A volte, dagli anfratti insondabili degli scaffali di casa, esce il libro giusto al momento giusto. Su questo blog, qualche giorno fa, abbiamo riferito di una serie di interventi sull’illustrazione e l’albo illustrato, pubblicate sul numero 40 della rivista Hamelin (e potete leggerne qui). Interventi non tutti condivisi, ma indubbiamente preziosi per il dibattito critico intorno a un fenomeno che ha caratterizzato l’editoria per ragazzi italiana degli ultimi vent’anni. In fondo, non sappiamo bene ancora che cosa voglia dire fare albi illustrati ed essere illustratore oggi.
Così, da questi reconditi recessi di conoscenza accumulata, proprio qualche giorno fa sono saltati fuori non uno, ma due libri: un libro illustrato americano del 1971 e il catalogo ragionato, pubblicato nel 1985, di uno degli illustratori coinvolti in quel libro.
Il libro è Rimes de la Mere Oie, designed and illustrated by Seymour Chwast, Milton Glaeser, Barry Zaid of Push Pin Studio (Boston: Little, Brown & Company) e da questo sono tratte le immagini di questo post. Il catalogo è Seymour Chwast. The Left-Handed Designer, dal quale traduciamo, senza commentare, alcuni passaggi dell’intervista che lo apre (New York: Harry N. Abrams, Inc.)
Pensiamo che queste riflessioni di Seymour Chwast, uno dei grandi innovatori dell’illustrazione e del libro illustrato negli anni Sessanta e Settanta siano sotto molti aspetti ancora oggi validissime, in particolare perché tendono a spazzare via dal campo dell’indagine la balzana idea che l’illustratore sia un artista, a favore di una radiosa modestia che promuove una più corretta visione dell’illustratore come comunicatore al servizio, insieme ad altri, di entità superiori. Come i libri.
Fino a dove ti spingi per soddisfare il committente?
Il messaggio del committente deve essere espresso nel modo più chiaro e accessibile. E nella misura in cui tengo conto dei bisogni del committente, posso essere tanto scandaloso e imprevedibile quanto mi va. Ma non posso sacrificare il messaggio del committente e la sua comprensibilità alla mia reputazione. Alla fine, la mia idea grafica e la storia che il committente vuole narrare devono convivere in armonia.
Fai fatica ad avere delle idee?
Il problema è sapere a che punto fermarsi. Se l’idea non si condensa, dopo che ci si ha faticato su un po', bisogna lasciarla perdere. Mi è capitato di leggere del concetto di idea verticale e di idea laterale: se scavi una buca, ma la scavi nel posto sbagliato, non ha senso farla più profonda; l’idea laterale è quella che ti fa smettere, per ricominciare a scavare in un altro posto.
A volte le idee mi vengono quando sono a letto ed è appena suonata la sveglia. In altri casi mi è necessaria la ricerca: una vecchia fotografia o un’immagine possono stimolare un concetto. […]
Non arrivi mai a temere che quello che stai facendo sia stanco? Non ti capita mai di fare qualcosa di diverso solo per il gusto della diversità?
È una lotta senza quartiere quella fra l’impulso creativo e i vincoli. Vincoli che possono essere il tempo, il committente, la pigrizia e la mancanza di pazienza. Io, per quel che mi riguarda, lavoro sempre su una decina di progetti simultaneamente. Mi sono abituato a farlo. In effetti, ormai ho bisogno di avere scadenze. La cosa peggiore è essere rimasti con un solo lavoro da fare, perché ciò che mi dà la motivazione, molto spesso, è passare al lavoro successivo. Nel momento in cui lavoro a un disegno, per esempio, può capitare che stia elaborando un concetto o progettando un nuovo lavoro con il mio partner, Alan Peckolick, o con altri membri dello studio.
Conservi gli schizzi e gli appunti di idee?
Faccio molti disegni preparatori, ma li butto via appena il lavoro è finito. È parte della mia ossessione per l’ordine. In genere, a meno che si tratti di un poster, comincio a lavorare nel formato finale. Passano più o meno quattro minuti e mi rendo conto che non riuscirò mai più a disegnare, così comincio a fare degli schizzi molto piccoli e da quelli, di solito, germoglia un’idea. E quando diventa necessario tornare al formato definitivo, cerco sempre di conservare almeno un poi’ della freschezza e dell’energia degli schizzi in miniatura. Poi, appena ho ultimato il lavoro, butto via tutti gli schizzi.
Come hai detto? Hai detto «non riuscirò mai più a disegnare». Davvero?
Mi succede a ogni nuovo lavoro. Con l’ultimo disegno ho avuto la mia ultima buona idea. È una lotta, perché tutto è già stato fatto Immagino che per le nuove generazioni sia ancora più difficile, perché dovranno inventare qualcosa di completamente nuovo.
I libri per ragazzi ti consentono una maggiore libertà rispetto all’illustrazione per adulti?
I bambini reagiscono bene alle illustrazioni che realizzo. Mi stupisce sempre che siano considerate troppo sofisticate per i bambini. Non lo capisco proprio, a meno che non si intende che le mie illustrazioni non sono abbastanza “carine” per un pubblico infantile. E, ironicamente, questi commenti cozzano con il mio stile innocente e diretto. Vedi, non c’è niente dietro a quel che faccio. È tutto in bella vista. Non c’è simbolismo, non c’è mistero.
Sei sempre convinto di comunicare un punto di vista?
Quello che faccio è il mio punto di vista. Mi fa piacere quando accade che sia condiviso da qualcuno.
Non hai mai desiderato essere un artista?
Oh, no. Ho sempre saputo di avere bisogno di un messaggio o di un riferimento letterario al quale reagire. Risolvere problemi estetici è al di là delle mie capacità e, considerando la mia estrazione proletaria, mi sembra un po’ vizioso.
Come ti rapporti con il tuo lavoro passato? Che cosa hai imparato? Che cosa ti piacerebbe riuscire a fare ancora?
In passato avevo qualcosa che non ho più: l’innocenza. Ma sono andato a troppe mostre, ho guardato troppi cataloghi e ho scambiato l’innocenza con la professionalità. Invece mi piacerebbe avere entrambe le cose.