[di Davide Schirò]
Illustrazione di Simone Rea da Via buio, togliti! (di Hélène Gaudy e Simone Rea, Topipittori 2016).
La seconda. È sempre la seconda domanda. La prima quasi sempre è “Come si leggono i libri senza parole?” Scrivo quasi perché se la platea è più colta, la domanda sarà “Come si leggono i silent book?”.
La seconda domanda, nei corsi sugli albi illustrati che conduco, invece, è sempre “Quando leggo ad alta voce, poosso cambiare le parole di un libro?”. A volte pronunciata con un po’ di imbarazzo.
La versione sintetica della mia risposta sarebbe: se pensi che il testo non sia adatto… hai scelto il libro sbagliato. Ma, difficilmente sono sintetico, così in genere tiro in ballo l’intera filiera del libro, il rispetto verso chi scrive, la responsabilità, il dialogo parole-immagini… Per poi ammettere che anche io, una volta, ho peccato, nella penombra della cameretta, prima di andare a dormire.
Via buio, togliti! di Hélène Gaudy e Simone Rea è un libro “sulla paura del buio e su come superarla.” Topipittori, inaspettatamente, nel suo blog, lo presenta come un libro a tema, anticipandoci, inoltre, che “la mamma con la sua attenta saggezza”, “troverà il modo per aiutarlo a sconfiggere la paura della notte.” Ottimistico e rassicurante, insomma, almeno così sembrerebbe.
Ebbene, una sera, colto da ansia genitoriale, ho censurato il testo e ancora me ne pento. Oscar, un vitale coniglietto, non ha voglia di rallentare il ritmo indefesso dei suoi giochi per l’avvicinarsi dell'ora della nanna e la madre “che di notte vorrebbe dormire” nonostante l'annunciata “attenta saggezza” cede, sbotta e “grida Ora basta. Oscar scoppia a piangere. Oscar ha paura”.
Dopo due anni, non ho ancora capito se il piccolo coniglio abbia più paura del buio che lo guarda dalla finestra o dell’urlo di mamma, ma quella sera, in quel momento, le grida materne e quell’immagine esplosiva mi sembrarono troppo per mia figlia appena treenne. Passarono pochi giorni o, meglio, poche notti, perché mi rendessi conto dell’accorta saggezza dell’autrice e, insieme, della mia ingenuità e presunzione. Successe che una madre vera, che di notte avrebbe voluto dormire, cedette, sbottò e gridò “Ora basta!” e che una figlia vera scoppiò a piangere. Aveva(no) paura e forse rabbia. Poi, come accade nel libro, si abbracciarono. Solo dopo capii quanto fosse importante, nel libro e nella vita, dare legittimità e valore sia allo scoppiare che al riparare con fili amorevoli. Come avviene nell'albo Urlo di mamma, si può ricucire lo strappo.
Purtroppo la lettura del libro non ha magicamente cancellato le difficoltà nell’addormentamento di mia figlia. Confesso di averci sperato. Dopotutto non amo questo libro per il lieto fine, ma per “Non si può togliere la notte, però ci si possono costruire delle capanne”.
Per attraversare il buio costruiamo capanne di ogni tipo e con i libri a figure, se hanno la giusta “grandezza”, se ne costruiscono di perfette, solide, accoglienti e con un’ottima tappezzeria. Simone Rea offre illustrazioni insieme minuziose e surreali in cui convivono tavole ricche di azioni asincrone che rendono splendidamente la velocità di azione e immaginazione di Oscar e tavole invece così dilatate da fotografare la sospensione e l’intimità di quegli istanti opachi soglia tra la veglia e il sonno. Per altre riflessioni sul libro godetevi gli articoli di Lisa Topi e Giulia Coniglio sul blog di Topipittori.
Per tornare alle domande iniziali, alla seconda Matteo Motolese, linguista, nel controverso articolo C’era una volta gli…afidi, uscito il 23 agosto 2020 sul Domenicale del Sole 24 Ore, ha risposto: “Sento il bisogno di intervenire sulla lingua rendendola più adatta a chi ascolta”. Motolese citava afidi, maniero, serrare e altre parole come esempi di termini, a suo dire, inadatti ai libri per chi “non si sa ancora allacciare le scarpe”.
Non so quale maniero abbia turbato il linguista, ma quale altro termine si potrebbe usare per una dimora da cui un drago, come nei Tre porcellini di David Wiesner, è appena fuoriuscito, in un antico racconto sulle gesta di nobili cavalieri? Casetta?
Per un adeguato e autorevole resoconto del dibattito, rimando al prezioso Libri utili? Tracce di un dibattito sulla letteratura per l’infanzia di Elisa Calabrò, Francesca Cosentino e Susanna Mattiangeli in Scholè - 1/2021, corredato da una ricca bibliografia.
Aggiungo che occorrerebbe sviluppare e diffondere la discussione fra chi si occupa di infanzia e letteratura, se nell’ambizioso lavoro di Batini e Giusti, Tecniche per la lettura ad alta voce. 27 suggerimenti per la fascia 0-6 anni, si può ancora leggere: “il testo può essere annotato, sottolineato e, anche, perché no, modificato. Ovviamente se ci accorgiamo che le modifiche cominciano a essere molte può darsi che abbiamo scelto un testo poco adatto al nostro pubblico, ma in linea di massima è possibile intervenire per cambiare delle parole o dei giri di frase, o, anche effettuando dei tagli." Seguendo il suggerimento di un’insegnante: "… se all’interno della storia c’è qualche termine ostico per loro non glielo leggo e non glielo spiego, lo cambio: uso dei sinonimi" (Minerva 52).
Temo che, seguendo simili indicazioni, l’imbarazzo che citavo all’inizio potrebbe svanire completamente. Infine, io credo che se un testo viene modificato nella penombra della lettura domestica la perdita sia “solo” per le persone grandi e piccole presenti, ma quando questo avviene in una scuola, in una biblioteca, in una libreria… l’intera filiera del libro dovrebbe essere lì ad aspettare fuori dalla porta chi ha letto senza rispetto, per spiegare le proprie ragioni.
Pagine tratte da Via buio, togliti! (di Hélène Gaudy e Simone Rea, Topipittori 2016).