Nel bosco con Simona Vinci

[di Lilith Moscon]

La lettura del libro Mai più sola nel bosco di Simona Vinci, edito da Marsilio e uscito per la collana PassaParola, mi ha restituito un ricordo lontano. PassaParola è una collana curata da Chiara Valerio, nella quale «scrittori italiani raccontano del mondo e di sé partendo da un libro».

Addentrandomi nei paesaggi di Simona e nelle fiabe dei Fratelli Grimm, con cui l’autrice dialoga, ho ritrovato frammenti di miei paesaggi e, nello specifico, ho ritrovato nitido, intatto, il ricordo del giorno in cui arrivò un nuovo ospite al centro diurno per disabili dove lavora mia madre. Aveva la testa reclinata, occhi e bocca spalancati e un rivolo di saliva che si riversava su un bavaglio. Claudicava e, al posto di parlare, emetteva suoni sordi. Avevo sei anni quando lo vidi e urlai dallo spavento, assieme alla mia amica Myriam. Urlammo e corremmo a nasconderci nella campagna che circonda il centro. Mi capitava spesso di trascorrere lì i pomeriggi o mesi interi, quando finiva la scuola. Una volta uscite dal nostro nascondiglio, tornammo con passo incerto verso l’uomo dalla testa reclinata e lui ci sorrise, esibendo la sua dentatura fitta e muovendo nervosamente una mano in segno di saluto. Mi batteva il cuore dalla curiosità e dalla paura. Da quel momento cominciammo a seguirlo, a osservarlo da una certa distanza che andò ad assottigliarsi nel tempo. Scendevamo fino al maneggio per vederlo andare a cavallo. Lo tenevamo sott’occhio a tavola, mentre veniva imboccato. E continuavamo a guardarlo fino a quando i suoi genitori non venivano a prenderlo.

I bambini sono attratti da ciò che li spaventa. Riconoscono il valore nutritivo della paura e lo inseguono nei loro giochi, nelle loro letture. Sanno che l’unico modo per affrontare la paura è frequentarla. Sono certa che io e Myriam cercammo allora, a modo nostro, di fare amicizia con l’uomo che ci aveva fatto scappare a gambe levate.

Nella fiaba dei Fratelli Grimm Frau Holle mi sembra ci sia in gioco proprio questo. Senza scendere nei particolari della trama: una fanciulla si tuffa in un pozzo per recuperare il fuso che le è scivolato dalle mani. Il fondo del pozzo si trasforma in un paesaggio dentro al quale la fanciulla conosce Frau Holle e si mette al suo servizio. Dopo del tempo, la ragazza esprime il desiderio di ricongiungersi alla sua famiglia e, dato che ha lavorato bene e diligentemente, il suo desiderio viene esaudito e la ragazza può fare ritorno a casa assieme a una generosa quantità d’oro ricevuta in premio.

Il mondo che si schiude alla fanciulla in fondo al pozzo è il mondo infero, il sottosuolo. Signora degli Inferi - come la chiama Simona Vinci - è Frau Holle. Il premio viene consegnato alla ragazza dopo che questa è stata capace di abitare l’oscurità e di servirla, esattamente come accade in molte altre fiabe: seguendo il mostro nei suoi luoghi nascosti, accontentando le sue richieste, la protagonista o il protagonista trova la via per poter tornare a vivere nella luce e per ricongiungersi ai propri cari.

Frau Holle insegna alla fanciulla a scuotere lenzuola e cuscini per far nevicare (illustrazioni di Paul Hey, Adolf Münzer e Luigi Raffaelli).

«Ero amica delle mie paure, cantavo salendo le scale nel buio con il batticuore, sfioravo il muro con i polpastrelli per farmi coraggio mentre avanzavo verso il piano disabitato di una vecchia casa. Sapevo che c’era una Cosa in giardino, dietro la siepe più fitta, e la sentivo ringhiare sommessa al mio passaggio.» (Simona Vinci, Mai più sola nel bosco)

Per poter essere amici delle proprie paure occorre sfiorarle con i polpastrelli, camminare vicino alle siepi dove le sappiamo nascoste o in agguato. Le fiabe ci mostrano spesso modi possibili di andare incontro a una sfida, sia questa rappresentata da un personaggio orrorifico o da una serie di prove da affrontare.

