[di Matteo Maculotti]
Uno dei sogni a cui sono più affezionato, per me molto significativo nella sua semplicità, risale a qualche anno fa:
Alcuni ex alunni di quinta, ormai iscritti alle medie, sono tornati a scuola per salutarmi. Uno di loro, Christian, prima di congedarsi mi regala un disegno. È una mappa del cortile della scuola molto particolare, perché invece dello spazio rappresenta il tempo, e tutti i suoi elementi sono ricordi che ci riguardano.
A distanza di anni mi sorprende scorgere in questo sogno l’intuizione di un percorso che avrei affrontato in seguito, in un’altra scuola e con altri alunni. Riflettendo ora sul senso di questa intuizione, direi che la mappa del tempo è una mappa che consente a ogni ricordo di farsi immagine del futuro, mettendo in relazione dimensioni solitamente contrapposte. È una mappa che crea continuità fra tempi differenti, e soprattutto nasce come un dono. A questa mappa fantastica mi ha fatto ripensare un nostro lavoro dell’anno scorso, una grande mappa dei giardini che abbiamo visitato nelle diverse stagioni, imparando a chiamare gli alberi per nome e a osservare la vita della natura nel tempo. E a un’altra mappa degli stessi giardini, stampata con una griglia di coordinate tipo “battaglia navale”, hanno ripensato diversi alunni vedendo la copertina della prima lettura di quest’anno, l’albo illustrato Robinson di Peter Sís. È anche grazie a questo libro se il nostro percorso sul tema del viaggio, così importante per una quinta in chiusura di ciclo, si è presto avviato sulle rotte dei sogni.
Più che in altri libri che abbiamo letto insieme, in Robinson sono state soprattutto le immagini a interrogarci, e spesso si è trattato di dettagli poco appariscenti ma densi di significato. Al risveglio dall’avventura sull’isola, Peter trova nella sua camera gli amici-pirati che a scuola l’avevano preso in giro per lo strambo travestimento da Robinson Crusoe, venuti a chiedergli scusa e a consegnargli (o a condividere?) il premio per il miglior costume. Peter scopre che tutti quanti si sono vestiti come lui, ma il lettore attento nota anche che un’amica ha in mano un bigliettino con su scritto “sorry”, mentre un compagno ha ancora in testa la bandana da pirata. Questo dettaglio non è sfuggito agli alunni: se i bambini possono sfoggiare travestimenti ibridi da pirati-eroi, è perché si servono del linguaggio del gioco e del sogno (penso in particolare al meccanismo che Freud chiamò condensazione) come fattore risolutivo di un conflitto identitario. Senza il litigio, forse non avrebbero riflettuto sulla possibilità di essere ciascuno sia pirata che eroe, o in altre parole sulla moltitudine che abita ogni persona, e così la loro amicizia sarebbe rimasta qualcosa di simile a una mascherata tribale. Senza la sua avventura solitaria, forse Peter non avrebbe scoperto l’autonomia dell’eroe, né il piacere di costruire un rifugio e condividere una cena in compagnia di animali amici.
Leggiamo il libro un po’ alla volta, prendendoci tutto il tempo necessario anche per osservare meglio o confrontare alcune figure (notando ad esempio come la foresta assuma via via un aspetto sempre meno minaccioso, o come le orme che Peter trova sulla spiaggia puntino verso di lui e verso sinistra, invitandolo metaforicamente a ritornare sui suoi passi). Un’immagine su cui torniamo più volte precede l’avventura vera e propria. Al confine tra veglia e sogno, mentre il colore sempre più scuro del mare evoca una crescente profondità, tre piccole sagome veleggiano verso l’isola: il letto del bambino si trasforma gradualmente in una nave, e la figura intermedia di questa metamorfosi, come il disegno in copertina, mostra un’imbarcazione con vele a forma di libro. Il racconto-libro rappresenta qui l’elemento di iniziazione al sogno, ma anche un’occasione di raccordo fra l’esperienza quotidiana e la sua rielaborazione, specialmente nel confronto con aspetti destabilizzanti come la vergogna, il senso di isolamento e la paura degli altri intesi come nemici.
