Nell'ultimo periodo sono uscite alcune raccolte poetiche in cui la riflessione sull'infanzia ha avuto un posto importante. Fra questi Somiglianze di famiglia di Matteo Pelliti (Industria e Letteratura 2021), Piccolo canzoniere di Silvia Vecchini (Sartoria Utopia 2021), Exfanzia di Valerio Magrelli (Einaudi 2022) e I bambini di Giovanna Zoboli (Interno Poesia 2022). Oggi Rita Gamberini scrive di Tutto è bello di Paolo Donini (Lietocolle 2022), raccolta poetica e quasi diario degli accadimenti quotidiani che raccontano il bene di un padre e del suo bambino.
[di Rita Gamberini]
Le ultime volte che ho incontrato Paolo è stato per un grande dolore. Sono andata a trovarlo in ufficio e le parole hanno aiutato la nostra angoscia. Poi, dopo avere rovistato cassetti e sfogliato quaderni, sono tornata con foto e scritti, ho raccontato di un viaggio in Danimarca e del concerto dei Rolling Stones a Copenaghen, così abbiamo ricordato e respirato. E dopo poco mi ha mandato questa poesia.
Rita e i Rolling Stones
C’è un momento in cui entriamo
davvero nel cuore della vita,
è quando senza nostro volere
la vita ci prende ancora con sé
e l’incanto è che questo momento
si ripete intorno, nello stesso
giorno, chissà quante volte
o per chi - e anche per te,
come arrivare in una città del nord Europa
venire a sapere da manifesti per caso
che allo stadio ci sono
i Rolling Stones e: trovare i biglietti.
Sois sage, ô ma Douleur. Stai tranquillo,
sii savio, ironico e lieve,
dirò al mio bimbo, quanto al resto:
you can't always get what you want, but...
Poi Paolo si è trasferito e siamo rimasti in contatto, i nostri sporadici messaggi non sono comunicazioni futili.
Ha scritto quella meraviglia di poesie (di cui quella appena citata fa parte) raccolte in Tutto è bello (Lietocolle 2022). Ma non posso scrivere solo di questo, perché lo conosco da quando era ragazzo. Formidabile suonatore di percussioni, spesso in disparte, e capellone. Tenero e beffardo, in bilico (o in equilibrio?) tra mitezza e sarcasmo, ribellione e arrendevolezza, io almeno lo ricordo così.
Mi capitò di fare una breve supplenza di storia e filosofia nella sua classe di liceo, la mia impreparazione mi portò a cercare di fare la disinvolta e mi rivolsi a lui “Donini parlami dell’illuminismo”, Paolo si alzò e andò ad accendere la luce.
E la luce si accende ora su un piccolo bambino, il suo, e sui bordi che lo attorniano, fili sottili e innocenti da cui si entra ed esce in tutta scioltezza, ma anche spessi e ostili legacci, impedimenti.
A dispetto di un mondo dove “vivere/ti sembrerà improbabile, impossibile”, “la videocamera / registrerà tra i movimenti sospetti / un signore calvo e un bambino al cancello”; dove “più di uno si desume / terrà pronta nel cassetto una rivoltella, se vige la legge / che l’altro, fino a prova contraria, è il nemico”; dove gli esseri sanno farsi “tetri o crudeli” e la parola è persa, appare il padre, tenace custode della libertà del figlio.
Avvertito del fatto che per uno solo “c’è posto nella canoa” prepara al figlio “ogni cosa che occorre” per aprirsi un varco “tra il fogliame che porta / nel paese dei mostri selvaggi”.
Interroga:
Agostino, con rispetto, ora che siete santo,
potete dirmelo, quando mi sveglio a notte alta
e siamo soli, io, il dolore
e la vostra ombra veneranda, tutto questo nell’insieme
non si poteva concepire un po’ meglio?
Invoca:
Padre nostro che sei nei cieli
ricordati ogni tanto di questi figli tuoi
non come i nostri signori
si dimenticano dei figli nostri,
senza acqua potabile, alfabeto, igiene
a milioni per fame nei paesi
in via di sviluppo li lasciano morire.
