Il mormorio degli oggetti intorno a noi

Oggi, ecco la terza novità di questa primavera in arrivo. È appena uscita in libreria: Il segreto delle cose di María José Ferrada con le illustrazioni di Gaia Stella. Lo ha tradotto Marta Rota Núñez senza la quale questo libro, come lo vedete oggi, non ci sarebbe, perché è stata lei a farcelo conoscere e a proporci la sua traduzione in italiano. Potevamo farcelo sfuggire? Oggi è attraverso le sue parole che ve lo presentiamo. Grazie, Marta, grazie María José Ferrada e grazie Gaia Stella per questo libro che va ad aggiungersi alla nostra collana dedicata alla poesia, Parola magica.

E poi ci sono le matite dei poeti, che scrivono, 
sospirano, cancellano e scrivono di nuovo.
Scrivono, sospirano, cancellano e scrivono di nuovo.

María José Ferrada, Il segreto delle cose

[di Marta Rota Núñez]

Se María José Ferrada non stesse parlando delle matite dei poeti, i suoi versi potrebbero benissimo riferirsi a quelle dei loro traduttori. Ho sempre pensato che la poesia fosse una delle sfide più ardue per chi traduce. Il testo poetico si nutre della sonorità della lingua in cui nasce, del suo ritmo naturale, della sua plasticità; ogni parola scelta ha un peso specifico, quasi una consistenza tattile, ed è strettamente vincolata all’immaginario della cultura di cui è figlia. Tutto questo non può che provocare nel traduttore un forte senso d’inadeguatezza, molte esitazioni, e altrettanti sospiri.

Durante la traduzione del Segreto delle cose, mi è capitato di esprimere questo mio timore all’autrice del libro, e María José Ferrada ha fatto un’osservazione molto bella e generosa al riguardo: ha descritto la traduzione come un “atto di fiducia” e ha aggiunto che, in realtà, quando un libro viene alla luce smette di essere dell’autore e diventa di chi lo legge, traduttore compreso. Per lei, tradurre un testo, proprio come illustrarlo, significa guardarlo con occhi diversi e porgli nuove domande. Ed è da quella personale lettura che la poesia si apre a una nuova vita, per esempio attraverso le immagini, oppure attraverso le parole di un’altra lingua.

Qualche mese fa, quando Giovanna Zoboli mi ha mandato la versione definitiva del Segreto delle cose, le parole di María José Ferrada mi sono subito tornate in mente e ho pensato che sì, aveva proprio ragione lei. Perché in quelle pagine non c’era più una sola storia, ma tante: c’era la storia che l’autrice aveva scritto per Lía, la bambina a cui è dedicato il libro e a cui queste poesie dovevano raccontare che il mondo è un posto accogliente e gentile, e che anche gli oggetti della casa sono lì per accompagnarci nel nostro viaggio; c’era la storia che avevo raccontato io, costruendo mattone su mattone quel ponte dallo spagnolo all’italiano; c’era la storia che raccontavano le illustrazioni di Gaia Stella, con i loro colori, la loro brillante nitidezza, il loro debordare dalla pagina per invadere il nostro mondo; c’era la storia raccontata dai Topipittori, una storia di cura, delicatezza, entusiasmo e parole magiche; e infine, c’erano le molteplici storie ancora da raccontare, quelle che sarebbero nate non appena ogni lettore e ogni lettrice, sfogliando il libro e tendendo bene l’orecchio, fossero riusciti a sentire il mormorio degli oggetti intorno a loro.

Ripensandoci, probabilmente è stata proprio la sua generosa apertura verso il lettore a farmi innamorare a prima vista di questa raccolta, tanto da portarmi prima a cimentarmi nella sua traduzione e poi a proporla a Topipittori. Le poesie di María José Ferrada sembrano tenderci la mano in un invito ad avvicinarci; non sono chiuse in uno scrigno inviolabile, ma aperte, sconfinate come l’oceano che lambisce la sua terra natale, il Cile. Proprio come quell’oceano, trasportano conchiglie che ci sussurrano segreti in una lingua sconosciuta, e tuttavia stranamente familiare: la lingua delle cose. Già, perché anche se a volte siamo troppo impegnati per riuscire a sentirli, gli oggetti della casa ci parlano: borbottano inquieti, sospirano e sbuffano, ci bisbigliano i loro sogni e desideri. La loro lingua somiglia a un fruscio incomprensibile, ma se chiudiamo gli occhi e ascoltiamo col cuore, possiamo avvertirla lungo i corridoi e in ogni stanza della casa.

Il segreto delle cose ci aiuta ad ascoltare con più attenzione, e attraverso le sue ventiquattro brevi poesie ci rende partecipi dei discorsi degli oggetti e ci svela la loro vera natura. Così, in un intreccio di metafore tanto sorprendenti quanto efficaci, la tazza diventa una piscina, il comodino un cespuglio, la macchina fotografica uno studio di pittura e la stufa un contenitore di raggi di sole. L’autrice ci invita a guardare ciò che ci circonda con occhi diversi, regalando al lettore un attimo di immensa dolcezza e strappandogli sempre un sorriso.

Il segreto delle cose è un libro delicato, genuino, fresco. Un libro da divorare tutto d’un fiato oppure da sfogliare con calma, per assaporare ogni parola e illustrazione; o ancora, da leggere ad alta voce ai propri figli nel silenzio della sera, quando è più facile ascoltare la voce delle cose. È un libro aperto, naturalmente, perché lascia al lettore la libertà di continuare a dipingere – con le matite, con le parole, o anche solo con la fantasia – un paesaggio che viene soltanto abbozzato dall’autrice. Ed è un libro fatto di suoni, d’immagini e d’intrecci: un libro di poesie. Proprio quelle poesie che fanno paura al traduttore e, spesso, anche all’editore e al lettore. Quindi è un libro coraggioso. È un libro che ci dimostra che non è affatto vero che la poesia sia difficile o inadatta ai bambini, anzi.

María José Ferrada si è avvicinata alla poesia da piccolissima, grazie alle letture ad alta voce di suo padre. Ha iniziato a scrivere poesie – che lei ama definire, con le parole del poeta cileno Floridor Pérez, non per bambini, ma che possono leggere anche i bambini – quando aveva quindici anni, dedicandole al fratellino appena nato, e da allora non ha mai smesso di affidarsi a questo mezzo per raccontare il mondo ai più piccoli. Ritiene che la poesia viva sempre in uno spazio sospeso tra il detto e il non detto, e che proprio per questo abbia bisogno di un lettore attivo, disposto a completare con la sua esperienza lo spazio che c’è tra il testo e il silenzio che lascia sul foglio. E quale lettore è più attivo di un bambino, con la sua voglia di sperimentare, la sua curiosità, la sua immaginazione?

Per questo, María José Ferrada ci invita a leggerle, le poesie. A leggerle per noi e a leggerle ai bambini. A voce alta o in un sussurro, ricreando il brontolio del divano, il gracchiare della radio, il morbido flop flop dei petali degli ombrelli. A lasciarci avvolgere in quell’abbraccio, senza paura che non venga compreso. Perché, per lei, la poesia non deve spiegare nulla, né tantomeno essere capita, ma solo portare a una diversa comprensione del mondo, con le sue bellezze e i suoi dolori. Per quanto mi riguarda, la sua lo fa in modo magistrale.