Poesia gigante, poesia piccina

[di Letizia Soriano]

Essere bambini è un dato di natura; restare bambini nella capacità di cogliere e apprezzare i piccoli eventi e fenomeni naturali, emozionandosi e commuovendosi di fronte a essi, è proprio del poeta. Avvicinare il bambino alla poesia e all’armonia delle cose della natura, al silenzio che vuol cogliere rumori insospettati, all’attenzione per le sfumature dei colori e degli odori ... questo è proprio dell’educatore.”

Margherita Zoebeli

Nel fortunato anno scolastico 2011/2012 lavoravo al CEIS (Centro Educativo Italo Svizzero) di Rimini. Insieme alla mia collega Monica Pironi, insegnavo italiano in una quarta. Monica, in uno dei giorni che precedeva la ripresa delle lezioni, mi aveva raccontato di aver avuto una bellissima idea: proporre alla classe un laboratorio di poesia per creare dei componimenti da regalare il giorno del compleanno di ciascuno. Maestri compresi. 

Così è cominciata la nostra avventura poetica assieme ai bambini. 

Naturalmente abbiamo subito pensato all’organizzazione di tempi e spazi: bisognava dividere la classe in due gruppi che avrebbero lavorato in parallelo, sempre nello stesso giorno della settimana, ciascuno con un’insegnante di riferimento. In questo modo, oltre a creare una routine intorno alla composizione poetica, potevamo facilmente ideare la poesia del festeggiato che si trovava nell’altro gruppo. 

Aprivamo i lavori invitando il gruppo a immaginare sfondi in cui pensare i festeggiati: ciascuno chiudeva gli occhi e provava a pensarli. Gli sfondi potevano essere di vario tipo. Insieme poi sceglievamo l’ambientazione più adatta: un bosco, un cinema, una spiaggia... Successivamente chiedevamo ai bambini di pensare un aggettivo, un nome, un verbo che ricordassero le caratteristiche del festeggiato. Queste parole venivano scritte alla lavagna e, successivamente, si decideva insieme come utilizzarle, dove inserirle.  

 

Ti ho appena trovato 

e già saltelli via 

come una molla allegra.

 

Curioso vai a scoprire

il mondo.

Sai incontrare gli altri

e sai sorprenderli con

le tue parole libere,

i tuoi gesti gentili.

Vorrei chiederti:

“portami via con te”

ma tu sei già verso il tramonto.

Dopo aver ragionato sugli abbinamenti delle parole e ascoltato le idee del gruppo, c’era anche chi chiedeva di poter scrivere dei versi individualmente per poi impiegarli nella composizione collettiva. Lo stile utilizzato si modificava di volta in volta, in base all’ispirazione suscitata dal compagno o dalla compagna di turno. I bambini erano chiamati a prestare attenzione anche al ritmo sonoro prodotto da pause, punteggiature, sospensioni, e a operare una scelta creativa di “gusto”. Particolare cura veniva dedicata alla disposizione grafica dei versi. E tra le scoperte più stimolanti per i bambini c’è stata quella di poter ideare con libertà e ironia, espressioni tanto creative e poetiche quanto apparentemente bizzarre, associando nomi e aggettivi appartenenti ad ambiti semantici differenti (un sorriso profumato, una sciarpa chiacchierona...), una pratica che alleggerisce e dona freschezza al linguaggio: 

Le tue parole sono un disegno leggero che mi consola gli occhi

                                                                    Le tue mani di sole sanno donarmi calore

Questa attività ha richiesto un impegno costante che si è mantenuto e si è rinnovato per l’intero anno scolastico. Per noi insegnanti ha rappresentato un ottimo strumento per far sì che i bambini potessero acquisire, gradualmente e progressivamente, un ricco repertorio di abilità linguistiche, un ampliamento significativo del vocabolario e, quel che è più importante, un crescente interesse verso il miglioramento della propria capacità comunicativa. A fine anno siamo riusciti a scrivere una quarantina di poesie, le abbiamo illustrate e, grazie all’aiuto di un genitore che ci ha sostenuto economicamente, siamo riusciti a realizzare un vero e proprio libro intitolato Instancabile rosa bianca, stampato in diverse copie. 