Concedi ai summit dei potenti un poco
del sapere che viene dallo stare con i bambini.
Ma è dal figlio che impara,
ho appreso
più da te in questo pugno d’anni,
nel lustro tra la culla e l’alfabeto, di quanto
avessi mai imparato prima, nella massa
opaca del mio cogitare hai diramato
la grazia della flagranza, la mappa
concreta dei fondamentali.
Impara dallo stupore dei piccini che assomigliano
da un lato a poeti
e dall’altro a pragmatiche persone di scienza
cui una favolosa innocenza consente d’essere entrambi
in ogni minimo frangente e per ciascuna piccola cosa.
E dalla donna che ama, che quando è apparsa “è stato come l’acqua della giara / a Cana, quando cambia in vino” e ride poco ma quando ride è “il finimondo”.
La donna che è la differenza. E che gli porta in sogno, sotto i bombardamenti di Kabul
le mute guerriere
di tutti i giorni: OSA, badanti,
insegnanti, infermiere, le cassiere
dei supermecati – io sogno:
come sciame biblico, fra deserti
e pietraie e città crivellate, sulle tetre
Toyota, per le sorelle vessate e morenti,
una miriade incalcolabile, invincibile
di libere donne armate fino ai denti.
Pur sapendo che “ovunque il mondo / è una mistura di salvezza e dannazione”, nell’universo di Tutto è bello, “siamo in un istante fragile e radioso”,
non circospetti
né impauriti,
ereticamente
non infelici,
negli atti minuti del figlio e nella recisa fermezza del padre “regnano quiete selvaggia, / gaiezza e anarchia”. Dove
l’arte migliore è stata quella
che non ha trovato differenze
tra la Veduta di Delft e la casa di fronte
ma concomitanze e ha guardato entrambe
sempre una nell’altra. Tanto varrà allora quando sarà
filarsela en plein air. All’aria aperta.
E mentre immagino che domani quando il bambino incontrerà il mostro gli dirà “scansati”, ecco riapparire, nell’ombra di una verde pineta, il suonatore di percussioni, che non se ne era mai andato.
Buono d’esistenza
Se fosse avanzato dal passato
un pomeriggio d’estate fra i tanti, qualcosa
come un buono d’esistenza non speso, rimasto
valido per errore o per miracolo, non si sa come,
fin qui da scambiare
con una manciata delle tarde ore di adesso,
per rivederci come siamo stati,
fare semplicemente quello che avremmo fatto:
tardare fino all’ultimo a uscire, darci
appuntamento in un bar all’aperto, andare così,
in macchina, da qualche parte –
e ritrovarli tutti,
quelli che già sono dovuti
partire – giovani, annoiati, renitenti, schivi
e nel sempre
di quell’unico pomeriggio salvato, vivi.
Nel cortile
Cresci in fretta, del resto
ti lavavo intero dentro al lavandino
e già mi sfidi nel cortile a pallacanestro
o altra pseudo-disciplina similare che ti piace
inventare lì per lì. Presto dovremo
iscriverti alla scuola elementare.
E io che vorrei stare con te
per tutto il tempo, pur da lontano
sento già partire verso me quel giorno
quando volersi bene non sarà che
lasciarsi andare.
Ma è una sera d’estate, piccolino,
non ci sono zanzare, fino all’ora
di cena si può ancora giocare.
Ti sussurro
Riascolto a mente il Preludio e fuga in do
maggiore nella versione eorica di Gould
mentre veglio il tuo sonno sull’albore
del giorno, prima di svegliarti, vestirti
e poi accompagnarti a scuola – con sardonica
solennità la marcia della melodia avanza
su sentieri e bivi, fra lo stuolo di obiezioni
della musica contrappuntistica, la claque
dei sì – ma anche, dei già – però.
Ti insegneranno in classe matematica
e italiano, scienze, storia, religione – quanto
a saper pensare, ti sussurro: basterebbe Bach.
Carlo Ferrara, Genealogy