(Quasi) elogio del lavoretto

- Ahò, ma chi ti credi di essere, umbertoeco?

- ShhhhhhhhhHHHH

[di Michele Longo]

Premesso che

- i lavoretti non si possono vedere, ma dal vero sono un po’ meglio che sulle pagine Instagram delle maestre Instagram, sul pinterest delle maestre Pinterest, sul blog di maestra Gerlanda (amica carissima della Buttazzoni, ammesso che la Buttazzoni possa avere amiche)

- del glitter è stata proibita la produzione, perché dichiarato inquinante, ma prima di finire le scorte mondiali, hai voglia.

- da bambino trovavo la parola “lavoretto” offensiva dell’intelligenza infantile

- a scuola non li propongo, avvalendomi dell’esonero “maestra maschio”, ma non mi pare ci sia da vantarmene

- partecipo, a volte anche volentieri, a quelli proposti dalle colleghe, purché il finissage non vada oltre il rintocco dell’ultima campanella prima delle Vacanze

- che didattica vorrai mai fare a dicembre.

Concluse le premesse, mi azzardo a procedere.

 

Ai bambini, fare i lavoretti, piace. Indipendentemente dal grado di orrendezza del progetto e della realizzazione. Del resto, che i bambini non abbiano un senso naturale del bello, della sobrietà, del Bauhaus, è un fatto noto. Ai bambini piace fare i lavoretti, in primis, perché è sempre meglio che fare una verifica, dire la tabellina dell’otto, scrivere un dettato stillante ciliegie e camicie. Già la richiesta di mettere via libri e quaderni suona come un piccolo annuncio di liberazione. Dello spazio del banco, se non altro. Dietro al banco sgombro da quaderni e attrezzi di scrittura, e imbandito di roba da lavoretti, capita che si possa stare in piedi. Ed è già qualcosa. Sia che la maestra abbia predisposto il materiale in diverse postazioni dove i bambini possono rifornirsi, sia che chiami a uno a uno alla cattedra per consegnare solennemente una manciata di cristalli di neve in PVC, finisce che ci si può muovere per l’aula. E non è poco.

I bambini sanno meglio delle maestre che i lavoretti, sbullonando i sederi dalle sedie, allentano la “tenuta” della classe. Mentre si lacerano bristol con le forbici a punta arrotondata o si annegano frammenti di velina, si chiacchiera; sia esplicitamente permesso, o no. A fare i lavoretti sono tutti bravi e bravissimi, perché è Natale, Carnevale, Pasqua e la valutazione è sospesa.

  

  

Alcuni bambini - quelli con molta maestra interiorizzata – non se ne rendono conto: iniziano a preoccuparsi perché all’abete è caduto l’asse di simmetria fuori dal contorno d’argento, perché il paltoncino dell’angelo benedicente è a rovescio, perché si sono persi alla fase quattro. Dell’ortografia non si preoccupa nessuno. Neanche la prima della classe, che può finalmente scrivere come le viene. Visto che i lavoretti devono essere tutti uguali, si potrebbe anche copiare dal vicino di banco, ma non sempre va liscia, perché i retaggi bambineschi sono molto resistenti. (Maestra, mi ha copiato!). Il materiale per i lavoretti lo dà maestra. Questo costituisce un importante fattore di riduzione dello stress lavoretto-correlato per i bambini che perdono-sempre-tutto, e per quelli che non- hanno-mai-niente-nell’astuccio. Ricevere cose sberluccicanti, appiccicose, piumate e con odori strani è bellissimo, e induce un picco di euforia natalizia.

 

Il setting d’aula lavoretto, inoltre, è un banco di prova della capacità di adattamento e valutazione delle situazioni complesse. In ogni classe ci sono almeno un paio di bambini ai quali i lavoretti sembrano “roba da asilo”, che vorrebbero fare le palline a forma di “Enthelognatus Primordialis”, o che si sentono mortificati dal diminutivo. Questi ultimi sono spesso casi dall’esito infausto: terranno gli occhi levati al cielo per tutta la durata dell’attività, con conseguenze facilmente immaginabili sulla qualità del manufatto. Gli altri, invece, risolvono velocemente e per il meglio il conflitto tra il proprio giudizio sulla proposta didattica e la promessa di un momento di libertà o perfino di gioia condivisa. I loro lavoretti sono a volte i meglio riusciti, forse perché qualche grado di condiscendenza migliora l’effetto glacé in fase di cottura.

 

Azzardo ancora. I lavoretti si fanno con le mani. Ai bambini piace fare cose con le mani, ed è molto importante che ne facciano, dal punto di vista didattico, pedagogico, e dello sviluppo neuromotorio. Questo lo sappiamo tutte, ma tendiamo a ricordarcene solo per constatare come sono carenti nella motricità fine, nelle abilità prassiche, nelle autonomie personali. Le uniche cose che mettiamo loro tra le mani sono matite e penne, più raramente pastelli a cera o a olio, pennelli solo quando lo spirito di Theo Van Gogh ci passa tra i capelli, o quando sentiamo di poter tollerare a livello intrapsichico gli straripamenti d’acqua grigia sui fogli Fabriano F4, e quelli d’anima dei piccoli artisti.

 

Ora, non credo che fornire due volte all’anno ai bambini pigne innevate artificialmente, spaghi imbibiti in colla vinilica, batuffoli di cotone idrofilo, mollette da bucato lussate e simili, possa essere spuntato come “progetto sulla manualità” o, addirittura, ricondotto alla proposta di Gianfranco Zavalloni di introdurre il laboratorio di falegnameria nel curricolo scolastico. La persistenza almeno cinquantennale del lavoretto nella prassi scolastica, e la letizia con cui viene accolto dai bambini, però, potrebbero farci riflettere. Che è già qualcosa. Magari mentre cerchiamo di districarci il glitter dai capelli.