Vite sciupate



Adele,Le cose belle di A. Ferrente eG. Piperno.

Adele ballae ride, in un parco acquatico alla periferia di Napoli. Ha quindicianni ma va ancora in prima media. L’hanno bocciata quattro volte,perché a lei la scuola non interessa e non si fa mettere i piediin testa da nessuno, soprattutto dagli insegnanti. Balla e ride eracconta. Le fanno qualche domanda. Lei risponde compunta, precisa. Poile chiedono: «E il futuro?»
È in quell’istante che calail velo, che la camera perde il fuoco. Adele sente il presagio, perdeil sorriso e la parola. In un silenzio di pochi secondi trascorrono aritroso le ere e ci rendono consapevoli di milioni di anni di sedimentivulcanici accumulati, affastellati gli uni sopra gli altri, a nasconderereticoli di vuoto che risucchiano tutto in invisibili voragini.
Napoli è una città antropofaga.

Capita, una bella sera d'estate,che faccia fresco e le incombenze del lavoro e della famiglia ci lascino -inaspettatamente - lo spazio per andare al cinema. E ci si va allegri, inbicicletta, chiacchierando e pensando che dopo si mangerà la pizza. Poisi spengono le luci in sala - una di quelle sale piccole, che sembra diessere in autobus - e bastano pochi istanti per scoprire che quella cosalì, quella che ti stanno raccontando con tanta grazia, tanto garbo,tanta umanità, senza retorica e senza quella falsa compassione che tifa sentire migliore solo perché te ne stai seduto lì a guardare, èl'inferno. Lo spreco della vita.

Le cosebelle è il sequel,documentario, di un documentario girato da AgostinoFerrente e GiovanniPiperno per Rai Tre, nel 1999, Intervista a miamadre: quattro ragazzini napoletani che si sonoraccontati davanti a una telecamera, parlando della propria vitae dei propri sogni. Dodici anni dopo, il tempo è passato, e lasensazione è che sia troppo tardi, per tutti.


Enzo,Le cose belle di A. Ferrente eG. Piperno.


Dodici anni dopo, nello sguardo di Enzo c'è ancora lo stesso terroreguardingo di animale braccato, di ragazzino che sa che qualsiasi cosapotrà mai avere - fosse anche solo una macchina da presa che lo inquadra- gli verrà sottratta. Parlava, ragazzino, guardandosi intorno, timorosoche gli arrivasse lo sberleffo, lo smacco, l'apostrofo. E parlava delsogno di cantare, di affrancarsi dal "posteggio" e dedicarsi ai classicinapoletani, di fare il Conservatorio. Ma in ogni sua frase, c'era sempreun finale in diminuendo: «Faccio il Conservatorio, e quel che esce,esce»; «Vorrei andare a Bravo Bravissimo e al Maurizio Costanzo Show,ma se non va bene, mi trovo un lavoro di strada. Quello che capita.»Enzo non canta più. Fa il piazzista porta a porta per una compagniatelefonica di seconda fila. È solo. Profondamente solo. Apre il film,muto, terrorizzato, davanti a un microfono. Gli hanno chiesto di cantarema non ci riesce. Una scena analoga chiude il film. Enzo si mette lecuffie, sente il pianoforte e canta Passione. Èbravissimo. Ma in una scena del film lo abbiamo sentito dire che non vuolepiù cantare. E allora, a che scopo tanta, commovente, bravura?

Fabio,Le cose belle di A. Ferrente eG. Piperno.


Fabio trascina la sua vita, facendo finta che sia normale starecon la mamma e non avere un lavoro, non avere niente. «I solitiignoti, che non hanno rispetto per la vita degli altri», gli hannoammazzato il fratello: è uscito una mattina di casa e non è maitornato. Domani potrebbe capitare a lui. Per questo è sprezzante,indolente, vacuo. Dodici anni prima, Fabio, dodicenne sveglio, checonosce a memoria il prezzo dei pesci che la madre compra ai mercatigenerali e vende dal pianale dell'Apecar al Vomero, ci raccontala sua vita in un cortile. Mentre parla, dall'alto cadono lazzi epernacchie di suoi coetanei rabbiosi: e «che ce ne fotte a noi?» Lasua vita non gli appartiene, che cosa lo autorizza ad appropriarsene,raccontandola? Stia al suo posto: non pensi di poterci umiliarecon il suo riscatto. Infatti Fabio lo sa: «Per me, volere è mezzopotere.» Vengono in mente i racconti di Carla Melazzini in Insegnareal principe di Danimarca, quando, illustrando lasua esperienza di insegnante a Napoli, coinvolta nel Progetto Chance,afferma che spesso sono le famiglie stesse a osteggiare il riscatto deifigli, attraverso lo studio e il lavoro: padri e madri incattiviti peri quali l'idea stessa che i figli si costruiscano un futuro fuori dallafamiglia è una offesa imperdonabile, un progetto da annientare.

Silvana,Le cose belle di A. Ferrente eG. Piperno.


Di Silvana mi viene da dire che è bella. Bella di una bellezzastruggente. Dovrebbe essere la più disperata: padre agli arrestidomiciliari; madre malata e padrona; fidanzato assente; fratello a Nisida;niente lavoro; niente di niente. (Le chiede un avvocato: «Ma ce l'haiuna vita tua?», «Ogni tanto» risponde). Eppure è l'unica che ancoraride e sorride. L'unica, in tutto il film. La se stessa ragazzinache sognava di fare la modella, invece, non sorrideva mai. Sognava,ma non voleva fare progetti, sapendo che sarebbero comunque andatimale. «Invece, parlami delle cose belle?» le avevano domandato. Leiaveva distolto lo sguardo. Senza dire più una parola.


Silvana,Le cose belle di A. Ferrente eG. Piperno.


Che cosa è stato sottratto a quei ragazzini? Di cosa sonostati espropriati perché le loro vite siano state e siano ancoracosì sospese, cristallizzate nella mancanza di una prospettiva dimiglioramento? Perché pensavano già allora di non potersi neppurepermettere di immaginare qualcosa di diverso? Perché, dodici anni dopo,continuano a pensarlo? Chi gli ha insegnato la rassegnazione?
Tornano in mente le parole di donna Mariuccia, uno dei personaggi diIlmare non bagna Napoli, di Anna Maria Ortese,che guardando i bambini del cortile del palazzone popolare dove sisvolge la vicenda, osserva: «Io, quando li vedo, e penso che devonodiventare tale e quale a noi... mi domando che cosa fa Dio.»

Enzo, Lecose belle di A. Ferrente eG. Piperno.


Quando ero ancora ragazzo, sono scappato da Milano. Non mi sembravache la città tanto amata avesse più qualcosa per me. Ho preso un aereoper Londra, con l’indirizzo di un amico che mi avrebbe ospitato per duesettimane e il numero di telefono di un conoscente, che forse mi avrebbefatto lavorare come magazziniere. Ho trovato una Londra grigia e rabbiosa,nella quale i miei coetanei gridavano che non c'era un futuro e avevanodeciso che bisognava distruggere il presente a calci. A me facevano paurae un po' invidia

In questa Napoli- quella di Le cose belle - nessuno prende a calciniente. Neanche i ragazzini il pallone. Non c'è niente da distruggereperché tutto è già distrutto. Ognuno ha il suo coccio, il suoframmento, la sua tessera del mosaico. Forse si potrebbe rimetteretutto insieme, ricostruendo - come un intarsio - una copia abbastanzafedele della vita. Ma che ce ne fotte, a noi?

Una presentazione del film più articolata, inquesto filmato.

Un'intervista conil regista Giovanni Piperno