È in libreria da novembre Un’idea di infanzia, edito da Italo Svevo, raccolta di articoli che Nadia Terranova, scrittrice anfibia, ovvero sia per adulti sia per ragazzi, in questi anni ha scritto per diversi giornali sulla letteratura per l'infanzia. Si assiste, in questo periodo, a una fioritura di saggi e studi sui libri per i bambini, sull'illustrazione, sugli scrittori e le scrittrici per l'infanzia, e questo è un dato significativo che conferma da una parte il posto che occupano questi temi nell'ambito della nostra vita culturale, dall'altra un'attenzione sempre crescente verso di loro, fenomeno importante, decisivo anche per la scelta dei libri da proporre a bambini e ragazzi, da parte di librerie, biblioteche, insegnanti, genitori, educatori. Un'idea di infanzia. Libri, bambini e altra letteratura è introdotto da un’interessante intervista che Giovanni Nucci, anch’esso scrittore anfibio, ha rivolto a Terranova. Ne pubblichiamo qui l’inizio, che contiene alcuni punti cruciali che riguardano il difficile rapporto fra adulti e bambini e, pertanto, anche quello fra letteratura per adulti e letteratura per ragazzi. Ringraziamo gli autori e l’editore per averci permesso la sua pubblicazione.
Giovanni Nucci: Prima di cominciare, la cosa che dovremo chiederci, secondo me, è dove sta la letteratura per ragazzi e per bambini? Voglio dire, tu dove la collochi, nel canone, o forse anche, ancora più semplicemente, nella tua libreria?
Nadia Terranova: Una volta, avevo poco più di vent’anni, in libreria insieme a un romanzo sudamericano presi il quarto libro della saga di Harry Potter; la libraia che lavorava alla cassa mi chiese se fosse un regalo. Aveva già la mano sulla carta per il pacchetto. Dopo un attimo di disorientamento risposi che sì, era un regalo, senza specificare: un regalo per me. Per certe persone è difficile immaginare un adulto che prende un libro dallo scaffale della letteratura per ragazzi almeno quanto è difficile autorizzare un ragazzino a leggerne uno rubato dalla libreria dei genitori, ma in realtà è così che ci formiamo, è in quei momenti che stiamo prendendo una strada diversa dai soliti tracciati: quando siamo bambini e quando siamo grandi regalandoci il gusto del proibito e una lettura audace, anarchica, non prevista. La letteratura per ragazzi significa soprattutto libertà, e gli adulti che non hanno smesso di leggerla sono esseri umani più liberi degli altri: hanno meno barriere, non hanno paura di essere etichettati né di etichettarsi. Nella mia personale libreria occupa una parete, ma in realtà invade anche tutti gli altri generi (ci sono libri per ragazzi negli scaffali dei gialli, d’avventura, dei manuali) e poi c’è il problema degli albi illustrati con i loro formati ingovernabili, che quindi finiscono dappertutto (un problema gioioso e colorato, direi). Per quanto riguarda il canone, la letteratura per ragazzi è come il primo amore: dà alla maggior parte dei lettori e degli scrittori l’impronta originale del sentimento, indica la strada, ma poi diventa invisibile. Se chiedi a uno scrittore quali siano i libri della vita, quasi sempre dimenticherà di citare L’isola del tesoro o Piccole donne, vantandosi di letture più recenti: in realtà è grazie a quei capisaldi che è nato, per molti di noi, l’amore per la letteratura.
GN: Non penso sia utile sondare la questione riguardo alla “differenza” tra la letteratura per ragazzi e quella per grandi, non vorrei alimentare questo dibattito, abbastanza inutile dal punto di vista critico, credo che non sia altro che un pregiudizio. Però mi sembra che ci siano alcuni scrittori che riescono ad annullare, di fatto, con la loro scrittura, questo pregiudizio. E a volte, paradossalmente, lo fanno nobilitando la letteratura dei grandi con dei libri pensati per dei ragazzi, o dei bambini. Non trovi che ci voglia una grande forza, non soltanto letteraria, per fare questo?
