelli che hanno più bisogno d’aiuto. Quelli più faticosi. Che si muovono di più, che gridano di più, che non sanno concentrarsi.

Sembra che il tempo non basti mai perché c’è sempre da fare: spiegare, valutare, lodare e talvolta punire. Non sarà forse che rispondiamo allo stereotipo di censore senza scrupoli, all’icona del castigamatti tout court, allo spauracchio senza cuore? Questononsidice, questononsifa? Non è questione di bocciare ma di far “sbocciare”. Per dirla con Jean-Jacques Rousseau «Il castigo inflitto ai bambini per i loro difetti conferma i loro difetti».

Tutti conoscono le regole, alcuni vorrebbero violarle, ma senza non si può stare insieme. E allora a inizio anno si firmi “l’accordo maggiore!”, un sincero patto di corresponsabilità dodecafonico, in cui  il direttore (il docente) e il coro (gli alunni), si confrontano specularmente.

Il direttore guardi tutti negli occhi e il coro intoni bene il suo mottetto quotidiano, limando via via le stonature. Ma prof? Non lo sa che non si può cantare in classe?

Sono davvero troppi i divieti a scuola.

(1) Cito pedissequamente il mitico volumetto La classe fa la ola mentre spiego. Le note disciplinari più pazze d’Italia, a cura di John Beer, Rizzoli, 2006 (ristampato ben undici volte tra 2006 e 2007).

(2) Il libro che ho letto per scrivere questo articolo sono le classi che ho frequentato negli ultimi vent’anni.

(3) Nel disegno di legge del 18 settembre 2023.

(4) Ovvero “rinfrescare” la memoria ai discenti circa la cultura del rispetto, puntando sul principio di responsabilità al fine di restituire piena serenità al contesto scolastico.

(5) Anche perché questo comporta ogni volta stressanti responsabilità burocratiche e penali che fanno desistere anche i maestri e i prof più motivati!