E così, i mostri selvaggi sono finalmente tornati in libreria. Da una quindicina di giorni Maurice Sendak è tornato a popolare gli scaffali delle librerie con il suo libro più amato e venduto. La ragione del duraturo successo di questo libro, la cui edizione originale è del 1963, può solo in parte essere spiegata dalla profonda comprensione di cosa significhi essere bambino e dal determinato rifiuto di Sendak di essere condiscendente con i bambini, ma forse sarebbe meglio dire di accondiscendere all’immagine deteriorata che gli adulti hanno dei bambini. [Un rifiuto che è costato caro a Sendak: molti suoi libri sono stati e continuano a essere banditi dalle biblioteche pubbliche o scolastiche statunitensi e, secondo qualcuno, i mostri selvaggi sono il libro più vietato nella biblioteche americane.] Sendak - che è morto poco più di cinque anni fa – è indubbiamente rimasto in contatto con le tumultuose emozioni di quel se stesso malaticcio cresciuto a Brooklyn durante la Grande Depressione, riuscendo a trasformarle in quella che il New York Times ha definito «un’arte magica».
Duole però notare come di questo straordinario autore e illustratore, che nel corso della sua carriera, durata più o meno sessant’anni, ha illustrato un centinaio di libri e ne ha creati (nel senso di scritti e illustrati) sedici, nelle libreria italiane siano disponibili solo tre titoli. Oltre al già citato Nel paese dei mostri selvaggi (Adelphi, 2018, con la nuova traduzione di Lisa Topi), due delle cinque storie di Orsetto, da lui illustrate su testi di Else Holmelund Minarik (sempre per Adephi e, in precedenza, per Bompiani).
Sono forse alcune decine i libri che varrebbe la pena fossero disponibili anche in lingua italiana. Ma ragioni editoriali e commerciali evidentemente hanno suggerito a più di una casa editrice, nel corso del tempo, di evitare una eccessiva esposizione alle critiche e alle controversie che hanno sempre caratterizzato l’opera di questo eccellente artista. La Emme Edizioni di Rosellina Archinto fece, negli anni Settanta, alcuni tentativi di proporre al pubblico anche altre opere di Sendak. Fra queste, Luca, la luna e il latte, versione nostrana di In the Night Kitchen (edizione originale 1970; prima edizione italiana del 1973 e mai più ristampato).
Totalmente assente dagli scaffali italici, Outside Over There (1981): il libro che Sendak stesso considerava il proprio capolavoro, un «profondissimo lavoro di scavo nella mia anima» che lo tenne impegnato per ben cinque anni.
Devo confessare che questa assenza non mi stupisce. Outside Over There è un libro complesso, ambiguo, addirittura ostico. Probabilmente tocca corde talmente profonde dell’inconscio di noi adulti da risultare a molti (a me, per esempio) repulsivo. [Devo però aggiungere che, nelle trascorse vacanze natalizie ho messo il libro in mano a due bambini, di sei e otto anni, che si sono appassionati e hanno guardato incuriositi le illustrazioni, rivolgendomi dopo la lettura domande molto interessanti.]
Outside Over There non è libro del quale sia facile dare una sintesi. Proviamoci: Ida è una ragazzina che deve occuparsi della sorellina piccola perché suo padre è lontano, in mare, e sua madre, pur essendo vicina, è assente, forse depressa. In un momento di distrazione, strane creature rapiscono la piccola e la sostituiscono con un simulacro di ghiaccio. Ma Ida è intelligente, forte e determinata e, grazie a un trucco magico, riesce a salvare la sorellina e a tornare a casa, dove la attendono una madre finalmente presente a se stessa e una lettera del padre.
Questo racconto misterioso, scritto in una lingua frammentaria, con pochissime parole e la quasi totale assenza di punteggiatura, è accompagnato da illustrazioni che, se da una parte hanno forti riferimenti al Romanticismo tedesco (e in particolare a Caspar David Friedrich e a Philip Otto Runge) e sono realizzate con l’abituale maestria di Sendak – artista molto eclettico –, dall’altra presentano aspetti inquietanti e di non immediata interpretazione, già a partire da certe sproporzioni, che fanno assumere a molte immagini un tono grottesco che non trovavo corrispondente al testo e all’obiettivo che immaginavo Sendak si fosse proposto. La mia reazione istintiva al libro è stata di rifiuto: trovavo assolutamente inspiegabili molte delle scelte narrative, stilistiche e compositive di Sendak e non riuscivo a capacitarmene. Il libro, insomma, non mi metteva a mio agio e così, acquistato alcuni anni fa durante un viaggio negli Stati Uniti, è stato messo a scaffale e non l’ho più riguardato.
