Jole e la strada di casa

La quarta novità che vi presentiamo per questo autunno, è Jole di Silvia Vecchini, con le illustrazioni di Arianna Vairo, per la collana L'età d'oro. Buona lettura.

[di Silvia Vecchini]

«Necessaria è una cosa sola: solitudine, grande solitudine interiore. Volgere lo sguardo dentro sé e per ore non incontrare nessuno: questo bisogna saper ottenere. Essere soli come eravamo soli da bambini, quando gli adulti andavano e venivano...»

[R. M. Rilke]

Rileggendo Jole adesso, trovo tante cose.

Prima di tutto una domanda che devo essermi fatta sull'autonomia dei bambini e delle bambine. L'ho capito guardando questa primavera un paio di episodi di Old Enough!, una serie giapponese, uno show che spopola da  trent'anni e che recentemente è arrivato su Netflix facendo molto discutere. Bambini piccolissimi impegnati in escursioni fuori casa. I bambini, che si muovono nello spazio cercando di portare a termine una missione (fare la spesa, andare da un vicino...), sono seguiti da telecamere che registrano le loro esitazioni ma anche le soluzioni geniali, la loro competenza, il coraggio, la capacità di cavarsela da soli.

Al di là delle critiche scandalizzate e degli apprezzamenti entusiastici che dovrebbero in ogni caso tener conto della cultura e del contesto, non si può non pensare a quanto l'autonomia dei bambini e delle bambine nel nostro Paese sia spesso molto limitata, a quante poche occasioni abbiano per sperimentarsi nell'ambiente circostante senza la presenza dell'adulto.

Così ho anche ricordato la profonda impressione che mi aveva lasciato il bellissimo documentario del 2013 Vado a scuola (Sur le chemin de l'école). Diretto da Pascal Plisson, raccontava le sfide, le traversie, i pericoli, le conquiste e le scoperte che ogni giorno quattro bambini in diverse parti del mondo, affrontano per raggiungere scuole lontane.

In quelle avventure, oltre al tema del diritto all'istruzione, delle condizioni difficilissime di tante infanzie nel mondo, delle riflessioni che scaturivano dalla visione, avvertivo come un discorso sotterraneo che parlava della forza, della bellezza e del mistero che attraversavano quei protagonisti mentre loro attraversavano lo spazio pericoloso, enorme rispetto a loro, ostile. Molto più banalmente, per scrivere questa storia, ho preso spunto dal fatto che quando ero bambina, a volte mi capitava di dover andare a scuola a piedi perché la scuola era molto vicina e i miei genitori uscivano di casa prima di me. Sapevano che potevo farlo senza problemi.

La missione di Jole è invece tornare a casa da scuola senza sorveglianza di un adulto. Una cosa proibita, legalmente impossibile in Italia ma, nella mia storia, consentita per un'eccezionalità e grazie a un lasciapassare. È proprio con questo lasciapassare che la vicenda di Jole scivola in un territorio magico.

Sapevo che questa bambina voleva mostrarmi qualcosa e ho desiderato seguirla con decisione. Non potevo però farle troppe domande perché anche lei aveva il suo daffare a trovare una strada. Così siamo partite insieme. Mentre procedevamo ho capito meglio ma solo adesso lo vedo chiaramente. Infatti dentro alla storia di Jole si nasconde una piccola fiaba. Jole è un po' Cappuccetto.

C'è una strada da fare, c'è (e non c'è) una nonna, c'è (quasi) un lupo. Come in tutte le fiabe c'è un viaggio, un obbligo infranto, prove, aiutanti, un oggetto magico come gli stivali, un compito difficile, una trasfigurazione, un ritorno. C'è più di un antagonista anche se sotto spoglie molto particolari. C'è più di una sciagura da evitare.

Ma le cose si confondono perché Jole è una bambina che sta crescendo e tra poco lascerà la fiaba e dovrà entrare nella realtà magari portando con sé tutti i doni dell'infanzia e delle fiabe.

Proprio qualche giorno fa, parlando con un'amica preziosa, abbiamo commentato insieme un articolo che parlava di quella che qualcuno chiama la crisi dei nove anni. La sua bambina, una creatura praticamente celeste, si trova proprio nel mezzo di questo grande cambiamento che riguarda la coscienza dei bambini che a un tratto si affolla di domande esistenziali in modo del tutto inedito. In questa fase i bambini sperimentano la prima esperienza di solitudine. Non percepiscono più se stessi come parte integrante del mondo che li circonda, un mondo buono al quale la propria interiorità è profondamente e naturalmente connessa. Iniziano a differenziarsi, sperimentarsi come un'individualità, percepiscono il proprio corpo e il mondo come nuovo e da esplorare ma si sentono un po' stranieri proprio per aver perso quella fusione originaria. Come Jole che percorrendo la strada che fa tutti i giorni non la riconosce più, si perde.

La bambina della mia amica, in questo momento si perde nelle sue domande, non riconosce più se stessa e quello che ha accanto perché il mondo, preso sempre nella sua interezza e bontà, inizia a rivelarsi un poco alla volta come terreno, finito, limitato. E per questo fioriscono in lei domande sulla fine.

Già in Una frescura al centro del petto. L'albo illustrato nella crescita e nella vita interiore dei bambini (Topipittori, 2019) avevo riportato questo pensiero di Pina Tromellini: «I dilemmi della morte e della creazione, dell’esistenza di un mondo che non si vede, ma del quale abbiamo bisogno, sono comuni a tutti, e nel bambino assumono le connotazioni tipiche dell’età. Il bambino intuisce, se vogliamo in modo non razionale, la sua finitezza e percepisce che, anche se è protetto e custodito, di fronte a lui c’è un limite. Incontra la sofferenza, la perdita e Dio, percorrendo la strada di chi cerca di uscire da se stesso per trovare le risposte. I bambini di qualsiasi latitudine e cultura affrontano queste problematiche come normali esigenza di crescita, fisica, intellettuale, interiore.»

Ecco qui, la strada che percorre Jole è la strada di tutti i giorni ma dentro di sé questa strada si sdoppia, ne incrocia una molto misteriosa, quella che fanno i suoi pensieri che si allontanano dal centro. Jole sta cercando di uscire da se stessa per trovare le risposte.

È così che sprofonda in un mondo sotterraneo come accedeva nella mia fiaba preferita, quella dove una ragazza perde il pezzo di sapone con cui sta lavando il bucato e scende a recuperarlo scoprendo un mondo sommerso, liquido, fluttuante dove fa incontri inaspettati.

Come lei, anche Jole scende sott'acqua a cercare le chiavi che ha smarrito e trova tante altre cose. Un omino fosforescente che l'aiuta ad attraversare, a compiere un passaggio e che le parla con le parole di Rilke. Tre animali, messaggeri di tre regni, tre altezze e profondità: Talpa, Pesce/Uccello, Cane. Il mondo si fa più complesso, nascosto, intrecciato.

E alla voce di Jole si intreccia quella della nonna, anche lei in viaggio, anche lei un po' persa e impegnata a ritrovare la strada di casa. La nonna di Jole infatti è in ospedale, dorme e deve risvegliarsi. Per tutto il tempo che Jole cammina per tornare a casa, la nonna cammina verso il risveglio. Jole e sua nonna procedono insieme, dentro un'atmosfera che cambia in continuazione, come in sogno, come quando si perde l'orientamento ma non ci si può fermare. L'una è legata all'altra. Quando Jole dispera di tornare a casa, l'aiuto viene proprio da un piccolo segreto condiviso con la nonna. E chissà che la nonna non ritrovi la strada grazie a Jole che, infilandosi nel mondo sottile, ha tenuto accesa la sua coscienza come una luce.

I bambini e le bambine hanno incredibili risorse che a volte passano inosservate. Superano ostacoli, attraversano un mondo che cambia sotto i loro occhi, imparano a orientarsi.

Con Jole volevo restituire il mistero e la bellezza della prima volta che si percorre una strada da soli, la prima volta che nessuno ti tiene per mano, la prima volta che ti accorgi dei tuoi sensi e li utilizzi alla massima potenza perché sai che sei solo e vuoi farcela da solo, è la tua conquista.

