L’infanzia pensa. Per una filosofia dell’infanzia

[di Silvia Bevilacqua*]

 

Sono tre gli episodi in cui la filosofia ha bussato alla mia porta.

Il primo è fissato in una fotografia che mi ritrae concentrata a giocare con la neve a circa 4 anni, vestita con una tuta azzurra anni 80 e un bellissimo cappello rosso con fiori di montagna e pompon. In mano ho paletta e secchiello.

Il secondo è un ricordo che risale alle medie, quando trovai nella biblioteca della scuola il poema di Parmenide che, fra meraviglia e perturbamento, catturò irreversibilmente il mio pensare con la frase l’essere è e non può non essere.

Infine il terzo riguarda Sussi e Biribissi di Collodi nipote, illustrato da Roberto Innocenti e regalatomi da mia madre all’età di circa 8 anni. Fu il primo libro che lessi da sola. Sfogliandolo recentemente mi sono accorta che, a pagina 10, Biribissi è descritto così: non si lavava la faccia e appunto per questo lo avevano soprannominato il filosofo (a cui si aggiunge: per quanto quella fosse una calunnia bella e buona per la povera filosofia). 

 

Perché queste tre situazioni dovrebbero avere a che fare in generale con la filosofia e in particolare con il volume L’infanzia pensa. Per una filosofia dell’infanzia?

Il primo episodio è, a mio avviso, l’essenza del rapporto che l’essere umano può avere con la filosofia, ovvero una relazione che un soggetto intraprende mettendo in gioco il proprio desiderio di molteplicità e complessità nel mondo, anche attraverso alcuni strumenti che possono essere materiali (le cose) o metafisici (i concetti).

La neve è metafora dell’essenza di questa molteplicità e la concentrazione permeabile fra un dentro e fuori di sé, un infinito intrattenimento che credo sia al centro dell’attività della pratica e del pensiero filosofico.

Il secondo episodio racconta del rapporto che possiamo avere con le parole della filosofia: spaesamento, perdita di punti di riferimento connessa al desiderio di proseguire in quella direzione di ricerca, frequentazione di domande che, con una disposizione amichevole, conservano la meraviglia.

L'anima smarrita di Olga Tokarczuk e Joanna Concejo

Infine, mentre stavo scrivendo L’infanzia pensa. Per una filosofia dell’infanzia, ho riletto Sussi e Biribissi. La descrizione del filosofo mi ha fatto sorridere pensando a come mi riconoscessi in quell’immagine e nella prima pagina ho trovato un segno in cui avevo scritto “sono qui” per indicare il punto in cui ero arrivata a leggere.

La Silvia che oggi lo rilegge e che è “qui” a fare filosofia ne riconosce un segno indelebile del suo “sono”.

Questa premessa autobiografica – anche se ricordare di sé potrebbe essere, come diceva Deleuze, a rischio di un’autocelebrazione – è molto vicina al perché e al come a un certo punto della mia esperienza con la ricerca filosofica e con la philosophy for children/community, mi sia addentrata nell’immaginario letterario e filosofico a partire dalla pensosità infantile.

Quando sono nato di Isabel Minhós Martins e Madalena Matoso

 
Le ragioni sono innanzitutto politiche. Se ho scelto di fare philosophy for children è perché Lipman e Sharp hanno sfatato un pregiudizio ancora oggi quasi inossidabile, ovvero che i bambini e le bambine non solo sanno pensare, ma lo fanno anche filosoficamente.

Inoltre sia la letteratura che la filosofia, quando sono affiancate all’infanzia, non sono riconosciute all’altezza di quelle “ufficiali per adulti”. Questo perché, tradizionalmente, tutto ciò che è infantile è relegato a uno scaffale più basso della società e bisognoso più di chiunque altro al mondo di educazione, pensiero, saggezza e sapere.

L’infanzia pensa è dunque non solo un titolo, ma un atto politico.

L’altra ragione è di passione e desiderio di ricerca filosofica intesa soprattutto come dialogo riflessivo, creativo e dubitante fra le pagine che hanno messo in scena i bambini e le bambine immaginari.

Credo sia importante conoscere e pensare per aprire nuovi scenari di una filosofia dell’infanzia.

Che cos'è un bambino? di Beatrice Alemagna

 

L’infanzia pensa. Per una filosofia dell’infanzia è prima di tutto un invito a frequentare questo mondo, ad avvicinarlo provando a entrarvi. Non si tratta di un manuale di pratica della filosofia per l’infanzia o di philosophy for children, anche se credo ne favorisca lo sviluppo, ma soprattutto di un libro da leggere liberamente dall’inizio alla fine, lasciandovi spaesare.

All’inizio del volume troverete una premessa che esprime il senso della ricerca. A questa segue un glossario filosofico creato per offrire le parole concetto che torneranno fra le righe in tutto testo. L’introduzione chiarisce in generale le questioni che si svilupperanno nelle pagine. In questo volume non troverete grandi spiegazioni su chi sia o cosa non sia l’infanzia che pensa, ma piuttosto un esercizio di riflessione e interpretazione continuo nel quale potrete farvi interpellare da domande, frammenti di testo, narrazioni, visioni.

 Stavo pensando di Sandol Stoddard e Ivan Chermayeff.

 

Il volume è suddiviso in due parti. La prima, un abecedario di metodologia filosofica che si articola in alcune voci: A di abecedario, B di Bosco, C di Claudicante, I di Interpretazione, P di Pensare. La seconda è un Inventario mitografico di storie quasi vere di pensosità infantili con cui ci addentriamo nell’immaginario senza più uscirne, sino all’ultima pagina. Qui si avvicendano personaggi della letteratura che pensano. Dove? Di fronte, sopra, sotto, fuori, aldilà, insomma in tutte le direzioni possibili del mondo.

Il prof. Pino Boero, senza il quale molta della letteratura per l’infanzia oggi in Italia non avrebbe cittadinanza, ha scritto l’introduzione del libro.

La postfazione è curata invece dalla prof.ssa Rossella Fabbrichesi che ha facilitato, grazie all’impegno e contributo di Pierpaolo Casarin, alcuni degli sviluppi della philosophy for children in ambito accademico.

Il libro termina con un capitolo intitolato Prati in cui tutti i personaggi fanno silenzio, le domande si sono espresse, i concetti hanno costruito legami fra loro e con chi li ha pensati, forse qualcosa ha acquisito un nuovo nome e tutto adesso sta nell’UBLIQUITA’ di un’infanzia che pensa, pensa, pensa ancora, anche quando sembra non averne più l’età.

 

*Silvia Bevilacqua, laureata in Filosofia, PhD all’Università degli Studi di Genova, assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio” Chieti, formatrice ed esperta in Philosophy for children-community e pratiche di filosofia, coordinatrice del gruppo di ricerca Philosophy for children-community (Università degli Studi di Genova - DAFIST), ideatrice e docente del master di secondo livello in Pratiche di filosofia a scuola, nelle comunità e nelle organizzazioni presso il medesimo Ateneo, ha cofondato la società “Propositi di filosofia” e per la casa editrice Mimesis dirige la collana Passaggi. Tra le sue pubblicazioni più recenti si segnala: Dall’isola. I quaderni di Ventotene (2023).