La valigia degli albi: l’impiego dei libri illustrati nel sostegno psicologico

[di Claudia Ravaldi*]

Ho scoperto il mondo dell’albo illustrato da adulta, mentre ero in attesa del mio primo figlio: pur essendo una lettrice appassionata fin dall’infanzia, avevo talmente poca dimestichezza con gli albi da pensare che fossero libri “per bambini piccoli”.

A quel tempo sceglievo per lo più albi proposti per la fascia 0-3: sfogliavamo molti cartonati, leggevamo albi illustrati, declamavamo filastrocche: mio figlio si divertiva tantissimo e noi adulti ci divertivamo nel vederlo divertito.

Per alcuni anni ho scelto gli albi un po’ così, a sentimento (mio nonno direbbe “alla carlona”), senza minimamente comprendere l’enorme potenziale terapeutico e trasformativo che, per la loro natura intrinseca, si nasconde negli albi illustrati di qualità.

Nonostante la mia cassetta degli attrezzi di psichiatra e psicoterapeuta contenesse già qualche poesia, alcune fiabe e persino certi film, l’albo, per la me di allora, era un prodotto “per bambini” e non “per terapeuti”. Eppure, quando il mio secondo figlio è nato morto, nel tentativo di trovare le parole per dire al mio primo bambino ciò che io stessa non riuscivo nemmeno a pensare, ho veramente sperato che esistesse un albo gentile in grado di offrire conforto alla nostra famiglia.

Io avevo ben chiaro che stavo affrontando un evento traumatico; avevo ben chiaro che mio figlio si sarebbe trovato dentro a questo vortice con gli strumenti di un bambino di quell’età. Sapevo bene che io e mio marito dovevamo provare a tenere dritto il timone per sbandare il meno possibile, nonostante la furia del vento. Sapevo tutte queste cose, ma lo stesso non sapevo bene cosa dire e come dire, se fosse giusto dire, o se invece fosse meglio tacere, fare finta di nulla, inventare qualche bugia, come mi hanno raccomandato parecchi colleghi, “che tanto è piccolo, cosa vuoi che capisca?”.

Quel giorno il nostro bambino, correndoci incontro sul pianerottolo ha fatto queste tre esatte domande: “Dov’è la pancia? Dov’è il fratellino? Perché hai quegli occhi?”.

Abbiamo provato a dare risposte a misura, piccine ma oneste: a quell’età, i fatti della vita generano un gran fiorire di domande che è bene poter accogliere e custodire con cura.

 

“Un bambino è una persona piccola.

Ora, per addormentarsi, ha bisogno degli occhi gentili. E di una lucina vicino al letto”

Beatrice Alemagna, Che cos’è un bambino

 

Anche se in quei giorni i nostri occhi non ridevano più, ci siamo molto impegnati per far sì che rimanessero gentili: ci siamo molto impegnati per cercare di procedere nel labirinto del lutto, senza fare e senza farci ancora più male.

Ci ha molto disorientato che nessuno all’epoca parlasse di lutto perinatale, come se il lutto perinatale non esistesse. Ci ha molto disorientato, e anche abbastanza irritato, che non si trovassero indicazioni chiare e coerenti su come potersi occupare dei fratelli e delle sorelle che vivono questa esperienza: possibile che non fosse successo a nessun altro, o che non importasse a nessuno parlare di queste cose?

È così iniziata la nostra peregrinazione per librerie: cercavo libri che potessero toccare l’argomento morte e lutto in modo gentile e rispettoso, e non trovavo niente. Anzi, più di una volta mi è stato detto che questo genere di libri non esisteva, perché non erano temi adatti ai bambini: ho scoperto molto tempo dopo che nel 1938 Margaret Wise Brown ha scritto The dead bird e Remy Charlip l’ha illustrato nel 1958, ben 48 anni prima che io ne avessi bisogno. Eravamo forse esagerati, io e mio marito, a ritenere che un buon libro potesse accompagnarci nella babele di domande che nostro figlio ci faceva rispetto a quanto ci era accaduto? Anche se all’epoca di letteratura per l’infanzia non sapevo quasi nulla, intuivo già il potere delle parole scelte con cura, unite ad immagini scelte con altrettanta cura per accompagnare le persone attraverso le tortuose strade che a volte la vita prende, senza chiedere il permesso.

Libreria dopo libreria, uscivamo con svariati libri sui camion, sulle stagioni, sui ragni dell’intero globo terracqueo o sui serpenti, senza mai trovare ciò che cercavamo.

A fronte della gragnuola di domande quotidiane, ci siamo arrangiati come potevamo, prendendo spunto dalla natura. Le nostre passeggiate verso la ludoteca, in quella primavera del 2006, sono state costellate di “guarda, mamma, una formica morta, (come il fratellino)”, di “perché questa cavalletta è spiaccicata?, (mamma, la possiamo rimettere a posto?)”, di “perché è caduto dal nido questo uccellino (anche il fratellino è caduto?)”. Di quei dialoghi, ricordo la profonda tenerezza per i tentativi che il mio bambino faceva per esplorare e comprendere anche questa esperienza di vita, e ricordo la nostra cura nello scegliere parole che potessero generare pensieri e riflessioni senza però fare troppo male.

Nel frattempo, per dare un senso alle notti senza sonno, abbiamo iniziato a raccogliere i documenti sull’assistenza alle famiglie colpite da lutto perinatale pubblicati negli altri paesi del mondo più virtuosi del nostro e a tradurli in italiano: da quelle prime pagine è nata CiaoLapo, un’associazione senza fini di lucro che porta il nome del nostro secondo bambino. Volevamo promuovere anche nel nostro paese una cultura rispettosa del lutto perinatale, così da offrire un sostegno gentile e competente alle altre famiglie come noi. Grazie alla collaborazione di colleghe e colleghi volontari, abbiamo iniziato a offrire sostegno alle famiglie, ad accompagnare i genitori alle loro successive gravidanze e genitorialità e a promuovere una formazione adeguata negli ospedali.

L’albo illustrato nei primi tempi mi ha aiutato soprattutto nei contesti formativi: parlare di morte e di lutto in gravidanza o dopo la nascita tocca le persone in profondità e può scatenare le reazioni emotive più disparate. Se fatichiamo a “stare” con gentilezza su questo argomento, non possiamo essere di sostegno a chi sta affrontando un lutto: la formazione, in questo senso, aiuta gli operatori ad acquisire gli strumenti, personali e relazionali, per offrire il sostegno necessario alle famiglie, sia durante il lutto, che nelle successive gravidanze.

 

Ho iniziato ad usare gli albi per riflettere con loro sugli aspetti emotivi, legati alla morte e al lutto, sugli aspetti culturali e più in generale sulle credenze che, spesso senza saperlo, abbiamo intorno a questo tema. Se la morte è un tabù, come possiamo renderla pensabile e rendere possibile un progetto di assistenza alle persone in lutto?

Con gli operatori della nascita ci siamo soffermati a lungo sul mistero della morte che precede la nascita, sull’angoscia del non poter sapere e del non poter porre rimedio e sul terremoto interiore che questi eventi provocano in chi assiste.

“Un tuono, ero.

Rumore.

Un botto

Un chiasso,

un baccano,

uno schiamazzo,

un fracasso.

E un brivido, ero.

Per il rumore del tuono, del botto, del chiasso, dello schiamazzo, del fracasso.

Un brivido, sì.”

Prima di me, Luisa Mattia e Mook

Ho notato che l’albo, proposto in apertura e in chiusura delle sessioni formative, funzionava come un catalizzatore, permettendo agli operatori di portarsi a casa i contenuti del corso ben integrati con il loro sentire e con le riflessioni generate dalle letture. Ho pensato che potesse funzionare anche con le famiglie che stavano attraversando il loro lutto, e pochi anni fa, durante la pandemia, abbiamo pensato ad un possibile utilizzo degli albi anche nelle gravidanze dopo un lutto, con i genitori che fanno parte del progetto Arcobaleno.

 

La gravidanza e la nuova genitorialità dopo un lutto sono esperienze “ad alto volume”: l’onda d’urto delle memorie, psichiche e corporee dell’evento precedente può essere così violenta da far vacillare anche i genitori più stabili e rendere l’attesa e la genitorialità un’esperienza ricca di contrasti, ambivalenze, paure e solitudine. Parlare apertamente delle proprie esperienze di lutto non è così facile, nella nostra cultura: se si è in attesa di un bambino, o si stringe un bambino tra le braccia, parlare di lutto e di come il lutto può contrastare la pienezza dell’esperienza gioiosa che stiamo vivendo è ancora malvisto da chi non è abbastanza formato sul trauma e sulle sue caratteristiche.

Grazie agli studi sui primi mille giorni promossi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità oggi sappiamo che se vogliamo prenderci cura dei bambini e del loro benessere fin dalla pancia, dobbiamo per forza prenderci cura delle madri e dei padri e creare intorno a loro un ambiente quanto più sano e salutare possibile. Per crescere un bambino al pieno delle sue possibilità di salute bisogna prima di tutto prendersi cura dei genitori: questo implica tenere a mente la loro storia, i loro bisogni, le loro difficoltà ma anche, soprattutto, lavorare sulle loro risorse, e coltivarle, affinché possano affrontare i primi mille giorni del loro bambino nel migliore dei modi possibili. Ne ho scritto di recente, per la casa editrice UPPA, che ha pubblicato Il viaggio eroico dell’essere genitori: in questo libro racconto le tappe dei primi mille giorni, le luci e le ombre della genitorialità, le sfide che si incontrano e le risorse che possono rendere questa esperienza il più soddisfacente e salutare possibile.

 

“I bambini vogliono esser ascoltati con gli occhi spalancati”

Beatrice Alemagna, Che cos’è un bambino

Non è possibile ascoltare i bambini con gli occhi spalancati se siamo stanchi, spaventati, soli, arrabbiati, tristi. Non è possibile ascoltare i bambini con gli occhi spalancati se nessuno ha ascoltato noi con occhi spalancati, per un tempo sufficientemente lungo, quando eravamo piccoli, e anche dopo che siamo già diventati grandi, ad esempio dopo un lutto perinatale o un altro grave evento di vita.

Se i genitori vengono guardati con occhi gentili e sostenuti nel loro cammino, allora sì, che possono sviluppare le risorse sufficienti per guardare con occhi altrettanto gentili i loro bambini.

Se i genitori, al contrario, vengono guardati con le sopracciglia alzate, gli occhi ostili o commiseranti, se vengono giudicati, insomma, non ce la fanno a racimolare le energie per essere gentili, nemmeno se amano il loro bambino più di ogni altra cosa.

 

Leggere albi di qualità aiuta i genitori a intercettare le loro risorse, a riflettere sulle loro emozioni e ad arricchire il loro immaginario, spesso inibito a causa dei pregressi traumi: inoltre, leggere albi di qualità li aiuta a tenersi lontani dai modelli stereotipati sulla maternità e sulla paternità proposti dalla nostra cultura e a trovare la loro strada con maggiore sicurezza e serenità.

Tra i miei albi preferiti, per decostruire gli stereotipi mettendo in luce un identikit di “famiglia sufficientemente buona” c’è In una Famiglia di Topi, scritto da Giovanna Zoboli e illustrato da Simona Mulazzani. In questo albo si affronta il tema dell’attaccamento sicuro e anche quello della giusta distanza, descrivendo, nella quotidianità, lo spazio relazionale, sicuro ma aperto al mondo che genitori e bambini, non senza fatica, imparano ad abitare.

I topi ci mostrano, in modo divertente e lieve, il bello dell’autonomia, dell’interdipendenza, l’importanza del confine e dei piccoli riti familiari, in una maniera rispettoso di genitori e bambini, empatica e assertiva al tempo stesso.

“In una famiglia di topi non ci si dimentica mai, ma proprio mai, il bacio della buonanotte”.

E c’è spazio per tutti, come dovrebbe essere, sempre.

 

Questo albo non edulcora nulla e l’autrice non dimentica il sapiente uso dell’ironia e dell’umorismo: l’umorismo, eccellente strumento salutogenico, non deve mai mancare quando si parla di temi complessi. La genitorialità e l’attaccamento sono processi impegnativi, che hanno bisogno di una buona dose di umorismo, di gentilezza e di bellezza, per essere vissuti nel modo più gratificante e salutare possibile.  

Gli albi illustrati di qualità, grazie alle storie che nascono dalle parole scelte con cura, unite con maestria ad immagini scelte con altrettanta cura, hanno un grande potere trasformativo e salutogenico e sono preziosi strumenti di sostegno per grandi e piccini.

Adesso, finalmente, lo so.

 

*Claudia Ravaldi, psichiatra e psicoterapeuta, dopo la laurea in Medicina e la specilazzazione in Psichiatria lavora per dieci anni nel campo dei disturbi del comportamento alimentare. Oggi si occupa di relazione terapeutica, comunicazione e salute, alimentazione consapevole, mindfulness, EMDR, gravidanza e maternità, lutto e salute perinatale. Ha fondato l'Associazione CiaoLapo Onlus per la tutela della gravidanza a rischio e il supporto psicologico ai genitori colpiti da lutto perinatale.