La stessa storia narrata, scopriamo alla fine, è ispirata a un ricordo d’infanzia dell’autore, una disavventura scolastica che leggiamo con grande partecipazione. A chiunque è capitato di sentirsi inadeguato, o di voler fuggire su un’isola deserta per difendersi dalle prese in giro dei compagni, ma disporre delle parole per raccontarlo è un balsamo che aiuta a chiarire i pensieri, governare le emozioni e ritrovare la fiducia. Ci colpisce in particolare l’idea di una solitudine che rafforza, stimolando una conoscenza più profonda di sé stessi, e infine prepara a un nuovo incontro: «Qualunque cosa sia successa in quei solitari giorni di naufragio mi rese più forte. Nella solitudine diventai il padrone della mia isola. Ricominciai a credere in me stesso. Quando i miei amici vennero a trovarmi ero in grado di perdonare, dimenticare e andare avanti. Tutti volevano sentire le storie di Robinson Crusoe, e forse leggemmo persino il libro insieme».
Dopo questo omaggio al capolavoro di Daniel Defoe, l’occasione è propizia per un viaggio poetico in compagnia di un altro nume tutelare della letteratura per ragazzi, Robert Louis Stevenson, che alcuni di noi conoscono già come autore di L’isola del tesoro e Lo strano caso del dottor Jekill e mister Hyde. Il nostro viaggio ricomincia nella cameretta del piccolo Robert con la poesia My Bed is a Boat, e ancora una volta attinge alle sorgenti della memoria autobiografica e della fantasia onirica, che nei versi del poeta distillano un ricchissimo condensato di sensazioni infantili. Nella notte, l’intimità del letto-nave e il piacere dell’avventura si mescolano all’angoscia della solitudine e al timore dell’ignoto. Proviamo a immaginarci nei panni del piccolo capitano che salpa nel cuore della notte, sperimentando la contraddizione che ogni bambino vive fra il desiderio e la paura di crescere. Davanti, l’oceano sconfinato si distende invisibile nel buio. Dietro, le ultime luci della città si fanno via via più lontane.
Leggiamo per prima cosa una traduzione letterale, poi una traduzione poetica di Roberto Mussapi, e infine l’originale inglese, che ci sorprende per la sua ineguagliabile musicalità. «Sembrano proprio delle onde» osserva un’alunna, rapita dal ritmo e dal suono delle sibilanti: «I shut my eyes and sail away / And see and hear no more». Proviamo a individuare anche i pregi della traduzione poetica, come il riferimento alla tata Cummy chiamata per nome (proprio come farebbe un bambino) e soprattutto l’immagine della nave in volo, assente nell’originale, che ci riporta subito alla mente l’incantevole scena del Peter Pan disneyano. Dopo aver ricordato il genio di J. M. Barrie, scozzese come Stevenson, c’è anche spazio per una piccola digressione sulla storia di questo classico e dei suoi adattamenti, perché un’alunna si mostra interessata a capire meglio come nascono e rinascono le storie nel tempo. Per fortuna ho approfondito in passato la storia di questo capolavoro, così la domanda non mi coglie impreparato!
A lasciarmi di stucco è invece il dono che ricevo da un alunno a fine giornata: un meraviglioso disegno della poesia My Bed is a Boat. Rimango davvero senza parole per la bellezza di questo regalo, e mi commuove pensare che sia nato nella nostra aula, durante la lettura e il dialogo. Un’improvvisa ispirazione deve aver spinto l’alunno a mettersi al lavoro, col rischio di essere ripreso e invitato a stare attento. Sembrava distratto e indaffarato in tutt’altro, chino sul banco mentre le voci delle onde risuonavano sopra di lui, da un capo all’altro dell’aula, e invece stava ricreando la poesia con ammirevole cura e fedeltà. Ecco l’immensità del sogno, col suo paesaggio di stelle e di mare che avvolge il bambino a bordo della piccola imbarcazione, mentre saluta e ringrazia Cummy che dalla riva gli augura la buonanotte… Ecco l’armonia della notte, l’invisibile corrispondenza fra le creature sul fondo dell’oceano e le costellazioni che palpitano nelle profondità celesti… E il bambino naviga all’indietro, dove il mare e il cielo si confondono in una spirale: solo la saggezza infinita dell’infanzia poteva dettare una raffigurazione così esatta di un viaggio nell’inconscio.
