[di Elena Dolcini]
‟Forlì è in Italia”, come disse ai signori in fila davanti a me la ragazza alla cassa di uno dei foodstore milanesi di una famosa catena enogastronomica. Era l’inizio del 2015, di lì a poco il suddetto negozio avrebbe aperto una succursale anche a Forlì e, al momento del pagamento, la commessa dava questa informazione, specificando l’italianità di una città poco conosciuta, se non da chi ha con lei un legame specifico; poco percorsa sia da turisti, che prediligono le vicine Ravenna e Rimini, sia da flaneur interessati al margine; di sicuro non rinomata per le sue bellezze artistiche.
Di bellezze artistiche - è un dato oggettivo - Forlì non brilla, ma non ne è assolutamente priva, anzi, sarebbe un grosso sbaglio non riconoscere la presenza di alcuni luoghi di grande interesse in città: penso alla meravigliosa collezione Verzocchi a Palazzo Romagnoli, che include al suo interno opere di alcuni tra i più grandi pittori del Novecento italiano; al percorso architettonico razionalista, per quanto controversa, importante testimonianza di un preciso studio artistico e momento storico; ai Musei San Domenico che dal 2007 offrono un programma di mostre dall’approccio enciclopedico su grandi temi e autori della storia dell’arte, e, non da ultimo, ai marmi di alcune opere d'arte come l'Ebe del Canova e delle sculture di Adolfo Wildt.
Santa Lucia, di Adolfo Wildt.
Da qui il nome del negozio: siccome travertino, di cui abbonda l’architettura in città, sarebbe stato decisamente più ridicolo che simpatico, ho scelto marmo, un materiale protagonista di molta arte, dai tempi dell'antica Grecia ai video di Yuri Ancarani, dalla vertiginosa opera del Bernini al ribaltamento dei codici classici di Daniel Dewar & Gregory Gicquel; un nome che, secondo la mia visione, avrebbe posto le basi per un dialogo con Forlì, oltre a rimanere impresso nella mente dei suoi uditori.
E così è nato marmo, nell'ottobre del 2018; più che indipendente - qualifica alquanto irrealistica in un mondo fatto di relazioni - potrei forse dire libreria autonoma, le cui scelte si basano sulla mia preparazione, sui miei gusti e su quelli dei miei clienti, che negli anni si sono rivelati una fonte inesauribile di stimoli, quando non grandi amici con cui condividere grandi passioni. marmo - ho pensato che fosse bello scriverlo con la lettera minuscola, un po' come quest'arte contemporanea, che ha rifiutato la spiritualità suprema di un'Arte con la A maiuscola - è una libreria specializzata in immagini, al cui interno si trovano cataloghi d'arte, libri fotografici, albi illustrati, saggi, e molti altri ibridi dalla grafica sperimentale.
Mentirei se omettessi che inizialmente qualche addetto ai lavori dell'arte contemporanea mi ha più o meno esplicitamente posto la domanda "Cosa c'entrano i libri per bambini con l'arte contemporanea?".
A questo interrogativo, che alle volte ho inteso come provocatorio, ho sempre risposto partendo dalla mia esperienza personale: bambina circondata da montagne di libri, che tuttora faticano ad assumere una precisa collocazione nella casa dei miei genitori, studentessa di filosofia estetica, specializzata in teoria dell'arte contemporanea, per alcuni anni assistente alla direzione di gallerie in Italia e all'estero, addetta al bookshop del museo cittadino, e, non da ultimo, mamma di una bambina di quasi 5 anni, per me l'albo illustrato (e non il libro per bambini, definizione alquanto parziale) è un oggetto artistico tra i più completi. E per di più performativo.
Le immagini, il loro eventuale rapporto con il testo, la struttura grafica del libro, ma soprattutto la dinamicità imprevedibile di una lettura condivisa, il gesto di voltare le pagine, l'oralità come sinonimo di partecipazione, performance, quando non addirittura spettacolo, tutto questo concorre all’artisticità dell’albo. Io credo che il libro illustrato, letto a un pubblico di bambini, che siano entusiasti o annoiati, metta in scena lo sconosciuto che percorre da sempre l'arte, l'insondabile che ci porta a ripensare le nostre convinzioni. Per non parlare poi del legame rabdomantico dell’albo illustrato con il fotolibro, della forza magnetica che unisce i due. Mi dico sempre che uno degli obiettivi del mio lavoro sarà comprendere, negli anni, questa connessione, la cui natura, per quanto innegabile, mi sfugge in continuazione, come se ci fosse sempre qualcos’altro, qualcosa che va oltre l'occhio e che necessita di uno studio attento e protratto nel tempo.
