Una fiaba quasi classica


Questo deve essere l'autunno dei libri infiniti: quelliche a un certo punto abbiamo pensato non sarebbero usciti mai più,tanto il percorso di realizzazione è stato lungo. E invece eccoliqui, dopo tutto il tempo e i pensa che ti ripensache sono costati ad autori, illustratori, tipografi, grafici etc. ViolaNiccolai, autrice di Lavolpe e il polledrino, l'abbiamo conosciutanel 2010 per uno stage presso noi Topi, che trovate raccontato qui


Durante quel periodo, ci capitò di parlare con lei dellatesi di illustrazione che stava preparando per l'Accademia di BelleArti di Bologna, e quello che ci disse ci incuriosì. Le chiedemmo,perciò, quando l'avesse terminata, di mandarcela. E quando questoaccadde, ci colpirono entrambe le parti di cui la tesi era composta:l'albo e l'esposizione in cui Viola motivava scelte e ragioni dellavoro. Così, dopo qualche riflessione, decidemmo che quell'albo,lavorandoci su ancora un po', ci sarebbe piaciuto pubblicarlo, perchéfaceva parte di un progetto bellissimo. Viola fu subito entusiastae disponibile a rimettere mano al libro. E come è andata poi, ve lofacciamo raccontare da lei.

Sabato, 20 settembre, alle ore18, presso l'hotel AlCappello Rosso. Albergo in Bologna dal 1375, verrà aperta al pubblico laBilBOlbul Room 2013 realizzata da Viola Niccolai, ultima delleinstallazioni d’artista permanenti che arricchiscono la collezionedi stanze a tema dell’albergo.

 In questa occasione saràpresentato La volpe e ilpolledrino, alla presenzadell'autrice e degli editori.


[di Viola Niccolai]

Le illustrazioni per  Lavolpe e il polledrino sononate tre anni fa, quando ho cominciato a lavorarealla tesi di laurea per l’Accademia a Bologna. In Letteredal carcere avevo letto i racconti scritti da Antonio Gramscie indirizzati ai figli, alla moglie e alla cognata ed ero rimasta moltocolpita per la loro freschezza e immediatezza. Vecchi ricordi d’infanziain queste pagine sono filtrati attraverso occhi ancora “bambini”capaci di stupirsi di fronte a tutto quel che vedono, e in grado diricreare atmosfere e immagini facilmente condivisibili. Trasparedai racconti l’importanza che un bambino, come nessun altro,dà a ogni nuova scoperta: l’incontro fortuito con un animale dipassaggio, l’odore di un campo d’estate, il folto umido di unbosco impenetrabile di alberi enormi.

LeggendoLa volpe e il polledrino, mi rimasero subito impressele immagini forti e definite. Mi pare poi che, quando arrivai allafine del racconto, strana e sospesa, mi sia domandata perché a unastoria con così tanti scenari e sequenze (soprattutto in rapportoalla lunghezza del testo), mancasse un finale. Mi aspettavo una favola,forse. Non capivo dove fosse la morale.

Inrealtà questa storia è come una fotografia dell’epoca in cui èambientata, con tanti spaccati diversi, scorci che danno al raccontoun respiro corale e riescono a inquadrarlo in un ambito ben ancoratoalla Storia. Non poteva perciò esserci un altro finale, e il fascinodelle scene che si rincorrono una dopo l’altra sta proprio nel fattoche il lettore, giunto alla fine, è condotto a immaginare cosa potràsuccedere in seguito, piuttosto che a saperlo con certezza. È una sortadi fusione fra realtà e fiaba. Una fiaba quasiclassica, per dirla come i Topi.

Cosìdecisi che il progetto di tesi sarebbe stato incentrato su questastoria che ogni poco mi tornava alla mente. Cominciai a raccoglieretutto il materiale per iniziare a disegnare: cartoline di piccolipaesi di provincia d’inizio Novecento, foto di distese erbose,ghiande, bambini d’estate nei campi. Ogni volta che metto mano aun nuovo progetto mi contorno di foto fatte nel corso del tempo o chetrovo in vecchi libri e album di famiglia. È un modo per ricondurrequalsiasi testo a una dimensione  personale, quindi a uncontesto più facile da gestire.


