Gaia Giani, fotografa e regista, per alcuni anni ha lavorato sul tema delle scuole. Qui di seguito trovate alcune sue riflessioni in merito. Gaia Giani sarà a Milano, il 19 febbraio, ore 19,45, al Cinema Wanted, via Vannucci 13, Milano, con la proiezione del suo film La zona oscura. L’età bambina. Per l'occasione saranno esposte alcune foto dalla serie fotografica Io vedo la luna. Seguirà un incontro con Giovanna Zoboli, Francesco Cappa (ricercatore in pedagogia), Martino Negri (ricercatore in didattica della letteratura per l’infanzia). Si parlerà di infanzia come “categoria di pensiero” e scuola come luogo di formazione.
[di Gaia Giani]
Io vedo la luna è una serie fotografica diventata poi in parte una piccola mostra pensata per lo spazio espositivo del cinema Beltrade, dove già avevo presentato il documentario La zona oscura – L’età bambina, un lavoro sull’infanzia e la scuola come luogo di formazione e, al tempo stesso, il racconto in prima persona della ricerca di una scuola ideale.
Nel dare forma a Io vedo la luna ho realizzato che il lavoro si poneva come capitolo conclusivo di questa ricerca: la scuola ideale per mio figlio non l’ho trovata - e forse non esiste - ma ho fatto un passo indietro, sospeso il giudizio e messo il mio ego di madre tra parentesi. Mi fermo sulla soglia e mio figlio non chiede più di essere accompagnato in classe.
Lavoro sul tema della scuola dal 2012: nel 2013 ho realizzato un libricino fotografico dal titolo Io sono stato qui. Il progetto si concentrava su una piccola scuola Montessori di Milano che a breve si sarebbe trasferita in una sede più idonea dopo quaranta anni dalla sua fondazione. I primi scatti di Io vedo la luna invece li ho realizzati nel 2014 quando ho iniziato a entrare nelle scuole primarie pubbliche. Inizialmente le foto sono state archiviate sotto il nome di metafisica scolastica e metafisica della lavagna. Le lavagne erano la testimonianza di un mondo sospeso e immutabile, un affondo del passato, mentre le scritte rappresentavano l’aggancio con il presente, qualcosa di passaggio in attesa di essere letto per un’ultima volta e cancellato.
Probabilmente quando ho iniziato a fotografare le scritte e i disegni in gessetto, inconsciamente avevo in mente la serie Blackboards di Cy Twombly. Le prime lavagne che ho fotografato sono quelle di un koala, di un cacatua, di un canguro e di un cigno nero; solo poi sono arrivati i segni grafici e le parole.
Il fascino delle lavagne e degli spazi scolastici ha determinato in me delle scelte che non sempre si sono rivelate ideali per l’educazione di mio figlio. Ho escluso la scuola sotto casa, perché durante l’open day la vice direttrice ci aveva fatto notare che tutte le aule erano dotate di L.I.M. e che la obsoleta e polverosa lavagna di ardesia era stata eliminata.
Una foto che non è inclusa nella serie della mostra, ma a cui sono molto affezionata e che ritengo rappresentativa della situazione scolastica in Italia, è quella di un dinosauro in un androne di una scala di mussoliniana memoria. Da una settimana all’altra il dinosauro era stato tolto: la nuova dirigente in carica riteneva che non rispettasse le norme di sicurezza. Fu interrotto anche il progetto all’associazione con cui stavo collaborando e fummo costretti a portarlo a termine fuori dalla struttura scolastica.
Molti sono gli scatti realizzati in quella bellissima scuola di via Paravia, un istituto che dal punto di vista architettonico racconta la memoria del passato e sotto quello sociale rappresenta il presente: è considerata una scuola ghetto, costantemente sotto minaccia di chiusura per le sue due sole sezioni funzionanti, e perlo più frequentata dal 97% di figli di migranti. Appena potevo entravo nelle aule per osservare come erano state lasciate le sedie, e cosa aveva scritto l’insegnante; c’era sempre un’armonica corrispondenza e qualcosa che mi sorprendeva.
Ho sempre avuto interesse nei confronti degli spazi scolastici. La prima volta a cui ho pensato a un progetto sulla scuola è stato a Londra. Abitavo vicino a una delle migliori scuole primarie pubbliche di Londra, la Sudbourne Primary School di Brixton, un quartiere prevalentemente nero. Molte famiglie benestanti si erano trasferite nella zona per far frequentare ai loro figli quell’istituto che rientrava ogni anno nella classifica dell’Ofsted, dando inizio alla riqualificazione, o gentrification, del quartiere.
Ispirata da quella scuola, ho iniziato a riflettere sul tema. Mi sarebbe piaciuto fare un progetto sugli edifici scolastici in Europa.
Ho incominciato così a fotografare le architetture scolastiche: scale, corridoi, finestre ampie con disegni che raccontavano le stagioni. Da lì è cominciata la mia catalogazione sotto il nome di metafisica scolastica; qualcosa di indiscutibile e immutabile che lega passato e presente con i suoi enunciati verbali e spaziali sospesi in un eterno ritorno dei luoghi e dei gesti.
Una selezione di Io vedo la luna è in vendita da Micamera Stelline (Corso Magenta 61, Milano) oppure online contattando Giulia Zorzi.