Il lato selvaggio delle parole

Il lato selvaggio delle parole è un progetto di lettura a cura di Elena Turetti e Marco Milzani, rivolto alle classi della primaria, voluto  da Solco Camunia e realizzato con la cooperative sociali: Arcobaleno, Azzurra, La Casa del Fanciullo, Il Cardo, Il Leggio e la Pia Fondazione di Valle Camonica e Il Sistema delle Biblioteche di Valle Camonica. Le educatrici che hanno lavorato in classe sono state:  Elena Turetti, Jessica Bendotti, Sonia Ducoli, Elisa Lorenzetti, Marzia Speziari, Luana Tomasi; a fianco delle insegnanti: Ornella Boldini, Roberta De Monte, Andreana Guaini, Monica Poetini, Paola Scarduelli. Gli Istituti coinvolti nel progetto sono stati: l'Istituto Comprensivo Pietro da Cemmo di Capo di Ponte, l'Istituto Comprensivo di Cedegolo, l'Istituto Comprensivo di Edolo, l'Istituto Comprensivo di Darfo 2. Il lato selvaggio delle parole è ora un percorso educativo riproducibile e una mostra. Il progetto è stato realizzato grazie al contributo di Fondazione della Comunità Bresciana e della Comunità Montana di Valle Camonica.

[di Elena Turetti]

Il lato selvaggio delle parole prende il via da una necessità chiara: assecondare il bisogno, muovere l'intenzione, sostenere l'aspirazione dei bambini e delle bambine a raccontare una storia, la loro storia. Loro quando è germogliata nelle loro vite quotidiane, loro quando si sentono di dover dire qualcosa a ogni costo, loro quando, specchiandosi in un testo, ne prendono in prestito per un po' le movenze e le parole, loro quando ascoltando una storia d'altri sanno che li riguarda.

Siamo nuvole e spesso abbiamo sete;

molte volte ci trasformiamo in animali per difenderci

da chi pensa che siamo sprezzanti e oltraggiose.

Il nostro cuore è pacatissimo.


(poesia per cinque parole scelte da Sofia B. da Siamo nuvole di Livia Chandra Candiani)

Esiste una zona franca che sta tra i bambini e le parole: si manifesta chiaramente nell'età della conquista delle prime parole e poco dopo, quando improvvisamente i segni tipografici stampati sulle pagine dei libri non si limitano ad occuparle più o meno ordinatamente, ma divengono per loro treni intellegibili. È un abbrivio, un momento magico, è una conquista a tratti esaltante: da lì in poi, tutto cambia. S'invera un patto infrangibile tra parola e bambino. Se ne possono dire due, poi tre, poi quattro, poi cento, poi mille, ne potrà usare quante ne vuole e quando vuole e ne potrà leggere e fare sue tante altre.

Si tratta di lasciare spazio a questa relazione e di pensare strumenti educativi idonei affinché questa relazione non venga rotta o diventi malcerta, ma anzi abbia modo di crescere e consolidarsi. Come?

Abbiamo lavorato in classe, in cinque diverse classi e scuole della Valle Camonica, con circa cento bambini, su un tempo lungo, a settimane alterne, dall'autunno alla primavera 2018, a fianco delle insegnanti di lingua. Abbiamo adottato un tema e un orizzonte di sperimentazione valido per tutti, il cielo, e declinato per ciascuna classe un sottotema: la notte, l'aria, le galassie, il blu, le nuvole; immaginato un percorso cadenzato di incontri per ciascun gruppo classe, immancabilmente ricalibrato, di volta in volta, in risposta a quanto stava succedendo in classe, con e tra i bambini; constatato che la parola sta con e tra i bambini, tra noi e loro e tra di loro e quindi cercato dapprima e costruito passo dopo passo un terreno comune di lavoro. La parola che cerca un significato non può stare in cattedra, non può darsi in forma di istruzione o di regola, ma piuttosto in forma di apparizione, di dubbio, di orizzonte, di carezza, di suono.

Cosa vi viene in mente se dico aria? O nuvola? O galassia? O  blu? O notte?

«La notte è buio, è paura, è silenzio, è solitudine, è stelle, è luna, è sogno, è sonno, è casa, è camera mia, è la notte di Natale, di San Lorenzo, di fine scuola, la notte del Cairo, la notte dell'Adamello, è l'imbrunire, l'alba ma anche il tramonto, l'una e l'altro,  è il lampione, è il rumore sotto la finestra, è fuori, è la finestra illuminata.» (Classe quarta di Angone)

E se provassimo a rompere questo buio, letteralmente graffiando questo nero d'inchiostro o raspando questo nero di plastilina? Forse potremmo finalmente avere la nostra notte stellata, come se quella luce venuta da chissà dove alla velocità della luce arrivasse qui e ora sopra le nostre teste.

E se la notte stellata, è lassù, lontana e immensa, perché allora il buio mi avvolge, quasi mi tocca, come fosse denso, e mi mette paura? Abbiamo trovato un modo per tenere la paura dentro a una scatola, magica, ciascuno la propria, confezionata con cura, che apriamo solo quando siam pronti a dire: «Secondo me la paura è una sensazione che mi fa stare male e bisogna sconfiggerla ad esempio facendo qualcosa che ti fa stare bene oppure sapendo che la cosa che ti fa paura non può accadere o esistere. Quando la cosa che ti spaventa non esiste, non ci devi pensare e la puoi ignorare, oppure se esiste, quando si fa vedere chiedi aiuto agli altri e dopo che è passata ed è finita la racconti a qualcuno.» E chiudiamo, quando non è il momento di dire. Quando serve aspettare, pensarci un po' su, ascoltare cosa dice Andrea, cambiare aria alle idee e poi tornare. E aprire la scatola e dire.

Per sprofondare nella nostra paura, abbiamo chiesto aiuto e gambe e testa agli albi illustrati. Abbiamo imparato a raccontare e raccontarci la paura e persino talvolta a salutarla cordialmente, da molte storie, tra le altre:  La bambina e il gatto di Ingrid Bachér e Rotraut Susanne Berner e Storie della notte di Kitty Crowther (Topipittori);  La tigre sotto il letto di Andrea Bajani e Mara Cerri (Orecchio Acerbo); Il buio di Lemony Snicket e John Klassen (Salani), La principessa del sole di David Grossman (Mondadori).

Gli albi illustrati sono marchingegni in cui parole e figure tessono trappole per teste e occhi in attesa, si avanza piano, si corre, si rallenta, si precipita verso la fine inseguendo le parole, si immagina la fine guardando con la coda dell'occhio la figura a seguire e talvolta si torna indietro. Di certo non si dorme. Gli albi illustrati rendono le storie degli spazi in cui stare, fermarsi per poi decidere di uscire, poi fermarsi ancora, capire cosa è successo o rimanere inebetiti. Ci si può stare molto comodi, come fosse una storia ascoltata mille volte, ma poi si alza un pelo l'orizzonte o si inverte il senso di marcia e tutto cambia.  Ora questi albi suonano ai bambini di Angone come porzioni di casa, di cui si fidano e dove potranno tornare quando vogliono.

E il blu cosa è? Il blu è il blu! Yves Klein potrebbe essere d'accordo con te, Enea. Ma se partissimo dal pigmento, dalla polvere di cobalto, cosa è? Ma il mio blu è uguale al tuo blu? E quando guardiamo il cielo l'uno accanto all'altro vediamo lo stesso cielo? E cosa succede quando guardo il cielo?

«Dentro di me vedo delle montagne enormi e ogni giorno provo a scalarle ma non ci riesco. Quando guardo il cielo però riesco a scalarle, ma solo se il cielo è sereno e mi incoraggia. Se piove invece, mi sento come se cadessero delle rocce. Loro mi tormentano e mi causano guai. Quando guardo il cielo nuvoloso mi sembra di vedere un piccolo villaggio vuoto! Il villaggio è inquietante, pieno di ragnatele e l’erba nei vasi è secca. La strada è desolata e crepata, le macchine spente, vuote e con i sedili strappati. Quando il cielo è sereno però riesco a scalare quelle enormi montagne più alte di 10.000 metri!  Là in alto, sulla vetta, il paesaggio è magnifico, pieno di fiori rossi (papaveri), l'erba è verdissima e quando la vedo sono felicissimo.»

Abbiamo guardato il cielo stando fuori pancia all'aria o con gli occhi appoggiati all'orizzonte e poi abbiamo incontrato Dentro me di Kitty Crowther e Alex Couseaux. Lì tra quelle pagine io sono autorizzato a non riconoscere subito le mie paure e a usare le parole come ponti tra dentro e fuori. C'è scritto: In quel momento ho scoperto il segreto. Una nuvola, nella testa dell'orco c'era una nuvola. La nuvola se ne è andata e, all'improvviso, ha cominciato a piovere. Dentro me è apparso un arcobaleno. Poi parole di tutti i colori. Avevo voglia di riposarmi. Dentro me sono io che decido. Abbiamo imparato a guardarlo insieme, il cielo, a sentirlo più grande di noi e oltre noi.

E l'aria? Non ha colore né forma e non si capisce bene di cosa sia fatta. Si muove, ma la vedo solo quando incontra un albero, il bucato steso, una vela, un cappello, le pagine di un libro. Se la guardo da quaggiù mi sembra altissima, mentre  il mondo visto da quassù mi sembra piccolissimo. Allora come posso farla mia? Forse semplicemente fabbricandomi un paio d'ali. In una settimana di lavoro (in officina, in cucina, in cortile, in cantina) con i materiali trovati qui e lì e gli strumenti di casa ci siamo fabbricati le nostre ali, ciascuno le proprie: ali meccaniche, ali dipinte, ali candide, ali rosse fiammanti, ali minuscole e ali così grandi che non passavano dalla porta dell'aula, ali luccicanti e ali impalpabili. Ciascuno di noi ha poi spiccato il volo, in un istante esatto, immaginato, vissuto come fosse vero, e via, su, lontano, da soli.

«Ieri ero sul terrazzo, ero annoiato e non sapevo che cosa fare. Ad un certo punto arrivò una folata di vento e fece volare un foglio di carta.  "Idea!" esclamai "potrei volare!" Andai in una stanza segreta perché mi sembrava di avere lasciato un paio di ali che avevo costruito da piccolo. Infatti le trovai. Per sicurezza avevo fatto dei test con una cosa più pesante di me; gli esperimenti che avevo fatto erano andati bene, le ali funzionavano veramente. Avevano la forma di ali di aereo ed erano fatte per planare come le aquile, sfruttando le correnti d'aria. La struttura era in legno con un telo bianco per mimetizzarsi con le nuvole. Dopo averle finite, con grande stupore le indossai. Scoprii che funzionavano a meraviglia e incominciai ad andare sempre più su. Salii sempre più in alto, a un certo punto planai su un jet, che mi trasportò in cima all'Everest. Salutai il pilota dell'aereo e mi buttai. Per un po' scesi la parete Nord; risalii e incontrai la sagoma di due alpinisti che si trovavano in cima alla montagna, li salutai e scoprii che erano mio zio con mio cugino. Quindi scesi da loro e insieme ammirammo tutta l'Asia dall'alto.»

Francesco è volato lontano, un volo veloce, potente. È andato così lontano da non riconoscere più il posto in cui stava, ma poi ha cercato, voluto e trovato due sagome amiche, con cui condividere quel momento. Tornato a casa, ha lasciato senza parole la mamma, ha riposto le sue ali sotto il letto e si è addormentato.

Cercatori di nuvole. In una sola mattina lungo la strada che porta dal paese ai campi abbiamo trovato nuvole di fumo, nuvole di mattoni, nuvole di sale, nuvole di olio, nuvole di buchi, nuvole di rami, nuvole di erbe, nuvole di lana, nuvole di pecore, nuvole di terra, nuvole di gesso, nuvole di letame, nuvole di asfalto, nuvole di legno, nuvole di tufo, nuvole di vernice, nuvole di muschio.

Chiara, com'è la tua nuvola di lana? «È morbida, è ricciola, è impigliata, è calda, è bianca, è nera.» Dove va? «Spinta dal vento sopra la neve, aspetta.»

Alessandro, la tua nuvola di fumo com'è? «È leggera, impalpabile, grigia, in movimento.» Dove va? «Esce dal camino e cade.»

E così, senza fatica alcuna, è nata una storia: prima vissuta e poi narrata, prima fabbricata con le mani e poi tradotta in scoperta e quindi narrata. Abbiamo costruito disegni di spago, di fili di ferro, di frammenti di carta, disegnato con un soffio e con l'acqua,  perchè le nuvole cambiamo sempre, si muovono, in un continuo divenire, diventano di tanti neri, di tanti grigi, di tanti bianchi, scompaiono, si avvicinano, si allontanano. Abbiamo scoperto che le nuvole sanno fare la pioggia, trasformarsi in cocomeri, diventare nere, nascondere il sole, fare la grandine, scurire il cielo, correre, diventare nere o grigie, sparire, scatenare temporali, nascondere le cime, ricoprire di neve le montagne, scendere sulla terra, volare. Come è possibile disegnare qualcosa che cambia continuamente, cambia forma, colore, consistenza? Forse posso fare un disegno che cambia! E  se posso fare un disegno che dice esattamente quel che penso, allora posso fare una parola che dice esattamente quel che penso? Sì, Emma!

Le galassie ci hanno messo a dura prova, perché non è stato facile misurare l'infinito, non è stato facile immaginare un luogo inarrivabile, che addirittura continua ad allontanarsi da noi. Abbiamo chiesto aiuto a grandi visionari come Galileo, abbiamo chiesto numi a chi ci è stato, come Samantha Cristoforetti, e rincorso la lungimiranza di Margherita Hack. Ma la soluzione la dobbiamo all'archeologia: trovandoci tra le mani il frammento di un pianeta sconosciuto, abbiamo potuto immaginarci il pianeta per intero.

«Il pianeta è quadrato, ha sei lati che lo fa sembrare un cubo. Si chiama Cosimo. Nel pianeta di Cosimo c'è un'immensa piscina, quest'acqua nasce dal fiume Ergy e scorre nel fiume Laki, che attraversa tutto il paese. È davvero un bel pianeta, ricco di piante verdi simili a delle palme. Da queste piante si raccolgono frutti dolci e succosi che servono al mantenimento dei suoi abitanti. Le donne con questi frutti producono deliziose marmellate che sono l'ingrediente principale di tutti i piatti. Su Cosimo ci sono tante forme di vita. Sia umane che animali. Gli umani hanno le sembianze di noi terrestri, svolgono molte attività ma la principale è l'allevamento, allevano animali che hanno un aspetto molto strano: hanno tutti sei zampe e tre occhi al centro della testa.  Nel pianeta di Cosimo è davvero bello vivere, non ci sono guerre, nessuno litiga e tutti si vogliono bene. Nessuno litiga perché Cosimo è un pianeta molto lontano da tutti gli altri pianeti, anzi è quasi invisibile. Sapete perché gli animali hanno sei zampe? Perché così corrono più veloci per scappare dagli animali feroci e hanno tre occhi per vedere meglio e più lontano.»

Abbiamo trascorso un anno bellissimo,  in compagnia di molti autori e illustratori, un anno di prove e di riprove, in classe, con i bambini, con le insegnanti, nelle scuole primarie della Valle Camonica.  Il lato selvaggio delle parole è diventato un percorso educativo, oggi replicabile in altri contesti, e una mostra. Una mostra composta da un grande libro di stoffa che reca le storie scritte dai bambini e da parole diventate cose poiché stampate su grandi aste di legno, tante aste quanti sono stati gli incipit che hanno mosso l'intenzione dei bambini di raccontare e raccontarsi, tante aste quante sono state le domande nate durante questo lungo percorso.

Perché raccontiamo storie? Cosa muove un bambino a raccontare una storia? Come portare un bambino dentro una storia universale? Come portare una storia dentro la vita quotidiana di un bambino? Da storia nasce storia? Come nasce una storia? Può una sola parola dare vita ad una storia? Come cerchiamo le parole giuste? Nasce prima la storia o la figura? Sappiamo davvero ascoltare le storie? Che spazio c'è tra figura e parola? Abbiamo forse toccato con mano come raccontare una storia possa diventare per un bambino al contempo uno spericolato canale di espressione e un strumento fidato di costruzione di sé.