Un bagno di parole

Il mercato editoriale sta conoscendo una fioritura di saggi che hanno al centro i bambini e i libri a loro destinati. Primi libri per leggere il mondo. Pedagogia e letteratura per una comunità educante di Francesca Romana Grasso, è uno di questi, da poco uscito per Editrice Bibliografica, rivolto a bibliotecari, educatori e pedagogisti.

A partire dall'esposizione dei bisogni universali di bambini e bambine nei primi anni di vita e nelle diverse fasi del loro sviluppo, Francesca Romana Grasso compie un interessante e sintetico excursus sulle teorie di figure di spicco dell’educazione attiva (Pestalozzi, Itard, Pikler, Montessori, Wallon, Goldschmied, Munari) e mette a fuoco, anche in base a queste, alcune soluzioni adottate con successo nei servizi educativi e nelle biblioteche di diverse realtà europee. Inoltre offre una serie di considerazioni interessanti, corredate da bibliografie ad hoc, su proposte editoriali per la primissima infanzia, scelte in base alla coerenza progettuale in riferimento a contenitore, contenuto e competenze del destinatario.

Abbiamo ritenuto opportuno segnalare questo saggio perché, a nostro avviso, fornisce un quadro preliminare, chiaro e documentato, di quanto, allo stato attuale delle cose, è possibile trovare riguardo ai bambini, che si tratti di studi, libri, servizi, oggetti, spazi. Potrebbe sembrare poco, invece, in un momento in cui tendono a mancare proprio i fondamentali che erroneamente si danno per scontati, l'obiettivo che si pone questo saggio, oltre che onesto e misurato, è sensato e quanto mai adeguato al momento.

Ringraziamo Francesca Romana Grasso ed Editrice Bibliografica per averci permesso di pubblicare questi brani tratti dal primo capitolo del libro, dedicati rispettivamente al linguaggio e alle immagini.

Illustrazione di Ninamasina per la copertina del saggio.

Dottore di ricerca in scienze dell’educazione e studiosa di letteratura per l’infanzia, attraverso il progetto Edufrog, Francesca Romana Grasso si occupa di pianificazione e progettazione di servizi alla persona, formazione, supervisioni. Ha collaborato con il Centro Nascita Montessori, il CEMEA (Centri esercitazione metodi dell’educazione attiva), le Università Cattolica di Milano, Bicocca, degli Studi di Perugia, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Istituto degli Innocenti, Fondazione Feltrinelli. Promuove il Festival Family Care, il concorso internazionale Illustrazioni in movimento e la mostra Sguardi d’infanzia. Scrive per le riviste “Bambini” e “Liber”.

  

1.2 Un bagno di parole!

Già in utero si sviluppa il tatto e a seguire gusto, udito, olfatto e vista. L’udito compare con la fine del secondo trimestre di gravidanza: diventa così possibile recepire, tra gli altri suoni e rumori, anche la voce materna, la cui emissione agisce peraltro anche una serie di movimenti e vibrazioni che si ripercuotono sul feto. Parlare con il proprio bambino, o bambina, in grembo e poi quando nasce, cantare per lui, o lei, raccontargli delle piccole storie o ciò che si va facendo insieme, contribuisce a elargire carezze di parole che nutrono di “buono”, creando i presupposti per un legame che andrà consolidandosi durante i primi mesi di conoscenza reciproca.

Chi lo desidera può leggere al bambino fin dalla gravidanza, in quanto ciò concorre a far maturare nell’adulto la costanza che richiederanno a breve le routine necessarie nei primi mesi e anni di vita insieme, ma se la lettura risultasse essere faticosa non ha senso imporsela controvoglia: sono poche le buone pratiche davvero indispensabili nella cura di un bebè, mentre sono molte, e talvolta infondate, le raccomandazioni a cui un genitore è esposto e che spesso subisce con fatica.

Il bagno sonoro stimola le funzioni già disponibili per il feto, preludendo all’immersione nel linguaggio che evolverà, alla nascita, di parola in parola, nell’incontro mediato con l’altro.

“I bambini vivono le parole. – Scriveva Francoise Doltò – Appena nato, anche se prematuro, il bambino ha sete di linguaggio e reagisce in modo stupefacente: smette di succhiare o muoversi, apre gli occhi, orienta la testa verso la persona che parla con lui. Un dialogo può stabilirsi ed essere modulato in funzione delle reazioni dei bambini: l’adulto parla quando il bambino ascolta, tace quando il bambino reagisce. Sembra che la strutturazione stessa del discorso si apprenda attraverso l’allattamento che è fatto di parole e pause: la madre resta in silenzio durante la suzione del bambino, gli parla durante le piccole pause. Fin dall’inizio il bambino gode di una straordinaria capacità di attenzione e possiede gli strumenti necessari per il linguaggio e la narrazione. Il contesto gioca a quest’età un ruolo determinante”.

