[di Rita Gamberini]
L’ho conosciuto che era un ragazzino, magro e sfrontato. Incurante della fama di pericoloso sbandato che lo accompagnava, voleva fare, organizzare, mobilitare. Entrava nel mio ufficio, dove mi occupavo di attività culturali, senza far caso se fossi impegnata o no, e già lo sguardo, una mezza sfida e un mezzo sorriso, mi comunicava “mi devi ascoltare adesso”. Lo ascoltavo per simpatia e perché intuivo che avrebbe potuto scaldarsi e provocare trambusto. Che era un tossico politicizzato l’ho capito quasi subito e me lo sono tenuto così com’era, con la prepotenza di un bisogno che ha domato piano piano.
Di suo padre non mi ha mai parlato, sapevo solo che era morto presto, di sua madre non aveva una buona opinione, ma non l’ha mai biasimata, volgendo a suo favore il mancato controllo, l’assenza di sorveglianza nella possibilità di essere libero di fare quasi tutto, con lo svantaggio però di sbagliare molto.
Espulso da scuola alle medie, andava ad ascoltare le lezioni arrampicandosi vicino alla finestra, nessuno lo cacciava, lì appeso non dava seccature. Poi ha fatto tutto da sé, letteratura, filosofia, ideologie, solo quello che gli piaceva.
Mi trattenevo con lui dopo il lavoro, andavamo al parco, mi mostrava cosa aveva scritto, un testo che avrebbe voluto rappresentare in teatro, un progetto per organizzare un festival punk, la richiesta di uno spazio dove poter realizzare una fanzine insieme a un gruppo di cui era leader indiscusso. Sono riuscita ad accontentarlo in tutto.
Poi un giorno si è presentato distrutto, imprecando con un dente in mano e l’ho mandato via. Sapevo che sarebbe tornato e nel suo sguardo era rimasto solo quel mezzo sorriso, che non sfidava più nessuno. L’ho ingaggiato ad aiutarmi a dipingere casa e a sistemare il bagno, non è venuto all’appuntamento e sono andata a prenderlo a casa senza tante storie. Abbiamo fatto tutto quel che c’era da fare, grondante di sudore lui, fiduciosa io.
Le cose sono andate sempre meglio, si è innamorato, si è sposato e sono stata la sua testimone di nozze. Ha continuato ad occuparsi di teatro, gli è andata bene perché ha persino girato il mondo con una famosa compagnia di teatro sperimentale. Quando si è fermato è andato ad abitare in Toscana con una nuova compagna e ha iniziato a dipingere e a creare sculture. Siamo rimasti in contatto, era felicissimo di essere diventato padre. Ogni anno per il suo compleanno gli mandavo gli auguri e ci sentivamo al telefono. Poi un giorno non ho ricevuto risposta. Non sto a dire il resto, solo mi manca tanto.
A lui è stato dedicato il Simposio di arte a tema Montagnarte 2019.
La ruota della fortuna: immagine per la locandina di Oracoli, spettacolo della compagnia Teatro de los sentidos,
regia di Enrique Vargas, a cui Umberto ha partecipato.