Noi del Trasloco

Ed eccoci alla settima novità di primavera, questo poi davvero è un titolo molto primaverile perché è dedicato ai giardini. Lo hanno realizzato Christel Martinod (illustrazioni e grafica), Federico Novaro (testi), Stefano Olivari (schede), si intitola Il trasloco del giardino. Qui si racconta come è nato.

[di Federico Novaro]

Non saprei dire quanto tempo sia passato. I Topi (raro esempio di editori che vengono chiamati col diminutivo del nome della loro casa editrice) ci chiesero un libro per loro. Non ho fiducia nella mia memoria, ma dovevamo essere a Torino. Neanche so bene come i Topi ci conoscessero. Beh di certo c’è che Giovanna Zoboli, una dei due topi, scrive cose fantastiche su un sito che dirigo, questo introdusse una certa confidenzialità. Paolo Canton anche conoscevo da tempo, forse a entrambi era piaciuto un libro che scrissi anni fa, Love Song. Ma prima ancora forse avevo fatto delle fotografie a un loro libro che tanto mi era piaciuto, L’omino e Dio, di Kitty Crowther e forse ne avevo scritto sul sito; o forse ancora prima chissà. Fatto sta che un giorno, insomma, Giovanna e Paolo, Zoboli e Canton, i Topi, ci chiesero, a me, a mio marito Stefano Olivari e a Christel Martinod di fare un libro per loro. Già avevano visto in effetti Christel e me lavorare insieme per un progetto che aveva avuto origine da una commissione di Stefano: raccontare la storia dell’elefante Fritz, che un giorno di tanto tempo fa fu regalato al Re e che visse a Stupinigi allegro ed esotico. Il libro era destinato ad essere regalato nelle scuole primarie di Nichelino, il comune dove sorge la Palazzina di Stupinigi, era un’operazione nell’ambito di un lavoro di marketing territoriale che aveva progettato e diretto Stefano, che è un paesaggista, paesaggista come si intende ora, che non solo disegna parchi o viali ma anche capisce e interpreta i tratti culturali che compongono il paesaggio, da una scala piccola a quella grande.

Con Christel, che è una grafica e non una illustratrice e che affronta l’illustrazione con la stessa cristallina forma mentis di quando progetta una campagna affissione, pensammo di fare un libro-gioco, che potesse essere letto e ritagliato e colorato, e pensammo a quelle operazioni come atti che aiutassero chi leggeva ad amare e comprendere lo svolgersi della storia, come le azioni fisiche o intellettuali richieste fossero piccole azioni teatrali che animassero il libro e la lettura. Fritz piacque ai Topi che ne parlarono in un post sul loro blog, forse lì, anche, nacque in loro l’idea di farci fare un libro, non so. Forse quando poi vararono la collana PiNO pensarono che noi potevamo far qualcosa di bello. Noi ne fummo lusingatissimi. Prima di procedere nel dire come procedemmo, vorrei subito dichiarare che consegnammo il libro con un anno esatto di ritardo. Ecco. L’ho detto. Così non vedo su me l’occhio arcigno (ma quando mai), la voce tonante (ma dài) dei Topi che reclamavano il manufatto e inoltre spostiamo, così, indietro la data dell’origine. Fingiamo, dunque, come fu, la pace e la serenità e che la consegna arrivò in orario.

Ci chiesero dunque allora, quel giorno, i Topi, un libro per la PiNO che facesse venire voglia a chi lo leggesse di fare un giardino, anzi, d’esser paesaggista. Mi pare poi fossimo a casa ma forse no, chiedevo quali fossero i limiti fisici del nostro libro, quante pagine, quanto grandi, le bandelle, le pagine doppie. La pagina quadrupla, al centro del libro, me la sognavo dall’inizio, sapevo che Christel avrebbe fatto mirabilie. I Topi una cosa anche chiesero mentre si discuteva, che non ci fosse quello che venne chiamato “il personaggino”. Il personaggino, verso il quale ho ormai una postuma affezione, è quella bidimensionale figuretta che talvolta accompagna la lettura nei testi di divulgazione scientifica destinati a un pubblico scolare, una figuretta che vuol far simpatia, quella che dice: guarda! Una cellula! Da quell’assenza partimmo.  L’altra cosa, conseguente, era: chi racconta? Il giardino non è come la cucina che c’è in tutte le case: il giardino è dei ricchi! Perciò chi racconta sarà una ricca persona? Ci sono libri bellissimi che raccontano i giardini dei ricchi, ma non era la direzione che volevamo prendere.

Cercavamo qualcosa che permettesse l’identificazione, ma sufficientemente distante da non costringere a dire uff, non parla di me, io non ce l’ho il giardino. Decidemmo che se non c’era un personaggino che accompagnasse, non ci sarebbe stato neanche un personaggio. Ok! Senza personaggino e senza personaggio, chi avrebbe condotto, chi ci avrebbe letto, dalla prima pagina all’ultima?

C’è una febbre alla quale non si può rinunciare, quando si pensa a un libro: quella che porterà chi aprirà il libro a girare pagina, e poi quella dopo e quella dopo ancora, per saperne di più. Ci voleva una linea, una freccia. Invece fu un arco. Il Trasloco è disposto lungo una linea che disegna un arco, c’è una salita, un lento culmine, una discesa. L’incipit e l’excipit avrebbero alluso all’idea che quell’arco è un cerchio. Questo quasi fu deciso senza che avessimo chiaro cosa ci sarebbe poi stato, lungo quell’arco. Mi ricordo che quando ero studente e dovevo fare figura dal vero, bisognava disegnare le linee di struttura e poi la forma ritratta; io di nascosto facevo il contrario e le mie linee di struttura risultavano sempre ben fatte. Questa volta, invece, davvero iniziammo dalle linee di struttura! Ci voleva un crescendo, che trascinasse la lettura e instillasse la passione. Non volevamo raccontarlo, il giardino, volevamo renderlo percepibile. D’altra parte non c’era personaggio.

Non volevamo personaggio anche per non avere un punto di vista, non avere un io che parla, non avere due soli occhi. Volevamo che l’attenzione fosse sul giardino, era questo che ci chiedevano! Escludemmo l’io. Il tu non ci pensammo proprio. Il narratore onniscente che descrive l’egli: non è più tempo. Optammo per un noi. Noi! Era divertente anche il fatto che ci sarebbe stata ambiguità riguardo il fatto che autori del libro siamo tre, siamo un noi, in effetti. Ma il noi che parla nel Trasloco non siamo noi. È un noi che io che ho scritto il testo conosco, ma non siamo noi.

Avevamo un soggetto! Farlo parlare sarebbe stato affar mio, ma per dire cosa? Per illustrare quali figure? E le cose che avrebbe detto il personaggino, le istruzioni per l’uso della passione per il verde, chi le avrebbe dette, in sua assenza? Le schede sono state la soluzione; inoltre permettevano di sganciarci dalle suggestioni scolastiche dei manuali. Non avevamo personaggio, non avevamo personaggino, non avremmo fatto un manuale. Non volevamo raccontare una storia: ci era stato chiesto di provare a suscitare una passione, non di raccontare quella passione.

Allora la domanda da cui partire era: perché è appassionante fare un giardino? Beh, prima bisognava capire cosa fa di una cosa un giardino; lì cominciò il libro. Individuammo 6 elementi senza i quali, o senza uno dei quali, non sia dato un giardino. I Topi ci avevano regalato delle grandi bandelle, che avvolgono il libro e aprendosi lo fanno stare in piedi; lì disponemmo gli elementi (avevamo fatto con Christel un modellino, che Christel mi spiegò chiamarsi mock-up, piccolo e ciancicato, fatto con dei foglietti piegati che quando giorni dopo ci presentammo ai Topi dicendo abbiamo il libro! –nel senso che avevamo capito come farlo- e tirammo fuori il ciancichino: ecco, lì li ho visti per una volta vacillare (e dirsi telepaticamente come fanno i Topi: abbiamo delle alternative vero? Quell’autore svizzero l’avevi poi contattato? Quell’illustratrice guatemalteca ti aveva poi risposto?).

