Non è facile dire perché questo libro chetratta dell'esperienza di insegnamento maturata nel corso di Chance, siatanto forte, coinvolgente e sconvolgente: l’esperienza che riporta ela voce che la riporta poco si prestano a semplificazioni, in qualchemodo ne precludono ogni tentazione. La complessità dei problemi,l’esercizio del dubbio, la pratica della critica, il rifiuto disoluzioni facili e di riflessioni consolatorie, sono costantemente inprimo piano. La gravità dei vissuti dei ragazzi coinvolti nel progetto,il degrado dell’ambiente da cui provengono impongono all’autriceun rigoroso e severo rispetto della verità, anche la più scomoda,contro ogni retorica da parte di chi, su opposti versanti, a questoprogetto, anche molto avversato, ha prestato attenzione. E infattinumerosissime sono le riflessioni, a volte impietose, sulle motivazionie sulle modalità di intervento da parte di chi, anche con le miglioriintenzioni, si impegna in questi ambiti. Costantemente, poi, è analizzatol’atteggiamento degli adulti, in particolar modo dei docenti, nelrapporto coi ragazzi, la loro reale capacità di insegnamento, andandoalla radice di quel che questo significa, e di quel che significa unarelazione educativa. Carla Melazzini mette la parola al centro di talerelazione: la parola come strumento fondamentale di ricerca di senso e disignificati. Non solo: al come usare le parole, all’uso che si fa dellinguaggio, vera e propria cartina di tornasole delle reali intenzioni,dei pregiudizi, dei luoghi comuni, degli ideologismi, rivolge una continuaattenzione nel libro, che proprio per questo, oltre che per i contenutididattici, è tanto straordinario.
Con le sue parole, per questa ragione, inauguriamo una rubricaalle parole destinata: speculare e gemella di quella dedicata alleimmagini. Lo facciamo con un brano tratto da un capitolo che ha un titoloemblematico e bellissimo: Dal chiasso alla parola,che prendiamo a prestito per questa rubrica (frasi evidenziate innero a cura della redazione).
The Alphabet fromn9ve on Vimeo.
Dal chiasso alla parola
Raramente cichiediamo quale forma
venga impostaalla realtà quando le
diamo la veste diun racconto.
J. Bruner, La fabbricadelle storie
Alla domanda quale sia la parte più significativa delProgetto «Chance» per i docenti, si potrebbe rispondere che esso offreall'insegnante l'opportunità inestimabile di ripartire dal grado zerodella parola.
È come se,nel momento in cui il ragazzo viene invitato a siglare volontariamente unnuovo patto educativo con persone di cui si fida, una esperienza dolorosadi fallimenti e rifiuti gli fornisse la legittimazione a fondare il pattosu una sfida: la parola non è un diritto acquisito, ma si deveconquistare insieme: alunno e docente.
Per l’alunno è un processo quasiprimario, nel quale la parola viene fatta emergere dal silenzio, dalchiasso, dal gesto che traduce senza mediazioni simboliche emozioniprofonde.
Per ildocente è una riconquista del senso delle parole, perché il ragazzonon è disposto ad accettare parole che siano prive di significato perlui.
Non è facile perun docente accettare di essere zittito, ma se riesce a sostenerlo, siapre un percorso educativo molto ricco per entrambi.
Nel primo anno di Chance il laboratorioartistico e quello linguistico costituiscono i cardini della porta cheapre la via a un percorso di costruzione dell'identità attraversola scoperta di significati.
Nel libro citato all'inizio, Bruner afferma che «creiamoe ricreiamo l’identità mediante la narrativa», che «il séè un prodotto del nostro raccontare», e che «la creazione delsé avviene dall’esterno verso l’interno tanto quanto in sensocontrario».
Unlaboratorio dei linguaggi, verbali e non, deve dunque essere unospazio predisposto con cura e amore perché vi possa avvenire ilpassaggio dal silenzio e dal chiasso alla parola e poi alla narrazionerispecchiata e condivisa che costruisce identità.
Raccogliendo la sfida che i ragazzici lanciano all’inizio, cerchiamo di guidarli a costruire unanarrazione di sé che acquisti grammatica e sintassi senza perdereoriginalità, calore e verità.
The Alphabet 2from n9ve on Vimeo.
La ri-conquista dellestorie per i docenti
Al termine dei primi tre anni siamo riusciti finalmente aparlare delle nostre pratiche didattiche. C’è una soddisfazionegenerale per questa esperienza, e insieme circolava la domanda:«Perché non si è fatto tre anni fa?» Chiediamoci: «Si potevafare tre anni fa?» La risposta è no; si è fatto adesso perchéc’era un’esigenza generale di farlo e il senso di poterlo fare ora,e non senza una grande ansia, che nella fase preparatoria ha rischiatodi paralizzare la situazione.
Perché tutta questa ansia e tutto questo tempo? Ancora unavolta realizziamo quanto siamo simili ai nostri ragazzi e il nostropercorso sia simile al loro, nei tempi e nei modi: solo dopo tre annici siamo sentiti sufficientemente sicuri di avere fatto cose buone,tanto da poter ammettere le nostre debolezze e lacune e da affrontareil il confronto in campo aperto. Confronto con chi? Con noi stessi, contutti gli altri colleghi, con il fantasma della scuola che ci portiamodentro.
Anni fa ci siamodetti che Chance avrebbe scosso e ridefinito la nostra identità diinsegnanti, e non ci immaginavamo quanto: qualcuno ha retto all’urto,qualcuno ha eretto difese, tutti abbiamo continuato a chiederci: «Ma iosto facendo l’insegnante o sto solo aiutando dei ragazzi ad acquistareun minimo di fiducia in sé e nella vita attraverso la relazionepersonale che ho stretto con loro?» Se oggi ci siamo messi al lavoroper migliorare il nostro modo di essere insegnanti è perché ci siamoconvinti che quello che abbiamo fatto è scuola vera.
In questi giorni ci siamo messi a lavorareattorno a dei tavoli che all’inizio erano vuoti; le consegne nonerano chiare e c’era molta ansia; poi sono comparsi dei fogli conriflessioni scritte a mano, una scheda di lavoro, la descrizione diun percorso; via via che la discussione e il confronto si accendevano,uscivano cose sempre nuove, come dal cilindro di un mago, pezzi di temi,fotografie, copioni teatrali, giornali, e tutto veniva buttato sopraun mucchio che diventava sempre più alto. Che succedeva? Scambioe restituzione reciproca, che ci aiutava a capire meglio le stessecose che abbiamo fatto in questi anni con i ragazzi, col loro mondointerno prima di tutto, e con le loro conoscenze.
Siamo stati d’accordo dichiamarla didattica della parola, dove la parola non è un dato, mauna conquista: a partire dal silenzio, dall’urlo, dal gesto, dalchiasso.
Daquel mucchio sopra al tavolo è emerso un repertorio abbastanza vastodi tecniche e strumenti che abbiamo usato per conquistare spazialla parola (che è il percorso caratterizzante il primo livellodi Chance).
Inquesto repertorio di pratiche, nel quale non è possibile scindererelazione personale e didattica, abbiamo identificato dei nucleifondanti. Il primo è quello che abbiamo concordato di chiamare:insegnare significa dare significato alla parola(e a tutte le attività che se ne servono). Se il significato,per essere tale, deve essere condiviso da insegnante e alunno, nederiva il corollario della reciprocità, nella relazione personalecome nella didattica: che significa accogliere i silenzi, i veti,ma anche gli indizi, i suggerimenti, gli orientamenti da parte deglialunni, pena la perdita appunto, della significanza.
Un’acquisizione importante di questegiornate di lavoro è stata scoprire, attraverso l’analisi e ilconfronto dei materiali e delle esperienze, quanta reciprocità cisia anche in quel nucleo centrale della didattica della parola cheè la pratica della restituzione: non solo noi restituiamo ai ragazzile loro voci, immagini, emozioni, traducendole in parole strutturate,ma loro ci restituiscono continuamente, arricchendoli, i significatidelle esperienze che facciamo insieme. Per questo, il lavoro diricordo e inventario che abbiamo appena iniziato a fare è doverosonon solo per noi, ma innanzitutto per non perdere la ricchezza diquesta restituzione, che in definitiva è ciò che ci ha convinto diessere insegnanti veri.