Per fortuna, come diceva Gabriel Garcia Marquez, «solo alle stirpi condannate a cent’anni di solitudine non è concessa una seconda possibilità». E la seconda possibilità, per questo libro, si è presentata sotto forma di un libro acquistato per sbaglio. Insomma, capita più o meno a tutti: ho letto il titolo e l’ho preso. Il classico acquisto d’impulso. D’altra parte, che cosa avreste fatto voi davanti a un libro che si intitola There’s a Mystery There. The Primal Vision of Maurice Sendak (Jonathan Cott, Doubleday, 2017). Pensavo fosse un saggio sull’opera di Maurice Sendak nel suo complesso. In realtà, mi sono trovato fra le mani una monografia di 240 pagine dedicata interamente proprio a quel libro che mi metteva a disagio.
Ma siccome la nonna mi diceva sempre che lo spreco è peccato, mi sono messo con pazienza a cercare di cavare qualcosa di buono da quell’acquisto. E sono bastate poche pagine per capire che, per una strana congiunzione astrale, mi ero ritrovato fra le mani l’archetipo dell’opera di critica dell’albo illustrato: un modello al quale dovrebbero fare riferimento tutti quelli che pensano di cimentarsi nel lavoro critico.
Questa affermazione forse è un po’ ardita, quindi penso sia il caso di approfondirla un po’. Quello che questo libro è stato in grado di fare è darmi una visuale completamente nuova di un libro che non mi piaceva, farmene apprezzare l’importanza, il senso. Ed è riuscito a farlo senza fare appello alle mie emozioni, ai miei gusti e disgusti: Outside Over There continua a risultarmi ostico; ma certamente Jonathan Cott mi ha messo nelle condizioni di non preoccuparmi della mia relazione con il libro ma di concentrarmi sul libro stesso.
Non penso di poter riassumere questo saggio assai lungo, ma che si legge come un romanzo ben scritto, né penso sia giusto farlo, anche perché mi farebbe piacere che fossero in molti a incuriosirsi e desiderare di replicare la mia esperienza. Cott prende le mosse da una lunga intervista fatta a Sendak nel 1976 e da qui, anche grazie a una non sporadica frequentazione dell’autore, comincia a esplorarne l’opera e la psicologia, dando conto non solo del dibattito critico che il lavoro di Sendak ha suscitato, ma anche delle sue esperienze giovanili e delle influenze umane e artistiche che lo hanno formato. Cott è erudito, senza essere pedante, e sensibile, senza essere emotivo. Riesce a mettere insieme le idee di Mozart sulla morte (e a proposito, visto che in Outside Over There Mozart compare e per Sendak il musicista salisburghese era quasi un’ossessione) e a individuare la somiglianza dei goblin disegnati da Sendak con le incisioni seicentesche di Jacques Stella.
A confronto con un intellettuale (perché non va dimenticato che gli autori e gli illustratori di albi illustrati – almeno quelli fra loro migliori - sono intellettuali a pieno titolo), Cott cita Omero e Rumi e coinvolge psicanalisti, storici dell’arte, autori teatrali, nella chiara determinazione di sondare il “mistero” dichiarato dal titolo: il mistero di una visione estremamente personale dell’infanzia che, filtrata attraverso esperienze, studio, ossessioni e attenzione, ha prodotto vere e proprie opere d’arte.
Ma c’è almeno una cosa che mi sembra interessante sottolineare ed è relativa alla dimensione temporale del libro. Come è accaduto anche in Nel paese dei mostri selvaggi e in In the Night Kitchen, la dimensione temporale della vicenda narrata nel libro è ambigua. Da un lato la storia si sviluppa in un tempo dilatato, nel quale accadono molti fatti, si fanno molti incontri e si corrono molti pericoli: un tempo bastante a diventare più grandi. Dall’altro, si avvertono segnali, più o meno espliciti di un tempo molto più compresso, di una vicenda che accade in un solo istante, in una dimensione altra, che è il pensiero. Un pensiero, contratto, istantaneo, articolatissimo e luminoso, nel quale una storia si compone e si scompone nel tempo di un passo, di una mano che riprende il braccio teso della sorellina, sfuggito alla presa, in un prato, sotto l’occhio vigile del girasole.
Insomma, un libro straordinariamente ricco, e riccamente illustrato, per illuminare un albo altrettanto ricco di senso e di significato. Un libro che mi ha fatto capire che, sebbene continui a non piacermi, Outside Over There è un classico, nel senso che Italo Calvino ha attribuito al termine: «un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire».