Poesie aguzze


Domenica 17 ottobre 2021, sotto il sole di Roma, alla libreria L’Altracittà si è tenuta la prima edizione di una giornata di laboratori dedicati alla scrittura di poesia e al disegno su piccolissimi supporti, dal titolo “Micropoesia”, ideato e curato da Gioia Marchegiani, Silvia Vecchini e Matteo Pelliti.

I tre laboratori hanno prodotto una ricerca sulla scrittura poetica come veicolo per rifunzionalizzare la realtà  - le scatoline dei punti da spillatrici di Pelliti -, come scandaglio della propria interiorità e biografia - i compiti di scrittura racchiusi nei microlibretti dentro gusci di noce di Vecchini) - e infine come movente per liberare nel disegno, a matita e ad acquerello, le storie potenziali che una collezione di oggetti minuti, conchiglie, chiavi, gomme, soldatini, può generare in chi li osserva.

Di seguito, oltre ad alcune foto della giornata (di Gioia Marchegiani) riportiamo la “dispensa” di uno dei tre laboratori, Come scrivere una poesia aguzza e perché di Matteo Pelliti.

Come scrivere una poesia aguzza

[di Matteo Pelliti]

Fotografia di Gioia Marchegiani.

Un laboratorio di micropoesia in collaborazione con L’Altracittà – Roma, 17 ottobre 2021

All’inizio furono le scatoline azzurre dei punti metallici per le cucitrici Zenith, ad attirare la mia attenzione. Un piccolo manufatto, di cartoncino celeste e bianco, con dentro una scatolina apribile e tutte le puntine, ordinatamente sovrapposte in doppia fila. Un involucro assolutamente essenziale, funzionale, quindi bello.






Poi fu lo spazio bianco, in “copertina”, che mi invitava a scriverci sopra qualcosa, qualcosa di alternativo al contenuto dichiarato delle puntine, i 1000 punti per cucitrici Zenith 548 e 590: POESIE? RIME? PAROLE?

Poi, le scritte sul retro della scatolina, “Acciaio Naturale”, e “Punti Aguzzi” tradotti in varie lingue, con lo straniante “Acero” per “Acciaio” dello spagnolo (un legno che traduce un metallo?) e poi quel “Aguzzi” che richiama ad un’acutezza, un’intelligenza di sguardo (aguzzare la vista? Aguzzare l’ingegno?). E non fa proprio questo, forse, il linguaggio della poesia? Aguzza l’ingegno della linguaggio in cerca di parole...aguzze, essenziali. E non è forse vero che, quando le parole della poesia funzionano, quelle “bucano” le pagine e le tengono insieme, proprio come fanno i punti delle spillatrici?

Da qui, dai “punti aguzzi” alle “poesie aguzze” il passo è stato brevissimo. Ma dove scrivere queste poesie aguzze? Meglio queste #poesieaguzze, che è l’hashtag col quale ho iniziato a pubblicarle su Instagram.

E chissà se i signori BALMA, CAPODURI & C. Sas, laggiù a Voghera, siano pienamente inconsapevoli, oppure lontanamente consapevoli, degli oggetti potenzialmente artistici (o artistici in se stessi) che producono (o fanno produrre?) per trasportare e vendere i loro punti metallici...

Arrivò, infine, la scoperta, sempre nello straordinario mondo della cancelleria, per me “burocrate innamorato” della cancelleria (a questo proposito cercate lo straordinario volumetto di Massimiliano Tappari, Il burocrate innamorato, Franzine n.11, Milano 2021) della dimensione dei piccoli Post-it 5x3 cm che, ripiegati opportunamente a metà, costituiscono la pagina in miniatura perfetta da inserire nelle scatoline dei punti.



A dirla tutta, forse basterebbe scrivere “poesie” sulla scatolina, per poi regalarla agli amici, ai parenti, ai nostri affetti, per realizzare qualcosa di “poetico”. Sia che i nostri parenti, amici e affetti siano degli utilizzatori delle cucitrici Zenith 548 e 590, sia che non siano utilizzatori di cucitrici. 
Ma non è detto che tutti i destinatari potenziali della scatolina con su scritto “poesie” e con solo i punti metallici dentro aguzzino immediatamente l’ingegno tanto da capire che vogliamo indicare loro che  le parole della poesia, quando funzionano, “bucano” le pagine e le tengono insieme, proprio come fanno i punti delle spillatrici. Così, forse in modo un poco ridondante, possiamo apprestarci a scrivere qualche poesia aguzza da inserire nelle scatoline, per rendere più perspicuo il nostro “gesto poetico”.

Ma come scrivere una poesia aguzza? Forse abbiamo risposto vagamente al perché scriverla, ma come è tutto un altro paio di maniche. Una poesia aguzza, intanto, si scrive a mano. In corsivo o in stampatello, fa lo stesso, o con un misto di corsivo e stampatello: a seconda delle parole che vogliamo evidenziare, a seconda della leggibilità del nostro corsivo (quello che abbiamo imparato alle elementari e che abbiamo modificato negli anni depositandoci dentro una parte notevole della nostra “fisionomia”, o quello che abbiamo disimparato a scrivere per l’uso prolungato di tastiere, computer, smartphone…), a seconda della gestione dell’area scrivibile dei nostri foglietti post-it 3x5 cm.

Vediamone alcuni esempi:

Vediamo, già da questa piccola campionatura, un elemento ricorrente (ma NON necessario) delle poesie aguzze: la rima. Anzi, in un primissimo prototipo di poesia aguzza la rima era tematizzata e messa in parodia così:

Poesia

per fare


prima:

togli

la rima.

In realtà, la rima è un espediente intorno al quale costruire più agevolmente una poesia aguzza. Partiamo da una rima, o meglio partiamo da un parola, un concetto, un’immagine che ci interessa e troviamo cosa fa rima con quella parola. Nel caso che la nostra poesia aguzza sia un messaggio/dedica indirizzata a una persona specifica, potrebbe essere il cognome del dedicatario/a a suggerirci la rima intorno alla quale costruire il nostro testo.

Altro elemento ricorrente (anche questo NON necessario, ma utile) è che il soggetto della poesia aguzza è la poesia stessa: è una poesia che dice qualcosa di sé, che si auto-espone, che si fa veicolo di un piccolo messaggio, pubblico o privato. Un piccolo testo che si autodefinisce poesia (è poesia in quanto si autodefinisce “poesia”, in modo circolare) e che parla di un contenuto, di una caratteristica del testo stesso, o che sposta l’ambito semantico di riferimento del concetto di poesia ad un altro per creare un elemento di sorpresa, e di divertimento. Ad esempio:

D’estate


le poesie

più lunghe

di un rigo

van messe

in FRIGO

Una poesia aguzza che gioca con l’idea di una “deperibilità” dei testi poetici più lunghi, quasi fossero degli alimenti, formaggi, affettati, da conservare al fresco nei mesi più caldi. Questa poesia aguzza in particolare, poi, che avevo spedito in dono all’illustratore amico Sergio Ruzzier, ha rischiato davvero di non finire in frigo (anche se le sue parole distese starebbero su un rigo solo) perché caduta per terra uscendo dalla busta che la conteneva, insieme ad altri libri che avevo inviato a Sergio.



Riassumendo il  “come si scrive una poesia aguzza” raccolto fino a qui, abbiamo:


  1. scrittura a mano
  2. rima
  3. circolarità ostensiva (“Questa poesia...”etc.)
  4. gioco linguistico (spostamenti semantici, slittamenti di significato)

Detto così sembrerebbe complicato, ma non lo è, perché l’elemento più importante è il movente, l’occasione, che ci fa mettere in atto tutti, o parte, degli elementi precedentemente rintracciarti. Scrivo una poesia aguzza per divertirmi! Scrivo una poesia aguzza per generare una piccola sorpresa in chi la riceve in dono.
 Scrivo una poesia aguzza per provare a condensare un piccolo non sense su carta (che significa ritagliare un frammento del grande non sense che è la realtà).

Una volta trovata la parola/immagine/concetto chiave intorno al quale vogliamo costruire la nostra poesia aguzza, compreso l’eventuale destinatario/a della stessa, siamo pronti a scrivere. Ma, attenzione!, dobbiamo fare stare la nostra poesia nelle due facciate del post-it ripiegato e incollato a metà!

Anche qui, abbiamo due possibilità.

  1. usare un solo lato
  2. usare tutti e due i lati.

In questo secondo caso, possiamo usare il secondo lato come ulteriore “vincolo” compositivo, cioè scrivere sul secondo lato una conclusione, un explicit, che costituisca una sorpresa rispetto al primo lato, ad esempio completando e chiudendo la rima (se abbiamo scelto di usare la rima nella nostra poesia). La rima è una sorpresa rassicurante, come una specie di promessa mantenuta.

Torniamo alla nostra grafia, ora, o calligrafia. Perché dobbiamo riuscire a far entrare il testo che abbiamo pensato in uno spazio molto piccolo, e quindi settare, per così dire, la nostra grafia per rendere intellegibile quel testo all’interno di quello spazio. Conviene, quindi, prima di scrivere sul nostro post it fare una prova di scrittura su un foglio, dove abbiamo disegnato il contorno del foglietto, per riprodurne l’area. Oppure provare a scrivere direttamente sul post-it, sapendo che magari dovremmo buttarne qualche prova prima di essere soddisfatti del risultato (un testo leggibile e distribuito su uno o due lati).

La larghezza minima del post-it ci predispone, inoltre, ipso facto alla poesia, perché ci costringe ad andare a capo dopo un paio di parole al massimo.

Ecco, ora abbiamo tutte le istruzioni necessarie per iniziare a scrivere le nostre poesie aguzze. 

Al lavoro!

 

 

Alcune foto di uno dei laboratori di micropoesia a L'Altracittà (di Gioia Marchegiani).