Qui di seguito alcuni componimenti scritti insieme ai ragazzi e pubblicati nel libro:

Quando chiedi

le parole

battendo la mano sul petto.

 

Quando ascolti

una fiaba

stringendola forte a te.

 

Quando indichi 

le immagini

per esprimere

l’universo dei tuoi pensieri.

 

Sei tu, tenace guerriero

 

della più grande avventura

 

SE-GRETA

Entrare in un bosco 

     a passi 

leggeri.

             Sentire il calore del sole

che si intrufola tra i rami.

Le foglie avvolgono i piedi

      Come una calda energia.

E tu, instancabile rosa 

     bianca,

              ci regali silenziosi segreti.

 Disegno di una bambina per Instancabile rosa bianca

 

Quando mi capita di rileggere le poesie di Instancabile rosa bianca, ripenso a tutto il percorso fatto con questa classe e capisco che certe espressioni, certe parole, non sono arrivate da sole. 

I bambini, fin dalla prima elementare, hanno giocato e lavorato costantemente con la lingua scritta, attraverso calligrammi di parole a cui erano affezionati, anagrammi dei loro nomi e cognomi, limerick, acrostici e letture spassose di libri a tema, come: Il vicario, cari voi Agura Trat di Roald DahlMoltissimi spunti di lavoro li abbiamo ricevuti da Ersilia Zamponi e sono presenti nel suo magnifico libro I Draghi locopei (anagramma di Giochi di Parole). Una raccolta di giochi sperimentati a partire dal 1982 nella scuola media di Crusinallo (Omegna), durante un corso complementare inserito all’interno delle attività del tempo pieno. 

Zamponi, nella prefazione a I Draghi locopei, scrive: “credo che giocare con le parole sia un’attività importante per certi aspetti dell’educazione linguistica che, nell’ambito disciplinare, di solito resta un poco in ombra; in particolare per il contributo allo sviluppo di alcune abilità connesse con l’uso creativo della lingua. Il gioco di parole è un’attività che distrae il linguaggio verbale dal suo ruolo utilitario e ne infrange gli automatismi; usa la lingua in modo inconsueto e la sottopone al vincolo di una misura; il gusto della parola. Valorizza insomma alcuni elementi propri della funzione estetica della lingua; in un certo senso è propedeutico e complementare alla poesia.” 

In effetti, all’interno della nostra classe non sono mai mancate poesie appese alle pareti e attaccate alle porte, o come incipit di scrittura per i testi. Tra i più amati: Roberto Piumini, Giusi Quarenghi, Bruno Tognolini, Silvia Vecchini, ma anche Tagore, Elio Pecora… tutti ci hanno accompagnato nei cinque anni passati insieme.

A questo proposito, poche settimane fa, ho incontrato la mamma di una di questi bambini (non più bambina perché ha ventidue anni e si sta laureando in Scienze delle Formazione Primaria) che a un certo punto mi ha detto: 

“Ti ricordi quando noi genitori ci fermavamo a chiacchierare all’ingresso? Tu sbuffavi sempre perché era il momento delle poesie a memoria. Così una mattina, quando siamo arrivati, abbiamo trovato sulla porta un cartello che diceva: NON DISTURBARE, POESIE IN CORSO. Ancora rido, quando ci penso”. 

No, io proprio non me lo ricordavo. Ma ricordavo, invece, quanto fosse importante per i bambini il momento della poesia a memoria, in piedi sulla sedia, intorno al silenzio dei compagni, imparata a casa con tanto impegno e fatica, a cui sempre seguiva un sonoro applauso da parte di tutta la classe. Erano una festa, le poesie in corso.

L’insegnante deve essere consapevole della complessità e plurifunzionalità dell’atto della scrittura mettendo a punto attività didattiche adeguate e funzionali per far acquisire ai bambini la stessa consapevolezza. Si tratta dunque di proporre situazioni didattiche in cui l’agire è essenziale per capire, per spiegare, per riflettere su un’esperienza. È pertanto essenziale introdurre, nella pratica scolastica, compiti di scrittura reali, cioè situazioni in cui è chiaro perché e per chi si scrive. Infatti, la motivazione alla scrittura deriva spesso dall’esistenza di un destinatario (…). 

