[di Gian-Luca Baldi]
Il rapporto del suono con la parola non è affatto facile né scontato. Per quanto il mondo delle parole e il mondo della musica appartengano entrambi all’universo del suono, non è così diretto il passaggio dall’uno all’altro. La narrazione fiabesca, tuttavia, si dimostra spesso di grande aiuto a questa unione, perché essa non solo accetta di buon grado, ma sembra addirittura esigere che la parola si trasformi in canto, così come trasforma con naturalezza qualsiasi oggetto quotidiano in un oggetto incantato. Anzi, potremmo spingerci oltre e dire che la parola poetica, e quindi la narrazione fantastica di storie e leggende, nasca indissolubilmente legata al canto. Cantato era quasi sicuramente il poema omerico; similmente la parola sacra del testo biblico non poteva essere semplicemente detta, ma veniva ‘cantillata’ (per i testi in prosa), cioè pronunciata con inflessioni melodiche e musicali, (qualcosa di sospeso tra il canto e la recitazione), o salmodiata (per i salmi), o del tutto e pienamente cantata.
Il brutto anatroccolo, H.C. Andersen. Musica G.L. Baldi. Illustrazioni Amélie Dufour.
Ma se un testo fiabesco si presta a essere cantato con estrema naturalezza, e con altrettanta naturalezza noi possiamo accettare che i personaggi di una storia fantastica cantino invece di parlare, diverso è il caso di quando la parola resta parola, cioè di quando viene pronunciata, o meglio, recitata, senza essere cantata e tuttavia si accompagna alla musica. In questo caso si parla di ‘melologo’, un genere relativamente recente, che nasce intorno al XVIII secolo.
Il melologo è uno splendido esempio di incontro tra parola e musica, ma si tende quasi sempre a sottovalutarne le enormi difficoltà. Proprio perché la parola resta se stessa, cioè semplicemente ‘parlata’, e non si ‘fa canto’, si pensa sia sufficiente scegliere una musica adatta, e il risultato è garantito. Niente di più falso.
Una sintonia di colori e di atmosfere espressive tra musica e parola sono indubbiamente necessari. Tuttavia la scelta del brano giusto (o la composizione ad hoc) è solo il primo passo per la costruzione di un melologo veramente efficace.
Illustrazione di Amélie Dufour.
La ragione è che di solito non si tiene conto della ricchezza e della complessità dei due linguaggi, e che le difficoltà stanno più nelle loro affinità che non nelle loro differenze. Il fatto è che la parola, come abbiamo detto, è anch’essa suono, e il suono della parola tende a disporsi naturalmente su di alcune altezze (cioè note) e a seguire inevitabilmente certi ritmi. Ciò significa che ognuno di noi parla istintivamente utilizzando sempre delle note precise e seguendo dei ritmi particolari anche se non se ne rende conto (a seconda di ciò che viene detto, dello stato d’animo di colui che parla e della lingua usata). Niente di più facile quindi che le note e i ritmi che l’attore col suo parlato producono naturalmente entrino in cortocircuito con le note e i ritmi della musica. In questo caso i due linguaggi vengono a disturbarsi a vicenda, e il risultato rischia di essere una contrapposizione di mondi più che di una simbiosi. A quel punto l’ascoltatore tende o a distrarsi del tutto, o a concentrarsi su di un unico livello. Ascolta solo il testo e chiude le orecchie alla musica, o viceversa.
Illustrazione di Amélie Dufour.
In realtà è necessario un lavoro molto lungo e attento, sia da parte dell’attore che da parte di tutto il gruppo di esecutori, per la buona riuscita del melologo. L’attore deve avere un buon orecchio e un buon senso del ritmo. Deve avere il tempo inoltre, nel corso di un numero sufficiente di prove, di posizionare la sua voce a un’altezza giusta rispetto alle note eseguite, e deve ascoltarne con attenzione il ritmo, per seguirlo e insinuarsi nel sue pieghe. Musicisti e attore devono raggiungere un affiatamento assoluto.
Per questa ragione penso che il lavoro fatto da Milena Vukotic e da Angela Annese per la mia versione de Il brutto anatroccolo, sia davvero straordinario. Dopo la composizione di Sergej e la luna regina, decisi di approfittare del bicentenario della nascita di Hans Christian Andersen (1805-2005), e cominciai a lavorare a una versione per il teatro musicale de Il brutto anatroccolo. Angela Annese, che era in quegli anni mia collega a Bari, seppe del mio lavoro e mi chiese di prepararne una versione per lei e la Vukotic, un melologo appunto, per voce recitante e pianoforte.
Nel paese del tramonto con M. Vukotic e A. Annese, 2010, Teatro Sala Fontana, Festival MiTo .
È dal 2003 che questo duo (ancora molto attivo, sarà al Festival della letteratura di Mantova a settembre, ed è stato ad Altamura nei primi giorni di maggio) si dedica con impegno costante all’unione della parola con la musica, portando in giro per l’Italia alcuni classici del melologo: tra questi Cristallo di Rocca con musiche di Nino Rota (su testo di Adalbert Stifter,) e il celebre L’Histoire de Babar con musiche di Francis Poulenc (dal testo di Jean De Brunhof). Hanno poi creato loro stesse delle unioni particolarmente riuscite come Nel paese del tramonto, presentato al Festival MiTo del 2010, in cui alla narrazione di Astrid Lidgren si univa la musica di Edward Grieg, oppure come Amico Magico (2007), in cui al carteggio Rota-Fellini si univa la musica dello stesso Rota (con la collaborazione di Gianfranco Angelucci).