L’assenza di conversazione nella società contemporanea è un problema serio di cui si misura la gravità considerando la frequenza con cui l’allattamento, al seno o tramite biberon, avviene con gli occhi dell’adulto deviati su schermi, anziché impegnati a coltivare comportamenti prosociali in una cornice empatica densa ed esclusiva. Non si presta abbastanza attenzione, inoltre, al fatto che molti adulti conversando con un neonato o con una persona di uno/due anni scivolano in un linguaggio povero, stereotipato, caratterizzato dall’uso del noi anziché del tu e io, tanto utili invece per agevolare la differenziazione tra sé e l’altro.

Il linguaggio riveste un ruolo molto importante nell’apprendimento, occorre coltivarlo consapevolmente, soprattutto se ci si occupa di prima infanzia a livello professionale poiché la parola rende oggetto di pensiero la realtà, che in sua assenza si presenta al bambino fusa e confusa: sono le parole che contribuiscono a renderla dapprima pensabile, poi comunicabile. Incontri precoci con libri di qualità ampliano il linguaggio e la ricchezza delle relazioni.

La frequentazione di servizi per la primissima infanzia (nido, servizi complementari e integrativi, biblioteche…) intende garantire universalmente l’accesso a esperienze utili per sviluppare le capacità dei bambini e delle bambine, nel rispetto delle funzioni effettivamente disponibili. La Comunità europea e gli organismi internazionali raccomandano di favorirne l’accesso a tutta la popolazione 0-6 anni per contrastare le disparità di partenza rispetto alle possibilità di autorealizzazione, soprattutto considerando che l'ascensore sociale è bloccato. Per questo motivo è importante che non si trascuri di accompagnare le educatrici a pensare alla qualità dell’immersione linguistica che alimentano all’interno dei servizi: l’ambiente sonoro, la qualità delle relazioni, le modalità interattive e di scambio determinano in larga misura la gamma di forme che si comprendono nel passaggio dal proto-verbale al verbale.

 

1.3 Prime visioni

Stiamo assistendo a un boom di libri per la primissima infanzia che si è reso esplicito in occasione della Bologna Children’s Book Fair del 2019, in occasione della quale si sono avuti accenni di una più mirata attenzione verso lo sviluppo visivo nei primi mesi di vita.

Molte acquisizioni scientifiche sullo sviluppo visivo sono frutto di monitoraggi effettuati da pediatri, neuropsichiatri infantili e terapisti della riabilitazione su bambini che, per storia familiare o problemi incorsi durante la gestazione o il parto, sono seguiti puntualmente al fine di verificare la presenza di deficit visivi ed eventualmente per mettere in atto le misure del caso.

Come sempre accade, alcune pratiche nate con uno specifico scopo – in questo caso stimolare precocemente lo sviluppo della funzione visiva in quei bambini e bambine con potenziali difficoltà specifiche – trovano attuazione anche in contesto ex- traterapeutico: spesso ispirano abitudini che promuovono agio e benessere, specie in virtù della relazione che favoriscono con l’adulto che le propone al bebè, altre volte, al contrario, possono generare comportamenti approssimativi inutili, quando non fastidiosi, per chi li subisce: mi riferisco alle posizioni innaturali e scomode in cui sono posti certi bebè per “esporli” precocemente (ma ahimé passivamente!) alla visione di carte e libri. La vista dipende dall’integrità di numerose strutture e dalle loro connessioni: già dalla nascita alcune funzioni sono disponibili per cui il neonato è in grado di vedere alcune cose, anche se naturalmente nel corso delle settimane la situazione migliora velocemente con la maturazione della retina, dei nervi, del cervello e delle varie connessioni. Fin dalle prime ore di vita è disponibile la capacità di fissare un oggetto e di seguirlo, anche quando la nascita è avvenuta prematuramente, purché non prima della trentesima settimana. Nei primi tempi i bebè sono attratti da forme semplici ad alto contrasto in bianco e nero, la capacità accomodativa che hanno maturato permette di distinguerle fino a un massimo di 20-30 centimetri di distanza dal loro volto.

Le immagini che si è soliti proporre per prime ricordano spesso la forma del capezzolo: cerchi grossi e scuri, come i bersagli, facce oppure strisce larghe a forte contrasto.

Con il trascorrere delle settimane si sviluppa la possibilità di discernere oggetti meno contrastanti tra loro e si sviluppa un interesse verso forme più complesse. Contestualmente il capo si gira per osservare figure poste a lato.

