Studiosa e docente di Teoria e Storia della Letteratura per l’infanzia presso l’Università di Padova, Marnie Campagnaro è di nuovo in libreria da qualche mese con il saggio Il cacciatore di pieghe. Figure e tendenze della letteratura per l’infanzia contemporanea. Attenta osservatrice del panorama e della letteratura per l’infanzia, delle tendenze e dei movimenti che vi si trovano all’interno, in questo studio affronta temi diversi: dalla relazione del bambino con la fiaba, ai modelli femminili in essa sono proposti; dalla complessità di questa tipologia di letteratura all’educazione sentimentale e letteraria degli adolescenti, fino alla grande lezione di stile di Italo Calvino e di Bruno Munari. Vi proponiamo qui, per gentile concessione dell’autrice, oggi, un paragrafo del libro tratto dal terzo capitolo, Prospettive e figure della letteratura dell’infanzia del Novecento. Buona lettura
Le immagini che corredano il post si riferiscono a titoli analizzati nel saggio dall'autrice.
Giusi Quarenghi e Chiara Carrer, I tre procellini (Topipittori, 2012).
[di Marnie Campagnaro]
La (apparente) semplicità dei libri per bambini e ragazzi (come un coniglio bianco con gli occhi rosa che correndo ci passa a fianco, e, implicitamente, ci dice «Seguimi!») racconta, dunque, solo la metà di una storia. L’altra metà si ritrae, rimane nell’ombra, nel buio, nei meandri dell’implicito, del sottaciuto. Per scoprirla bisogna fare come Alice, inseguirla dentro la tana, lasciarsi cadere in un pozzo profondissimo e sconosciuto, precipitare giù, giù, giù, fino in fondo, cadere, rialzarsi, riprendere la corsa lungo un corridoio buio e raggiungere la sala dalle tante porte. Leggere la letteratura per l’infanzia significa aprire una di quelle tante porte e scoprire la complessità silente, che si nasconde dietro le sofisticate immagini letterarie dei grandi classici, dei romanzi contemporanei o delle micronarrazioni visive dedicate ai più piccoli.
J. e W. Grimm e Lorenzo Mattotti, Hansel e Gretel (Orecchio Acerbo, 2009).
Bisogna fare come fanno i bambini quando sono posti di fronte alle grandi questioni della vita: ammutolire, rimanere momentaneamente senza parole, costringersi al silenzio per isolarsi da fastidiosi rumorii di sottofondo. L’infanzia sa che c’è bisogno di silenzio per ascoltare le domande di chi la interroga: le parole arrivano dopo, quando ci si mette in marcia per trovare le risposte. Non è facile intendere il silenzio e ancora meno usarlo. Eppure i bambini ne sono straordinariamente competenti, come la nuvola è competente in fatto di pioggia, il lupo in fatto di agnelli, e il gallo in fatto di galline. Il loro è un silenzio sapiente (C. Sini, Il gioco del silenzio, Milano, Mondadori, 2006, p. 10). Leggere la letteratura per l’infanzia consiste nell’inseguire e trovare il silenzio sapiente, che si nasconde nelle pieghe di questi libri, un silenzio che sta intorno alle cose dell’infanzia, le abbraccia, le intervalla, le separa, le valorizza, le rende visibili. In ciò sta la sfida di chi legge la letteratura per l’infanzia: nell’imparare a riconoscerlo, nell’imparare ad amarlo.
Giuseppe Pitrè e Fabian Negrin, Il pozzo delle meraviglie (Donzelli, 2013).
Ben più composita è la sfida che attende lo studioso di letteratura per l’infanzia, che di questa complessità silente si deve occupare. Fra i vari compiti, o come li chiamerebbe Auden, «servizi» ( W. H. Auden, La mano del tintore, Milano, Adelphi, 1999, p. 20.), ci sarebbe o ci dovrebbe essere quello di stimolare l’educatore, l’insegnante, il bibliotecario ad avvicinarla ed ad incontrarla, proponendo scrittori significativi, talvolta poco conosciuti o sottovalutati, mostrando le relazioni esistenti tra opere di epoche e culture diverse, indicando libri che accrescono la comprensione del mondo e che illuminano i giovani lettori sui rapporti tra arte, vita, scienza ed etica. Una sfida complessa, per l’appunto, che richiede memoria storica, cultura, un’ottima capacità d’analisi e uno «straordinario intuito». E coraggio. In un articolo di Franco Marcoaldi apparso su la Repubblica, il critico letterario Carlo Ossola ci ricorda che: «La scuola in generale, e l'università in particolare, non è stata abbastanza severa con se stessa. […] L'orizzonte dell'insegnamento universitario è rimasto schiacciato sul presente, limitandosi a offrire descrizioni, comunicazioni, piuttosto che a porre domande di fondo.
Giusi Quarenghi e Chiara Carrer, La bambina e il lupo (Topipittori, 2005).
Quando invece sarebbe più che mai necessario pronunciare parole che si protendano a nord del futuro, come diceva Paul Celan» (F. Marcoaldi, Gli esami non sono sentenze. La verità è nascosta nell'eresia, la Repubblica, 3 gennaio 2013, p. 39.). Ritornare ad interrogarsi sulle questioni profonde e salienti della vita dell’infanzia, rappresentante nei libri per ragazzi di ieri e di oggi, condividerle con gli studenti, alimentare in essi il gusto per le pieghe, per la ricerca della verità narrativa, per i campi di indagine di questa appassionante disciplina, anche tutto questo è parte integrante dell’attività dello studioso di letteratura per l’infanzia. Egli opera non con l’intento di insegnare ai ragazzi a distinguere il buono dal cattivo, il vero dal falso, ecc., ma con il desiderio di accompagnarli dentro boschi narrativi inaspettati, in bui e spinosi attraversamenti, nei quali imparare a comprendere e accettare la natura inquieta dell’uomo, l’ambivalenza delle relazioni umane e i chiaroscuri della vita, nel convincimento che anche i peggior «incubi della notte, se rappresentati e comunicati» possono essere affrontati (S. Vegetti Finzi, In questo modo sciogliamo i nostri fantasmi, La Lettura, 12 gennaio 2014, p. 13.).
Bruno Munari, Nella nebbia di Milano (Edizioni Corraini, 2008).