Il loro lungo sodalizio, la bravura di entrambe, ma anche la musicalità di Milena Vukotic, che non solo vanta una madre pianista e compositrice, ma anche una formazione da ballerina (possedendo quindi un senso unico e sicuro del ritmo), garantiscono una simbiosi davvero speciale.
Illustrazione di Amélie Dufour.
Quando cominciai a lavorare con loro non ero minimamente consapevole della difficoltà e della ricchezza di questo particolare genere musicale. E devo riconoscere di essere stato fortunato a cominciare con simili insegnanti che mi hanno aiutato a comprendere e a entrare a fondo nel delicatissimo equilibrio tra suono e parola. Ci sono dei momenti della mia versione de Il brutto anatroccolo, bisognerebbe davvero ascoltarli per capirlo, in cui la voce e il pianoforte si fondono così perfettamente, da dare l’impressione che la voce segua delle indicazioni precise scritte in partitura, e non sia la lettura spontanea di un’attrice che si dispone liberamente sulla musica. Uno di questi momenti, ad esempio, è quando l’anatroccolo, ormai cigno ma ancora inconsapevole di esserlo, vede per la seconda volta tre bellissimi cigni in uno dei primi giorni di primavera (“Se ne stava accoccolato nello stagno”, tracce 22-23 del cd contenuto nel libro). Il libro in realtà è arrivato diversi anni dopo l’inizio della nostra collaborazione, per tutta una serie di ragioni. E questo, per molti versi, è stato un bene, perché il duo ha avuto tutto il tempo di affiatarsi e di interiorizzare il mio lavoro.
Illustrazione di Amélie Dufour.
Il problema principale, quello che ritardò la pubblicazione, fu legato al testo, o meglio, ai diritti della traduzione. Se è vero infatti che i diritti dell’opera letteraria di Andersen sono ormai scaduti e chiunque può utilizzarne l’opera narrativa (spesso saccheggiandola) liberamente, ben diverso è il caso delle traduzioni. Anche la traduzione è protetta, e per utilizzarne una è necessario chiedere il permesso e in alcuni casi pagare i diritti di utilizzo.
La prima volta che l’Annese e la Vukotic portarono il mio Brutto anatroccolo in concerto, all’auditorium Parco della musica di Roma nel 2005, ad esempio, utilizzammo la bellissima versione di Bruno Berni, che si dimostrò subito disponibile a concedercela momentaneamente. Ma per poter pensare di continuare a usare liberamente il testo e soprattutto per lavorare a un’edizione musicale, le cose erano ben diverse.
Illustrazione di Amélie Dufour.
Tenevo molto a questo progetto, e così affidai all’editore che avevo contattato (Anicia) il compito di farsi concedere i diritti di una qualsiasi traduzione esistente. Aspettai quasi un anno e mezzo, ma le cose andavano per le lunghe e così decisi di trovare una soluzione. Scaricai il testo originale in danese dalla rete, e con quel po’ di tedesco che conosco e un dizionario danese-italiano on line, cominciai a cimentarmi col testo originale. Il danese, sinceramente, mi sembrò più semplice nella costruzione e nella comprensione del tedesco, e solo qualche parola mi diede problemi. Il fine che perseguii con tenacia era una fedeltà assoluta al testo originale. La sfida principale però fu il ritmo della lingua di Andersen, l’aspetto al quale dedicai più tempo e attenzione.
Alla fine volli avere una conferma del mio lavoro e delle mie intuizioni, verificandole con una delle migliori traduttrici della letteratura italiana in danese, Jytte Lollesgaard, con cui passai diverse giornate a controllare minuziosamente che le mie idee e le mie soluzioni non fossero del tutto sbagliate.
Illustrazione di Amélie Dufour.
Entrai così nel fantastico mondo dello stile di Andersen, uno stile assolutamente particolare, di un quasi autodidatta, che compì molto tardi gli studi regolari, e inventò una lingua leggera e incantata.
Purtroppo, nonostante abbia visionato più volte, insieme al grafico, l’edizione dell’Anicia, dimenticai di aggiungere che la traduzione del testo integrale era nuova ed era mia. Per capirlo bisogna leggere la postfazione a pagina 56.
Il libro è uscito nel 2007 e contiene anche quella che allora credo fosse l’unica biografia di Andersen reperibile in lingua italiana fino ad allora. Come era stato per Sergej e la Luna Regina e come sarebbe stato poi per la fiaba irlandese dedicata ad Hallowe’en, ad arricchire il testo e la musica si aggiungono poi altri contenuti, utili ai docenti e ai genitori per capire e approfondire.
Infine il libro reca testimonianza, con testi e qualche traccia nel cd, anche della versione teatrale, commissionatami dalla compagnia Micron e rappresentata al Piccolo Regio di Torino nel 2006.
H.C. Andersen, G.L. Baldi, Il brutto anatroccolo, Anicia, Roma 2007, illustrazioni di Amélie Dufour, voce recitante Milena Vukotic, pianoforte, Angela Annese.
Il Brutto anatroccolo, di H.C. Andersen e G.L. Baldi,
versione teatrale, compagnia Micron, Piccolo Regio di Torino,
ottobre 2006, regia Roberta Faroldi.