Tra i titoli esposti in libreria, A cosa serve? di José Maria Vieira Mendes e Madalena Matoso (Topipittori, 2021).
Dicevo la fotografia: una libreria, lontano dall'essere una monade, se preferite il linguaggio del filosofo Leibniz, o un'isola, se preferite quello del fotografo Wolfgang Tillmans, cresce grazie alle sue relazioni, al suo web - non necessariamente quello worldwide, anzi - quelle con i suoi clienti, ma anche con i suoi fornitori, ovvero con le case editrici, specialmente quelle illuminate, con una visione, un modus operandi che poco ha a che fare con il guadagno immediato, e molto con un intento culturale, di divulgazione artistica.
Per fortuna ne ho trovate fin dall'inizio del mio percorso come libraia. Non posso raccontare la storia di marmo senza citare bruno, Mack Books, Chose Commune, Quodlibet, Orecchio Acerbo, Corraini, Camelozampa, ovviamente Topipittori (altrimenti non sarei qui a scrivere). Senza dubbio, Osservatorio Fotografico, un'associazione e casa editrice originariamente con sede a Ravenna, la cui comprensione del mondo fotografico è stata per me un imprescindibile punto di riferimento. Attraverso la sua attività ho avuto modo di frequentare da vicino la cultura fotografica del territorio. Una Romagna la cui alfabetizzazione in termini visivi deve molto, moltissimo, a Guido Guidi e alla sua scuola, che non è un luogo fisico - anche se la casa di Guido è meta di pellegrinaggi da tutto il mondo - ma un esercizio attento dello sguardo periferico, praticato da moltissimi, che sottende un’attenta frequentazione della storia dell’arte così come un’acuta osservazione della cultura vernacolare.
Grazie a tutto questo, da marmo potete trovare numerosi titoli fotografici, principalmente fotolibri - non abbiate timore se non sapete di cosa si tratta, spesso non lo sanno nemmeno i critici che li nominano in continuazione, ma chiedetemelo, sarò contenta di procedere per tentativi. Quella sulla fotografia è un’attenzione che si riflette anche nei corsi che organizzo, al momento online. Fotografia, arte contemporanea, albi illustrati sono gli argomenti di partenza per sviluppare delle riflessioni intorno a tematiche a mio parere stringenti. I corsi sono per me fondamentali perché offrono quell’approfondimento critico che la presenza sui social non permette, quel perdurare sui libri, sui concetti e sulla loro contestualizzazione di cui tanta comunicazione contemporanea sembra poter fare a meno.
marmo è tutto questo e molto altro; è anche una minuscola “impresa” individuale che, ad oggi, non sempre è riuscita a raccontarsi nella maniera migliore, snobbata da chi nutre pregiudizi sul mio percorso, considerata a sua volta snob da coloro convinti dell’inutilità del libro, soprattutto se d’arte, erroneamente pensato come dedicato a pochi. Mentirei se omettessi le difficoltà che vive quotidianamente un luogo come marmo; è chiaro che il problema economico - che a sua volta deriva da uno culturale - è sempre in agguato, un’ombra la cui presenza aleggia costantemente e che può da un momento risultare determinante per quella che sarebbe una scelta troppo sofferta, ma è anche vero che ci sono note positive per cui rallegrarsi e gioire: i nuovi clienti, persone entusiaste che si stupiscono di poter trovare in una piccola libreria della loro zona libri che hanno sempre e solo visto in grandi centri culturali. Ci sono i clienti che continuano a tornare, quelli affezionati tanto da aver creato il gruppo dei “marmoholic”, le nuove collaborazioni, con scuole del territorio e con professionisti prima di oggi conosciuti e ammirati solo sui libri, la cui frequentazione per me è motivo di grande onore.
Ad oggi, nonostante tutto, scelgo l’entusiasmo, quello di vedere la contentezza di qualche cliente che desidera sia io a raccontargli il libro; quello del conoscere nuove persone capaci, con la loro professionalità e gentilezza, di far crescere marmo; scelgo di non dare per scontato, anzi di valorizzare, le piccole cose da cui tanto può nascere.
Per ora funziona.
Elena Dolcini in uno scatto all'interno della libreria marmo di Forlì.