Il successo di questa poesia ci incoraggia a leggerne altre dallo stesso volume. La più apprezzata sarà alla fine The Lamplighter (Il lampionaio), che evoca il fascino di una figura tanto anacronistica quanto poetica e l’emozione del bambino che ogni sera la osserva dalla finestra, sognando da grande di poterla accompagnare nel suo viaggio notturno per la città. E anche la nostra città, nel frattempo, ci orienta verso nuove scoperte. A una fermata della metropolitana, dei grandi poster mostrano una bambina nel suo letto in mezzo al mare: si tratta di una scena di Slumberland, nuovo film Netflix liberamente ispirato al Little Nemo in Slumberland di Winsor McCay, un fumetto onirico e visionario di inizio Novecento che molti studiosi considerano a ragione il più bello di tutti i tempi.
Invito chiunque sia interessato a guardare a casa Slumberland, e in classe raccogliamo poi alcune osservazioni. Io scelgo di soffermarmi su una curiosa coincidenza: nel film, il padre della ragazzina protagonista è il guardiano di un faro, ovvero una sorta di lampionaio del mare, e lo stesso padre di Stevenson era un ingegnere specializzato nella costruzione di fari. Ciò che nella poesia segnava una rottura tra il ricco padre e il figlio affascinato da un lavoro umile, insomma, rivela anche una profonda corrispondenza tra i progetti del primo e le fantasie del secondo. Diversi alunni, in effetti, hanno apprezzato in Slumberland l’idea che nei sogni e soprattutto negli incubi si possa scoprire una parte nascosta di sé stessi e degli altri, e addirittura apparire completamente diversi. In molti casi la visione è stata condivisa coi genitori, e almeno un’alunna, a quanto pare, ha dovuto spiegare questo passaggio alla madre, comportandosi proprio come Nemo nel film!
Mentre gli alunni sono occupati in un’attività individuale, li chiamo a turno alla cattedra in piccoli gruppi. Ho con me il volume Little Nemo 1905–2005. Un secolo di sogni (Coconino 2005), che raccoglie alcune delle tavole più belle di Winsor McCay, oltre a numerosi omaggi di altri fumettisti. Cominciamo a osservare la prima tavola della serie, dove il piccolo Nemo, ricevuta la visita di un messaggero del Re Morfeo, cavalca in volo verso il suo regno, prima di ricadere nel letto in un rocambolesco risveglio che sarà il finale caratteristico di tutte le sue avventure.
La tavola forse più celebre in assoluto, parodiata anche nel film Slumberland, merita un’attenzione particolare: il letto di Nemo comincia a camminare sulle sue gambe di legno che crescono sempre più e lo portano in giro per la città addormentata, con la luna piena che fa capolino dietro i palazzi, fino all’immancabile caduta quando il bambino si sporge per guardare in basso. È una tavola magistrale, una tavola che trabocca di movimento e di vita. Le vignette che si allungano, l’incedere barcollante del letto, i movimenti su e giù esaltati dalle scelte prospettiche, che danno l’impressione di una danza… I miei alunni sono in genere abituati al consumo di strisce a fumetti che sono poco più che barzellette disegnate, di mediocre qualità estetica, salvo eccezioni come i classici Peanuts e Calvin & Hobbes. È bello vederli sorpresi e incuriositi attorno alla cattedra, a bocca aperta di fronte a tavole che sono state realizzate oltreoceano più di un secolo fa, e di cui fino a pochi minuti prima ignoravano l’esistenza.
E proprio un secolo fa nasceva la storia con cui ci apprestiamo a concludere le letture di questo quadrimestre: l’albo illustrato Il viaggio sul pesce di Tom Seidmann-Freud (pseudonimo di Martha Freud), pubblicato nel 1923 e disponibile in italiano nell’edizione Topipittori. Nell’intervallo lascio il libro sulla cattedra e alcune alunne iniziano a sfogliarlo, a leggerlo e a indicare le sue strane figure, così particolari e sfuggenti, immaginandosi nelle varie scene: «io sono questa», «io questa»… «Peregrin, il sognatore, in quanto bambino è ancora vicino ai confini di ciò che era prima, dell’indefinito prima di noi» ha scritto Alessia Napolitano. «E se i sogni dei bambini sono spesso particolarmente vividi e potenti, quello di Peregrin è addirittura un sogno straordinario. Il pesce Nickeling lo conduce in un paese governato da bambini, dove non esiste il denaro, dove nessuno vuole oziare perché le mani sono abili e il cuore generoso, dove andare a scuola significa continuare a meravigliarsi del mondo intorno a noi, dove tutti hanno diritto ad una casa e ad una tavola imbandita». Il mondo che Peregrin raggiunge è un’oasi di pace, un luogo dove i sogni e la realtà si rispecchiano in una perfetta armonia. Il rovescio dell’isola minacciosa e deserta di Robinson, o meglio la sua riscoperta come luogo ospitale, casa a cielo aperto.
Durante la lettura insieme, un’immagine di Peregrin sulla barca ci trasmette una sensazione di déjà vu: il ricordo vola all’inizio dell’anno, ai nostri disegni ispirati all’antico pittogramma cinese della luna nuova, simbolo della casa editrice Adelphi. Allora qualcuno di noi aveva illustrato questi versi: «La barca dei sogni / è una nave che salpa / verso un destino da scrivere». E ora, alla fine della lettura, un’alunna nota la splendida frase conclusiva, che problematizza il rapporto fra realtà e fantasia: Peregrin si risveglia, ma invece di dire che era tutto un sogno, il narratore afferma che «non è ancora proprio tutto vero». Una frase in cui risuona la speranza ma anche una sottile ironia e una profonda malinconia, soprattutto se si pensa che il libro uscì nella Repubblica di Weimar nel 1923, all’alba di una lunga stagione di morte. Ho tenuto per me questo pensiero, ma forse non è un caso se all’uscita da scuola un’alunna mi racconta di aver sognato la notte prima la sua bisnonna, scomparsa da poco. È stato un sogno pauroso, osserva, perché “il suo fantasma” usciva dal corpo. Io credo abbia fatto un sogno benaugurante, e mentre osservo i suoi capelli chiari e i suoi occhi celesti le confido che mi è capitato lo stesso dieci anni fa, quando è morto mio nonno e la sua anima mi è apparsa in sogno luminosa.
Assieme al libro Il viaggio sul pesce ho portato a scuola una locandina del film di marionette Peregrin and the Giant Fish, con regia di Francesco Fei, musica di Andrea Melis, libretto di James M. Bradburne e marionette della Compagnia Carlo Colla & Figli, in uscita al cinema durante le vacanze di Natale. Alcune alunne hanno raccolto l’invito, e assieme a fratellini, sorelline e genitori occupano le prime due file di una sala gremita. Per i più piccoli sarà un po’ difficile seguire i sottotitoli, e per molti il finale sarà deludente perché la frase conclusiva è stata riformulata, rimarcando il discrimine tra realtà e fantasia in modo eccessivamente drammatico, ma per ciascuno sarà un’esperienza nuova, diversa dalle visioni abituali, un confronto con la meraviglia straniante dei sogni che prendono vita, o della vita che si manifesta nei sogni, grazie a un’opera dove la maestria artigianale e la ricerca artistica sperimentale vanno a braccetto.
Al rientro dalle vacanze racconteremo questa bella serata ai compagni, e il libro del viaggio di Peregrin sarà sempre a disposizione per la lettura e la consultazione libera, assieme alle poesie e agli albi illustrati che non smetteranno di svelarci nuove sorprese e corrispondenze. Ritroveremo ad esempio il lampionaio in una delle nostre prossime letture, Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry, che nelle sue visioni cosmiche ci richiamerà alla mente il regno di Slumberland, e scopriremo inoltre in Robinson alcune strane anticipazioni, da un’immagine del Viaggio sul pesce che compare in una delle prime tavole all’inseparabile coniglio che accompagna Peter, e nel nuovo anno del Coniglio ci introdurrà a una serie di sogni e racconti provenienti dall’antica Cina. Non posso dire di aver pianificato nel dettaglio questo viaggio: per la maggior parte del percorso, anzi, direi che mi sono limitato a seguire rotte lontane e quasi invisibili, come costellazioni durante una lunga traversata. Per questa ragione, è anche per me una meraviglia scoprire giorno dopo giorno come le storie e le nostre voci stanno componendo una trama sempre più fitta, una vera e propria mappa del tempo che mi ricorda un vecchio sogno.
Ricordi delle nostre letture: la rappacificazione finale di Robinson (che due alunni rappresentano combinando i propri foglietti), l’incanto del lampionaio di Stevenson, protagonista dei disegni più evocativi, e l’ultima frase del Viaggio sul pesce, citata da diverse alunne.