Terra, acqua, luce, confine, uomo, tempo: ci parve che laddove questi elementi ci siano, allora può esserci un giardino. Allora capimmo che un giardino può essere tanto grande quanto tanto piccolo e soprattutto che il giardino non è dei ricchi, ma di tutti. Da lì nacque l’idea di rappresentare il crescere della passione per i giardini, e di suggerire l’importanza dello sguardo nel sapere riconoscere, nel mondo, un giardino.

Così mettemmo in scena un giardino fatto solo da un piccolo vaso, da lì spostammo lo sguardo e vedemmo un giardino sul davanzale, da lì scendemmo in cortile dove c’era un’aiuola, da lì, oltre la staccionata intuimmo un giardino intorno a una casa e da lì entrammo, col fiato in gola, in un parco. Mancavano due cose. Ci scervellavamo cercando qualcosa che trasportasse l’attenzione lungo lo sguardo, perché una semplice enumerazione di giardini possibili: che noia! E ci tenevamo a dare pari dignità a ogni giardino. Volevamo che, seguendo la progressione, non si perdesse il valore in sé di ogni tappa. Trasportiamo il giardino! Da lì nacque l’idea del trasloco. C’era anche forse un ricordo mio personale, di quando da piccolo la mia famiglia affrontò un grande trasloco, che comprese anche moltissime delle piante del grande giardino dove ero nato.

Non si pensa spesso che le piante si possono traslocare, ma in effetti le piante raramente, nei giardini, nascono lì dove vivono. E poi era molto divertente pensare ai mezzi di trasporto, sempre più grandi: ci permettevano di inserire una nota buffa nel libro.

Arrivati al parco – e da subito pensammo che al parco sarebbero state dedicate le sei pagine centrali, subito fu chiara l’idea del cancello - avevamo la seguente metà libro e l’arco da compiere e l’idea che non sia solo il giardino l’importante di chi sia paesaggista, ma ciò che si impara via via. Così dal parco, noi, saremmo tornati al giardino, all’aiuola, al davanzale, al vaso, in un’allusione mai esplicitata all’arco dell’esistenza di una persona, dalla giovinezza, alla maturità, alla vecchiaia. Il vaso iniziale, che compare in tutte le tappe, di trasloco in trasloco, è lo stesso delle pagine finali, ma l’esperienza sedimentata di giardino in giardino è tutta lì.

Le schede di Stefano accompagnano via via la lettura fornendo dapprima istruzioni più elementari per accompagnare chi legge verso la complessità e l’ampiezza di competenze che un giardino richiede, usando un linguaggio semplice ma che non rinuncia a termini tecnici, per suscitare la voglia di saperne di più, e ancora, e ancora, che è la bulimica base della passione d’ogni giardiniere. La soluzione grafica per tentare di rendere questo crescendo è stata quella di aggiungere via via, a ogni passaggio, una tecnica di rappresentazione: prima abbiamo campiture piane, poi a queste si aggiungono le trasparenze, poi i pattern, poi la fotografia, poi la riproduzione di incisioni.

Nelle pagine sontuose del parco tutte le tecniche sono presenti; da lì, a scendere verso la fine, ad alludere alla persistenza dell’esperienza, in ogni illustrazione Christel ha utilizzato tutte le tecniche sperimentate sin lì, c’è una ricchezza di sguardo, una sedimentazione di sapere e memoria che non si perde, che resta con noi, di trasloco in trasloco. Quando infine presentammo ai Topi il lavoro fatto ci dissero che andava bene, che non c’era niente da cambiare, e mai complimento fu più gradito.