La scrittura è espressione personale ed è comunicazione: essa, come qualsiasi attività umana, non esiste al di fuori di una motivazione. Nell’atto dello scrivere c’è un coinvolgimento globale della persona: mente, pensieri, cuore, occhi. Pertanto ci vuole molta energia per mettere in movimento in modo coordinato tutti questi elementi ai quali si aggiungono competenze di pari essenzialità: attenzione, concentrazione mentale, evocazione di informazioni e di idee, conoscenza del codice linguistico, capacità manuale di riprodurre dei segni. Comporre testi è dunque un processo linguistico-cognitivo di straordinaria complessità che richiede a chi scrive l’imparare a conversare da solo; presuppone cioè la capacità di avere consapevolezza delle proprie operazioni cognitive. 

(Cristina Balzaretti, Laboratorio poesia, Erickson 2001)

Dunque, quali difficoltà in questo tipo di lavoro? 

La più spinosa riguardava sicuramente la scelta delle parole da utilizzare. Alcune suonavano, altre no. Alcune erano azzeccatissime, altre no. 

E come fare per scegliere quelle più adatte, più convincenti, più brillanti, senza offendere chi, con tanto impegno, aveva comunque partecipato con impegno e fiducia? 

Solo con un intervento il più possibile neutro e di ascolto. Lasciando parlare il gruppo. Rileggendo molte volte il testo, anche a distanza di tempo. 

C’erano bambini che partecipavano molto, e altri molto poco, a causa della loro timidezza o di una forma di ritrosia nei confronti della lingua scritta. Riusciva a tranquillizzarli il fatto che il componimento fosse frutto di un lavoro collettivo e che il destinatario fosse un compagno della classe, non l’insegnante. L’insegnante, in questo caso, aveva il compito di guidare il gruppo, di mediarne le proposte e di sostenerle.

A un certo punto, la scelta non riguardava più il singolo, non era questione di mio o tuo, e nemmeno una preferenza della maestra. La questione si spostava automaticamente su cosa fosse più giusto scegliere per quel tipo di lavoro e per quel bambino nello specifico. Si trasformava in una questione oggettiva, seppur dentro un contesto completamente soggettivo come, si crede, possa essere quello poetico. Il vero lavoro, quello più importante, è, infatti, uscire da sé per entrare dentro una sfera completamente diversa: quella del componimento, che richiede comunque una valutazione piuttosto precisa da parte di ciascuno. Qualcosa che va ben oltre il proprio piacere personale, l’affetto o la confidenza nei confronti di una parola. La creazione, ogni volta, di un terreno comune in cui i ruoli e le preferenze personali si annullano. Questo è probabilmente l’aspetto più importante, al di là del risultato finale. La capacità di ciascuno di mettere da parte simpatie e antipatie e di stare dentro la parola, la più giusta, la più esatta possibile, indipendentemente da chi l’ha detta o pensata. E scoprire che, solo in quel momento preciso, il nostro lavoro prende vita. 

Dalle esperienze fatte finora ho tratto alcune considerazioni che mi invogliano a proseguire. (…) giocando con le parole i ragazzi arricchiscono il lessico imparano ad apprezzare il vocabolario che diventa potente alleato di gioco; colgono il valore della regola, la quale offre il principio di organizzazione e suggerisce la forma in cui poi essi trovano la soddisfazione del risultato. Non intendo certamente dimostrare l’utilità dei giochi di parole: se i ragazzi “sono tutti figli di principi” hanno diritto anche al superfluo e il mondo -per nostra fortuna- è ancora ricco di cose inutili che, proprio per la loro gratuità, svolgono una preziosa e insostituibile funzione.”

Ersilia Zamponi

Tra le righe del tuo racconto

luccicano

ricordi antichi,

pensieri danzanti

e un cuscino di note

da cui mi faccio cullare.

Ascolto i tuoi colori

e le tue parole sognanti.

Le tue parole

sono un disegno leggero

che mi consola gli occhi.

(Una poesia tratta da Instancabile Rosa Bianca)

"Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere."

Emily Dickinson