Fino ai due mesi circa è presente la capacità di seguire i movimenti in direzione alto-basso.

Intorno a 2-3 mesi gli occhi riescono a convergere e ad accomodare le immagini a breve distanza, compare quindi un interesse verso gli oggetti colorati e forme più articolate, ma anche verso le proprie mani. Questo passaggio è fondamentale perché osservando le proprie mani si sviluppa la capacità di “oggettivare”, ovvero rendere oggetto pensabile, il mondo, condizione necessaria per avviare quel colloquio dialettico, in entrata e uscita, attraverso cui ci si relaziona con l’altro da sé ma anche con se stessi, come ben ha messo in luce Henri Wallon, di cui traccerò un profilo nel secondo capitolo.

In questo periodo il campo visivo si allarga lateralmente fino a 30°. L’attenzione inizia poi gradualmente a spostarsi ver- so ciò che accade intorno e verso il quarto mese gli oggetti   in movimento diventano molto attraenti, favorendo una progressiva maturazione delle funzioni già disponibili. Entro i sei mesi generalmente è possibile discriminare e seguire oggetti più piccoli, fino a una distanza massima di un metro e mezzo. Il processo continua fino a quando, intorno ai due anni, le competenze non si distinguono più significativamente da quelle dei bambini e delle bambine più grandi.

La Fondazione Pierfranco e Luisa Mariani è attivamente impegnata nel diffondere buone pratiche per stimolare preco- cemente le funzioni visive laddove si sospettano delle carenze: i materiali che utilizzano e le pratiche che suggeriscono alle famiglie sono all’origine di tante carte e libri rivolti alla primissima infanzia (
Cosa vede il mio bambino. Consigli per lo sviluppo delle capacità visive  nel primo anno di vita, a cura di Eugenio Mercuri, Giovanni Cioni, Elisa Fazzi, Fondazione Pierfranco e Luisa Mariani, Onlus, 2005. Il PDF si può scaricare gratuitamente qui).

Molti primi libri ripropongono le immagini presenti nelle
acuity cards utilizzate per testare fin dai primi giorni di vita l’acuità visiva, ovvero la capacità di discriminare un dettaglio visivo: si tratta di grandi carte rettangolari su cui vengono disegnate a una estremità delle strisce verticali secondo una tassonomia che inizia con tratti molto larghi che poi vanno restringendosi. L’ultimo livello di strisce che il bambino manifesta di riconoscere viene assunta come misura della sua acuità visiva. Quando lo sguardo non è catturato dalla parte disegnata si indaga sulle cause.

Il campo visivo ci fornisce invece la misura della capacità visiva laterale. La capacità di spostare l’attenzione da uno stimolo centrale rispetto a uno laterale matura generalmente entro tre, quattro mesi.

Nella produzione editoriale per la primissima infanzia sono confluite molte delle idee che stanno alla base dei materiali e delle pratiche terapeutiche e di screening, si pensi ai disegni  in bianco e nero, e successivamente agli abbinamenti di colori piatti e saturi che ben si distinguono, come giallo-blu, rosso- bianco. Lo stesso vale per le scelte dei soggetti: leporelli e carte figure come facce, bersagli, strisce, onde, linee segmentate, scacchiere, pois, linee con orientamento variabile popolano i libri per la prima infanzia.

È noto che la rifrazione della luce cattura l’attenzione dei più piccoli, tant’è che tra i consigli dei terapeuti vi è quella di avvolgere in carta stagnola oggetti di uso comune: ha senso dunque progettare libri con dettagli riflettenti e luccicanti. Ciò invita a rivisitare i criteri estetici attraverso cui siamo soliti valutare  i primissimi libri, soluzioni sovente scartate come pacchiane e kitsch potrebbero avere invece una coerenza progettuale: si tratta di un campo in cui c’è molto da esplorare e sul quale vale la pena porre una specifica attenzione – anche per contrastare la produzione di libri scadenti in nome della scienza.

Pare molto stimolante anche ricercare soluzioni di qualità per sfruttare l’interesse verso i colori fluorescenti: carte, libri ma anche pannelli da affiggere alle pareti vicino alle superfici in cui i bambini trascorrono il tempo in posizione supina. Alla conferenza stampa tenutasi a Milano in vista della Bologna Children’s Book Fair 2020, annullata poi per le disposizioni sanitarie rese necessarie dal Coronavirus Covid-19, era stato anticipato un ritorno del fluo: sarà stimolante seguire come si sta muovendo il mercato e cosa proporranno le case editrici per la primissima infanzia.

Nel caso foste interessati a fissare interviste o incontri con l’autrice, potete scrivere a: ufficiostampa@bibliografica.it