NT: Ci vuole libertà e ci vuole la consapevolezza che non esiste la letteratura “per” ragazzi, esiste la letteratura con dei ragazzi e dei bambini dentro. Il giovane Holden o Io non ho paura sono libri per ragazzi? Io ho letto Salinger a vent’anni e non l’ho capito, l’ho riletto a trenta e l’ho amato, l’ho riletto ancora a quaranta e l’ho espugnato. Ci sono scrittori che questa naturalezza ce l’hanno dentro e altri che invece a un certo punto si muovono verso la scrittura per ragazzi con un paternalismo e un senso di superiorità che fa scrivere loro libri già vecchi. Non è quasi mai interessante un libro destinato ai ragazzi in cui chi scrive parla da una posizione di pretesa superiorità, come a fare una concessione o a spiegare qualcosa (a meno che non sia Ungerer che gioca a fare il filosofo, che però è tutta un’altra storia). In Italia abbiamo una bella tradizione di scrittori novecenteschi anfibi: Italo Calvino, Elsa Morante, Dino Buzzati, Luigi Malerba, e oggi Beatrice Masini e Bianca Pitzorno si muovono fra l’una e l’altra sponda con i preziosi risultati che conosciamo.
Illustrazione di Maurice Sendak per Il paese dei mostri selvaggi.
GN: In questo senso mi sembra invece importante capire cosa, quale diversa visione del mondo, un libro per ragazzi o per bambini può offrirci. Penso a Ungerer o Sendak, la cui poetica, cioè la cui idea di mondo, non sarebbe stata la stessa se non avessero scritto pensando a dei bambini. Ecco, quale visione in più può offrirci la letteratura per bambini, o per ragazzi?
NT: C’è qualcosa di selvatico nel portare un bambino sulla pagina. Qualcosa che ci costringe a fare i conti con il bambino che abbiamo dentro e con le sue pulsioni che non si fanno addomesticare, anzi: stanno cercando un luogo dove essere roboanti, potenti, anche offensive – come scriveva Natalia Ginzburg, non c’è vera offesa nella violenza e nella ferocia del mondo delle favole. Quella violenza e quella ferocia sono costitutive della formazione del nostro immaginario. Affiora nella letteratura per ragazzi la possibilità di una lotta contro i mostri molto esplicita sul piano simbolico, e quindi spesso più prismatica, più strutturata e misteriosa sul piano ermeneutico. Di solito chi scrive adottando il punto di vista di un minorenne ha una disponibilità più accesa alla parodia, alla tragedia, alla catastrofe e alla peripezia. C’è qualcosa di avventuroso nelle differenti visioni del mondo che ogni scrittore può offrire, che ha a che fare soprattutto con la consapevolezza di compiere, in ogni libro che abbia per protagonista una persona che deve ancora formarsi come adulto, un viaggio più importante e terribile degli altri.
GN: A proposito di visione, cioè di immaginario e di immagini: spesso ci dimentichiamo quanto, nei libri, siano importanti le figure. Mi viene in mente come tutti abbiano gridato al miracolo quando Sebald ha cominciato a mettere delle immagini, delle fotografie, in mezzo, quasi dentro, alla sua scrittura. Ma per un lettore bambino è del tutto normale. Allora: quale posto hanno le immagini nella nostra letteratura? E quale dovrebbero, invece, avere?
NT: Oggi le immagini dei bambini che si ribellano o sembrano ribellarsi (penso alla guerra, alla migrazione, agli sgomberi e a tutte le situazioni di violenza e soprusi) vengono usate come simboli eroici, e questa è una cosa che mi fa molto arrabbiare. Un bambino è un bambino, non la figurina della nostra incapacità adulta di trovare una soluzione politica alla cronaca. Con questo non voglio depotenziare l’infanzia, al contrario: vorrei sottrarla a quella strumentalizzazione esaltata che è il contraltare dell’averla ignorata per secoli. Dopo l’invenzione dell’infanzia, adesso assistiamo alla sua frenetica rappresentazione: è la stessa forma di miopia, declinata diversamente. Un bambino non è buono e non è cattivo: è un bambino. Contiene in sé entrambe le possibilità, più tutte le altre. Per questa ragione credo che in questo momento storico più che in altri i bambini vadano raccontati con parole e con immagini complesse. E a loro bisogna dare parole e immagini complesse: l’illustrazione non può essere ornativa, ma non lo è quasi mai. Ci sono illustratori bravissimi oggi, capaci di racchiudere una visione del mondo in un dettaglio. I bambini sanno leggere le pagine illustrate, sanno nutrirsene. Ho sentito adulti spaventati da albi considerati “troppo artistici” e ho visto bambini felici di impossessarsene, e di spiegarli ai genitori.
Illustrazione di Tomi Ungerer per I tre briganti.