Accade di nuovo anche da grandi, ma solo in certe, precise occasioni. Quando da soli ci perdiamo in un posto che non conosciamo, in un altro paese, o senza un telefono a dirci tutto quello che serve. Accade da adolescenti quando si prende possesso di uno spazio sempre più grande, come se si aprisse davanti ai nostri occhi, piega dopo piega un'enorme cartina stradale.

Si tratta di un risveglio, di una piccola scossa della coscienza e del corpo che si percepiscono vivi. In Acerbo sarai tu (Topipittori, 2019, con illustrazioni di Francesco Chiacchio) avevo dedicato a questo momento una piccola poesia.

La mappa di Jole assomiglia a quella di una fiaba. E il ritorno a casa dell'eroe è rappresentato da Arianna Vairo con un'immagine per me fortissima. Jole trova le chiavi, trova la porta, spinge per uscire dal mondo subacqueo appena prima di rimanerci imprigionata, spinge la porta per rientrare nel mondo, spinge la porta per rientrare in se stessa e trovarsi cresciuta. Ebbene, amo tantissimo queste piccole Jole che spingono con lei! Come se dentro a Jole ci fosse stata tutto il tempo una piccola bambola di Vassilissa che consigliando, esortando, incoraggiando l'avesse accompagnata sprigionando la sua forza e la sua energia.

Una volta ho scritto una poesia per Vassilissa. È stato dopo aver scritto In mezzo alla fiaba (Topipittori, illustrato da Arianna Vairo) ma comunque non sarebbe potuta entrare in quella  raccolta  dove avevo lavorato soltanto su fiabe della mia infanzia. Vassilissa e la Baba Jaga invece per me erano arrivate più tardi. Ma guardando un bellissimo spettacolo della compagnia Kuziba teatro, anche Vassilissa ebbe la sua poesia.

Ho ricevuto in dono

una bambolina, mi somiglia

ma conosce più cose,

le sa fare prima e meglio

è un cuore sempre sveglio

una mano che separa la pula

dal frumento

è la voce coraggiosa

che ho dentro, mi spinge

a fare le domande

è una me più piccola

una me più grande.

Guadagna il fuoco che non ho,

è insieme luce e mistero:

mi insegna

le cose che già so.

Questa storia l'ho dedicata a tutti i bambini e le bambine che fanno la strada da soli imparando infinite cose segrete scoprendo una forza nascosta dentro di sé. Ma non solo. Dato che le fiabe sono vere, l'ho dedicata ai cani di Giorgio, due bei lupi, che stavano dietro un cancello sulla via della mia casa bambina perché mi hanno insegnato ad aver paura e a stare attenta.

Alle pozzanghere che da piccola mi hanno sempre fatto pensare a un mondo sommerso che nessuno vedeva ma che potevo immaginare.

A mia nonna Iolanda che ha mi ha confidato il segreto delle chiavi e della finestrella perché io potessi sempre entrare in casa sua se ne avessi avuto bisogno. Al latte che per l'eccitazione non riuscivo a bere quando dovevo andare a piedi a scuola da sola.

Infine grazie a Topipittori che ha accolto questa storia in una collana per me stupenda che permette un distendersi, un ampliarsi del racconto illustrato, una lettura che ha fiducia nell'ascolto dei bambini. A Giovanna Zoboli mi ha incoraggiata a utilizzare la voce della nonna che altrimenti sarebbe rimasta nascosta. Ad Arianna Vairo che ha illustrato in modo magistrale questa storia regalando a Jole una forza elettrica e speciale proprio come la sentivo scorrere mentre scrivevo.

E questo è un piccolo dono per chi è arrivato a leggere fin qui.

Un'opera di Peter Maxwell Davies che ho ascoltato almeno un centinaio di volte e mi piace condividere. Si tratta di Seven Songs Home (1981) che raccontano un'ora della vita di un bambino, dal momento in cui lascia la scuola al momento in cui raggiunge la sua casa. Sono sette magnifiche canzoni (I. Home-time at last, II. At the Shore, III. The Heather Track , IV. At the Lochan, V. Cold Tractor, VI. Tractor Ride, VII. Home) interpretate da un coro di bambini diretto dal compositore. Essendo ambientate nelle isole Orcadi, l'elemento dell'acqua è molto presente. Così ogni volta che ascoltavo pensavo a Jole e a tutto ciò che scorre e ci indica vitalità e cambiamento.