Umanità perduta

Paju BookCity potrebbe presentarsi quasi come un paradiso, un "paese deibalocchi" per tutti coloro che amano i libri. Sorge a circa 40 minuti diauto da Seoul, a 30 chilometri dalla città, e per raggiungerla bisognaattraversare risaie, cantieri di vario tipo, distese di campagna eurbanizzazioni in corso d'opera. Quando ci si arriva, la prima cosache colpisce sono le villette a schiera che ripetono costantemente unoschema casa-balconcino-giardino-garage, casa-balconcino-giardino-garage,villette basse, a due o tre piani, esteticamente graziose, un po'troppo uguali. Poi si cominciano a scorgere meravigliosi edificiorganicamente integrati con il paesaggio.

Architetture in legno didiversi colori e venature, ferro e vetro, spazi trasparenti e verde,che riflettono il fiume Han e, sullo sfondo, il monte Shimhak. Palazziche si alternano, ognuno con una sua personalità definita, inuna sorta di esibizione, di mostra.

Sotto il soledi giugno, pranziamo in un ristorante con soffitti altissimi,silenzioso e fresco. Avremo incrociato circa cinque personeda quando siamo arrivati, in pullman. Siamo una quindicinadi editori da tutto il mondo e questo è il giorno dellavisita alla città del libro.

L'idea di Paju Bookcity è nata nel1989 e da allora la città è cresciuta grazie all'appoggiodel governo, degli editori, e al contributo fondamentale di una equipe diarchitetti incaricati di costruire la "terra promessa". La presentazionecompleta di questo progetto, in inglese, è disponibile qui.
A una prima lettura sono rimasta spiazzata: la Bookcity è natasulla base di una esigenza morale, di recupero di valori umani contro ladisumanizzazione contemporanea. E soprattutto è stata concepita comeun luogo in cui recuperare e proteggere i valori della collettività,concetto che si è perso, a favore di un individualismo penetrato nellasocietà coreana in diversi momenti. Dice più o meno così:

La perdita del senso del bene comune euno stile di vita contaminato sono strettamente connessi alla storiamoderna e contemporanea della Corea, contrassegnata da alti e bassi:36 anni di dominazione giapponese, seguiti da un periodo caotico,con la guerra civile coreana; l'afflusso incontrastato della culturaoccidentale, penetrata profondamente nella società; poi la dittatura;e infine l'instaurazione della repubblica negli anni '80. La Coreaè stata presa nel vortice del nuovo regime economico mondiale, cheha portato inevitabilmente a un cambiamento radicale nelle città,come nelle zone rurali.

In questoprocesso, in cui sembra che i coreani abbiano quasi perso se stessi, PajuBookcity è stata concepita "for the restoration of humanitylost".
È un luogo completamente dedicato al libroin tutti i suoi aspetti, dalla produzione alla commercializzazione,dalla promozione alla formazione. Trenta architetti coreani e dieciprovenienti da tutto il mondo, ispirandosi al processo di realizzazionedel libro (l'editore come architetto e viceversa), hanno concepito edisegnato Paju Bookcity, che sarà completata nel corso dei prossimiquindici anni.
Gli editori sono dunque invitati a trasferirsilì. Questo fornisce loro numerose facilitazioni, dalle spese, alladistribuzione centralizzata, alla tipografia in loco, alla prossimitàfra abitazione e luogo di lavoro. Questo primo aspetto, a mio parere,è un po' in contraddizione con la ricerca del senso di umanità di cuisopra. Mi ricorda molto, invece, i villaggi industriali del nord Italia,costruiti e voluti dai primi imprenditori tessili, dove tutti vivevanointorno alla fabbrica: l'ambiente era razionale, progettato con cura,bello (infatti Crespi d'Adda oggi è patrimonio dell'umanità); ma diumano c'era poco.
Ogni editore che accetta di trasferirsi aPaju Bookcity è obbligato a fare qualcosa per la collettività. Neglispettacolari edifici delle case editrici si trova sempre una libreria,una biblioteca, uno spazio per le presentazioni, le proiezioni o ilaboratori. L'editore diventa promotore di cultura, deve portare allacollettività, ovvero ai circa 100000 visitatori che passano di lì,un messaggio; si incarica di insegnare tutto ciò che c'è da sapere, sipreoccupa di avvicinare al libro le migliaia di bambini e ragazzi che ognianno visitano le sedi per partecipare a laboratori, seminari, spettacoliteatrali e mostre. Il tutto, lontano da Seoul.
Ho avuto lafortuna di poter visitare due edifici.

La sede dellaYeowon media èun bell'edificio con un giardino ordinato. Tre piani dove trovoun teatro per gli spettacoli di marionette, uno per le mostre eper l'esposizione delle tavole originali dei libri, uno che fa dabiblioteca e spazio polivalente.

E, doppiamente fortunata,la visita a questo piccolo museo tematico si svolge in compagnia ditre classi delle elementari. Il presidente della compagnia, Dong HwiKim, ci racconta che per tutto l'anno, tutti i giorni, i bambinidelle scuole del paese vengono per partecipare ai laboratori,per leggere e sfogliare i libri, per assistere agli spettacolidi marionette nel teatro. Una volta l'anno poi si svolge la festadel libro, e le strade si animano con giocolieri e clown, attorie artisti. Assistiamo a uno spettacolo di marionette, dedicato aPinocchio, nel teatro, e visitiamo con i bimbi una mostra dedicata agliinsetti, per lo più enormi scarafaggi.

La seconda visitaè a Nangilsa Publishing. Una libreria bellissima, su due piani, conbanconi perpendicolari, avvolta in un rispettoso silenzio, luminosa ecoperta alle pareti di meravigliosi quadri (peccato che nessuno abbiasaputo spiegarmi di chi fossero!).


Un  piacererimanere lì a leggere, sfogliare e curiosare tra i suoi scaffali. Eun peccato che il tempo utile alla visita sia già finito. Mi sarebbepiaciuto continuare a camminare tra quegli edifici, molti ancora vuoti,altri in fase di occupazione, e vedere quali altre soluzioni e spazi sonostati creati dagli editori.

Mi rimane andando viauna sensazione strana. Come di essere stata su un'"Isola che non c'è", unposto lontano e affascinante. E ritornare alla caotica Seoul mi toglie unpo' il fiato. Poi però ripenso a Paju Bookcity e mi chiedo se relegare ilmondo del libro in quella dimensione perfetta non significhi allontanarloda quella realtà che lo nutre e lo ispira, a volte o spesso. Forseragiono da occidentale: forse l'intento è fare vedere ai coreani chec'è la possibilità di vivere in un altro modo, forse Paju Bookcityè una reale prova di ciò che i libri sono in grado di costruire,una concretizzazione di quella capacità che hanno di portarci altrovecon le parole e le immagini. Eppure...

Penso alle frotte dibimbetti vociferanti che oggi invadevano le stanze di Yeowon, e mi chiedose quello che gli resta, dopo una giornata così, è un bel ricordo, se ciritorneranno. Penso anche che, una volta a casa, non potranno ripassareda lì, non potranno dire, indicando con il dito: "Ehi! Io lì ci sonostato ed è bellissimo!". Non sarà insomma un luogo che farà partedella loro geografia quotidiana. E, forse, invece, questo potrebbe essereimportante.