Così sono nate le prime illustrazioni, che sono tuttoranell’albo: la volpe all’inizio del libro, la stessa copertina,il paesaggio con gli alberi nel campo vicino al paese, i ritrattidi Nino (il protagonista) e del carrettiere. Ho anche cercato dilimitare l’uso dei colori, per richiamare lo stile essenzialecon cui Gramsci scrisse la storia, attraverso una tavolozzaristretta.

Prima di cominciare il lavoro, mi contornodi fotografie.


Per evitare orpelli nel disegno, in cerca di un linguaggio scarno,ho dipinto per prima cosa uno sfondo giallo caldo per quasi tutte letavole, non uniforme, ma che facesse da legante fra pagina e pagina. Aquel punto, sempre con le foto sparse sul tavolo, ho disegnato paesaggidi campagna, volpi e cavallini per l’albo che divenne la mia tesi.

Dopo le foto, comincio adisegnare.


Poi passò del tempo, da allora. Quello che fu sufficienteper dare un po’ di riposo alle tavole, ché quando si guardanotutti i giorni l’occhio ci si abitua troppo e va a finire che nontrova più errori.
In quel periodo Giovanna e Paolovidero il progetto. Dopo qualche mese, ci incontrammo a Bolognaper parlarne. A  quel punto il mio sguardo sulle tavoleera cambiato, più distaccato. Ed è cambiato anche il libro, daquel giorno di neve bolognese. Dalle riflessioni fatte con Giovanna,venne fuori che l’aspetto più onirico del racconto stentava a venirfuori. Esattamente metà della storia.

La tesi prendeforma.


Nella versione definitiva del libro, le tavole realizzate peril progetto di tesi, sono metà. Sono rimaste quelle di avvio allastoria, mentre sono cambiate quelle in cui la vicenda si approfondiscee cambiano i punti di vista. Ho lavorato su  quelle incui l'idea di base non era ancora interamente sviluppata, cercandodi trovarle uno sbocco sulla carta.

Per far questo,ho ripensato all’aspetto di cui parlavo all’inizio, che mi hasegnato di più nella lettura delle lettere di Gramsci ai figli, ovverol’osservazione dei particolari rimasti inalterati nella mente di chi,anche da adulto, si ricorda che la coda della volpe sventolava come unabandiera o la corsa della cavalla intorno al suo “polledrino”.
Concentrarsi sulle interpretazioni del mondo che si fannoda bambini, o su come tutto a quell’età appaia grande e possanascondere un lato magico e fiabesco è stato un input per sviluppareillustrazioni in cui, anche partendo dal disegno di una scatola di latta,era possibile raccontare una storia.



Forse è stata la parte più interessantedi questo secondo periodo di lavoro al progetto: andare oltre ildato reale, aggiungendo alle tavole elementi fantastici, dettagliper introdurre nuove chiavi di lettura.
Per questo devoringraziare Giovanna e Paolo, che hanno creduto nel progetto e nelsuo sviluppo; Chiara Carrer e Ilaria Tontardini che hanno coadiuvatoil lavoro dalla sua nascita nei mesi in Accademia, arricchendolodi preziosi scambi e condividendo opinioni e visioni che mi hannopermesso di allargare il punto di vista.

Le foto di Iori e dei suoi fratelli quandoerano piccoli.


Giorni pieni di consigli sono stati anche quelli passati in compagniadi Silvia Rocchi, Alessandro Palmacci e Francesca Lanzarini che hannoseguito tutte le tappe dei miei deliri in preda alla tendinite; cosìcome Germana e Jori (che mi ha anche prestato tutte le foto di quando erapiccolo, coi suoi fratelli, nei campi). È stato un percorso collettivo,bello, e anche all’indietro, fino all’infanzia, nella casa nel parcodi castagni col nonno che metteva a posto sugli scaffali i suoi libri diGramsci.

Con il nonno, nella casa del parco deicastagni.