Jack Zipes scrive, ne La fiaba irresistibile (Donzelli Editore):

«L’arte della narrazione, come rivela l’intera raccolta di Pitrè, ha a che vedere con l’apprendimento di come sopravvivere a condizioni di vita dure e aspre, piuttosto che di come condurre un’esistenza all’insegna della moralità.»

Giuseppe Pitrè, come i Fratelli Grimm, è stato un grande raccoglitore di fiabe. Nacque a Palermo nel 1841 da un marinaio, Salvatore, e da Maria Stabile. A pensarci bene fu davvero stabile Maria, e ferma e decisa, quando suo marito morì nel 1847 di febbre gialla: riuscì a sottrarre Giuseppe a un destino in mare e - grazie all’appoggio della famiglia estesa e di un sacerdote - fu in grado di offrirgli opportunità di studio. Agatuzza Messia, sua nutrice e abilissima novellatrice, lo introdusse al mondo della narrazione. È da quest’ultima - e da altre donne come Francesca Amato, Rosa Brusca… - che provengono molte delle fiabe raccolte da Pitrè.

«Le donne parlano, e gli uomini ascoltano» scrive Simona Vinci a proposito dei Fratelli Grimm e delle Fiabe del focolare.

Anche Wilhelm e Jacob Grimm entrarono in contatto con diverse narratrici che fornirono loro materiale prezioso. In Mai più sola nel bosco veniamo a conoscenza della loro identità: dalle sorelle Wild alle sorelle Hassenpflug a Dorothea Wiehmann. Sono voci femminili quelle che accompagnano a scendere nell’universo del pauroso, del simbolico, in cui piante e animali sono vivi e parlano al pari degli esseri umani. Madre Terra - altro termine riferito a Madama Holle nel libro della Vinci - è colei che ci attende per educarci al linguaggio di questo universo.

Dorothea Viehmann in un ritratto di Ludwig Emil Grimm.

«Forse le donne e le giovani nascono direttamente dai lupi, già vestite di cappucci e mantelle rosso sangue» scrive Jack Zipes richiamandosi alla litografia Born di Kiki Smith. E chi meglio di un essere nato da un lupo potrebbe introdurre ai misteri della terra, del bosco e del sottobosco? Le fiabe aprono al mondo del possibile e del diverso. Tra i loro personaggi compaiono storpi, nani, zoppi, grulli, creature ferine. A popolare le fiabe sono gli strani, i “mattucchini” di Budrio, luogo d’infanzia di Simona Vinci, le creature dei film di Fellini, che vengono ricordate nell’articolo di Goffredo Fofi Federico Fellini, cantore di matti e marginali uscito su Internazionale e di cui raccomando vivamente la lettura.

Born, litografia di Kiki Smith e copertina di La fiaba irresistibile (Jack Zipes, Donzelli Editore).

L’uomo dalla testa reclinata che conobbi da bambina, avrebbe potuto essere un re, l’erede al trono de Le tre piume dei Grimm. Nella fiaba il matto cammina accanto al savio, il sottosuolo è abitato quanto la superficie della terra. Vita e morte si alternano, come il coraggio e la paura. Per accedere alla libertà sembra che sia necessario lasciare un pegno e accettare di vivere sotto le spoglie di un animale o al servizio di creature mostruose. Occorre fare spazio al mostro sul nostro letto, come nel racconto di Mercer Mayer Una strana creatura nel mio armadio, e come nella fiaba Il principe ranocchio. Solo dopo aver preso dimestichezza col mostruoso - che non è solo un’entità esterna, ma alberga in ognuno di noi -potremo spezzare l’incantesimo che costringeva il principe nel corpo di un ranocchio e sentirci nuovamente felici, come il suo cocchiere Enrico.

Mercer Meyer, Una strana creatura nel mio armadio (Kalandraka).

«Forse continuare a frequentare le fiabe può servire a questo: mantenere viva la speranza, anche in condizioni difficili se non assurde, che una giustizia o un senso superiori esistano, che il pensiero magico qualcosa possa, che l’innocenza e la fiducia ricevano, prima o poi, una ricompensa inaspettata. Forse, un giorno, i cerchi di ferro che ci siamo incatenati intorno al cuore per non farlo scoppiare d’angoscia - gli stessi che il fedele Enrico, il servitore del re, si inchioda nel petto quando il suo padrone viene tramutato in rospo da un incantesimo - si spezzeranno uno alla volta, con il clangore di anelli di catena che si rompono di schianto, e finalmente saremo liberi, e felici.» (Ibid., Simona Vinci)