«…C’è pure chi educa senza nascondere
l’assurdo che è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato».
Danilo Dolci
[di Cinzia Pennati*]
Insegno da venticinque anni in una scuola situata in zona a rischio e a forte flusso migratorio del centro di Genova: una scuola che è una casa e un luogo di cura.
Una scuola che da sette anni fa parte della rete Scuole Senza Zaino, una scuola in cui si cerca di fare in modo che ogni bambino e bambina sia ciò che desidera, dove l’espressione del sé e la relazione sono al centro del percorso didattico di apprendimento-insegnamento.
Una scuola che offre una didattica di tipo esperienziale, in cui si organizzano gite didattiche di più giorni già dalla prima, in cui la condivisione, l'autonomia e la comunità, sono pilastri fondanti.
Una scuola dove il materiale si condivide, dove non esiste la cattedra, le pareti sono colorate e l’insegnante di sostegno non è la maestra del bambino con disabilità, ma quella di tutti, perché è solo così che si attua una piena inclusione.
Una scuola in cui la diversità è una risorsa e le fragilità possono essere raccontate; dove ogni mattina, appena ci si incontra, ci si siede su alcuni tappeti per leggere una storia e ci si interroga sulle domande intorno all’esistenza.
Una scuola in cui ci si preoccupa del “come si sta” e del come si apprende, non solo del cosa e del quanto. In cui il “sentire” ha un valore e uno spazio di parola e scrittura.
Una scuola in cui il genere sentito può esistere in contrasto agli stereotipi che incastrano in percorsi già stabiliti non solo le femmine, ma anche i maschi. Un luogo in cui non ci sono temi 'indicibili' e si insegna a dare il nome ai sentimenti, ampliando il linguaggio emotivo.
Classe 1
Classe 2 da “La scuola è di tutti” Mondadori
Classe 5
Una scuola in cui la diversità non è marginalizzazione, in cui cerchiamo di dare spazio ai temi che portano ogni giorno i bambini e le bambine: la povertà, il razzismo, le discriminazioni, il bullismo e ci si interroga sulla possibilità di superarli, attraverso azioni di discussione e non di emarginazione.
È in questa cornice che la scrittura, come pratica sociale, diventa uno strumento potente. I bambini e le bambine agiscono sul loro processo di apprendimento e non lo subiscono, sono attivi e non passivi, la produzione scritta diventa desiderio e contaminazione.
La riflessione sul lavoro facilita la comprensione del proprio percorso e motiva al miglioramento e al superamento dei propri limiti, in contrasto con la continua richiesta di prestazione che facilmente diventa ansia e competizione.
I bambini e le bambine, attraverso la pratica della scrittura sociale, imparano ad autovalutarsi, hanno chiaro ciò che sanno fare e quello in cui possono migliorare.
Come docenti abbiamo il dovere di agire sempre sull’incoraggiamento per facilitare la scoperta delle intelligenze e dei talenti, di cui tutti i bambini e le bambine sono portatori.
Le mortificazioni, la penna rossa, le note sono strumenti sterili. Il quaderno diventa luogo di documentazione e i compagni sono aiuto e sostegno. L’errore e le sbavature fanno parte del percorso di crescita.
Quando i bambini e le bambine fanno fatica a scrivere e sono in fase di acquisizione del processo della letto-scrittura, la maestra si fa 'presta-mano'.
Questo tipo di metodo ha come sfondo costruttivo l’adozione alternativa, ovvero, non si adotta il sussidiario uguale per tutti, ma si acquistano testi di narrativa legati agli interessi personali dei bambini e delle bambine e ogni classe costruisce la propria biblioteca.
Gli albi, i libri di narrativa, le poesie, sono le fondamenta di questa proposta didattica; attraverso la lettura spontanea, guidata e collettiva e la varietà di storie, si trovano gli sfondi necessari al lavoro didattico e alle domande importanti che gli alunni/e pongono costantemente e che necessitano di attenzione. La letteratura per l’infanzia aiuta a nominare le paure e a non confondere tutto con la rabbia - spesso unico sentimento concesso al maschile -, nomina la tristezza, il dolore, la bellezza; aiuta i bambini e le bambine a portare il proprio vissuto e a condividerlo, anche se doloroso, trovando conforto nella relazione con i pari: "Anche a me è successo...", "Anche io sento così…" La scuola, non può essere un luogo di mera esecuzione in cui l’adulto dà informazioni e l’alunno diventa un contenitore sterile da riempire, né deve dare risposte certe a tutto, ma deve permettere le domande.
La classe dovrebbe essere un luogo sicuro in cui ogni agente - insegnanti, bambini/e e famiglie - possa stare bene per quel che è possibile, e in cui la relazione sia al centro di ogni movimento, in un mondo sempre più individualista.
Come narratrice di storie spero che questa lettura sia stata un viaggio dentro a una scuola possibile, una scuola che esiste e prova a non escludere nessuno; sono i bambini/e persi che ci dicono che maestre siamo.
Spero che sia stato un viaggio di riflessione perché l’infanzia non chiede altro che di essere vista e noi dovremmo impegnarci ogni giorno perché nessun bambino o bambina, ai nostri occhi, si senta invisibile.
*Cinzia Pennati è insegnante, formatrice e scrittrice. Ha pubblicato con Giunti "Il Matrimonio di mia sorella", per Mondadori "La scuola è di tutti" e due albi illustrati: "Ci sono cose da dire ai nostri figli" e "È madre chi" Nel 2024 uscirà un romanzo di narrativa per Sperling & Kupfer.