Oggipresentiamo Gli amici nascosti di CeciliaBartoli. Questa storia ci è arrivata all'improvviso, e del tuttoinaspettatamente, toccando prima Guido Scarabottolo che l'ha passataa Giusi Quarenghi che l'ha mandata anoi. Quando è approdata qui, e l'abbiamo a nostravolta letta, abbiamo desiderato subito che trovasse casa nel nostrocatalogo e l'autrice ha accolto la nostra proposta. Gliamici nascosti racconta una vicenda realmente accaduta, elo fa utilizzando la prima persona singolare, come, dal 2009 a oggi,è sempre accaduto per tutti i volumi della collana Gli anni in tasca, di cui iltitolo fa parte. Questa volta, però, a scrivere questa storia nonè stato il protagonista, Robera, ma CeciliaBartoli, che l’ha incontrato nel corso delsuo lavoro per l’associazione Asinitas. Dopo aver ascoltato coninteresse e attenzione l’esperienza e i racconti di Robera edi sua madre Taiba, Cecilia ha dato loro voce e parole in linguaitaliana.
Quandol'autrice ci ha proposto questo bellissimo testo in lettura, abbiamopensato subito di pubblicarlo. Non abbiamo avuto alcun dubbio che ilsenso profondo e lo spirito di chi le aveva affidato con tanta fiducia lastoria della propria vita fossero stati pienamente rispettati. GuidoScarabottolo è implicato in questo libro non solo nellaparte di tramite, ma anche di illustratore: sue infatti sono le belleillustrazioni al tratto che accompagnano la storie e di cui, qui,trovate un assaggio. Il brano seguente, la prefazione dell'autrice,racconta come è nato il libro.
Gli amici nascostisarà presentato da Cecilia Bartoli a Roma, l'11 aprile, alle ore17, presso il Centro Interculturale Miguelim, in via Policastro45 (trovate alla fine del post l'invito all'evento).
[diCecilia Bartoli]
Asinitas, l’associazioneper cui lavoro, per molte persone che arrivano da altri paesi è unluogo di accoglienza e di passaggio, un luogo in cui cominciare afermarsi e a ripensare la propria vita dopo aver trascorso mesi (avolte anni) a scappare. Ho ascoltato la storia di Taiba e Robera nel2007 e non sono mai riuscita ad ‘archiviarla’. In quel periodo,molte persone etiopi, in particolare oromo, data la situazione nelloro paese, facevano richiesta di asilo politico in Italia.
Taiba è arrivata sola presso la nostra scuola di italiano ed èriuscita immediatamente a farsi volere bene da tutti: piccola di statura,occhi brillanti, determinata, dotata di forte presenza, capace di farsicomprendere perfettamente anche con “pochissima lingua”. Di viaggiincredibili tra le pareti delle nostre stanze ne ascoltiamo tanti,ma quello di Taiba e Robera mi ha colpita particolarmente, e non solome.
In quegli anni lavorava con noi Sandro Triulziche all’Africa ha dedicato studi e ricerche e dell’Etiopia è unvero esperto. Ci aiutava a preparare le persone che dovevano sostenerel’incontro con la commissione che valuta il diritto a essere accolticome rifugiati. Durante le sedute, ascoltavamo attentamente, in silenzio,la loro storia. Poi passavamo all’analisi, agli approfondimenti,alla contestualizzazione. C’era Giovanna, avvocato, Marco e io,che in Asinitas ci siamo dall’inizio, e Franca, insegnante diitaliano.
Nelfrattempo però – sola nella mia stanza –avevo modo di ascoltareun’altra narrazione di quel viaggio, una narrazione senza parole,quella di Robera, che in quel periodo aveva sette o otto anni e nonparlava una parola di italiano, ma negli occhi aveva tutto quello cheera sufficiente per capire. Incontravo Robera su richiesta della scuola,che inizialmente lui rifiutava, stando a lungo nascosto sotto i banchio dentro gli armadietti.
Come si parla a un bambino che nonconosce la tua lingua? Niente, non si parla: si ascolta. E non parole,ma gesti, sguardi, suoni.
Per diverso tempo abbiamo sologiocato con gli oggetti.
La mamma andava raccontandoi motivi che l’avevano indotta a scappare dall’Etiopia e letappe del suo viaggio periglioso; e io – un po’ a intuito,un po’ apposta – portavo degli oggetti nella stanza o preparavodei veri e propri allestimenti. Robera sembrava comprendere le mieintenzioni e giocava un’ora intera, spesso disponendo di me come diuno dei suoi pupazzi. Le sue narrazioni sono iniziate così.
Un giorno, a scuola, Taiba ha scritto questo testo:
Robera,illustrazione di GuidoScarabottolo. |
Viaggioin mare
Io con mio figlio, paura, tutte personepiangere.
Il mare alto, così così [grandi grandionde].
Tredici bambini, duecentocinquanta persone,nave grande.
Cinque giorni il mare così così [grandigrandi onde].
Tutti stretti, arriva acqua, tutti ivestiti bagnati.
Lacrime, tutti tutti.
I soldi nella borsa, i soldi nascosti nella cintura.
Acqua e biscotti nella borsa. Robera e tutti i bambini stamale, vomita.
Robera dice: «Mamma, dove io?».
Ha visto qua acqua, qua acqua, acqua, tutto intorno.
Io: «Aspetta, Robera, dopo Italia»
Robera: «No,subito!»
Telefoniamo in Italia: «Aiutate, aiutate!»
Arriva elicottero, butta giubbotti di salvataggio.
Poi venuta barca grande,tutti i bambini in barca grande, tre donne incinta.
Labarca grande tira la barca piccola.
Robera va sullabarca grande con i bambini, io piango:
«Dove è il miobambino?»
Il rimorchiatore tira la nostra barca per tuttoil giorno.
Quelgiorno mi sono fatta coraggio e al centro della stanza ho preparato unabarca e l’ho riempita di bambolotti; intorno, teli blu e azzurri. AlloraRobera ha “raccontato” tutto: c’erano bambolotti che pregavano,altri che vomitavano, io ho ricevuto un cuscino sotto il maglione persembrare incinta... Vorticando le braccia, ha mimato anche l’arrivodell’elicottero di salvataggio.
Da quel momento hainiziato a proporre, a rimettere in scena alcuni accadimenti, senza cheproponessi più nulla. Le pietre che ha ricevuto in testa a Tripoli,in Libia, sono un suo racconto, ripetuto tante volte e finito sempre tradisinfettanti immaginari e cerotti reali applicati tra di noi e su diversebambole. Piano piano sono arrivate anche le prime parole di italianoe a scuola andava un po’ meglio.
Taiba e Robera sono poipartiti per la Norvegia e il nostro rapporto si è interrotto.
Robera ora abita vicino a Oslo. Per anni non ho più saputo nulladi lui e della sua mamma: non avevo alcun recapito.
Un giorno d’estate, mi è capitato di rileggere gli appunti presidopo i miei incontri con lui, e l’intervista alla mamma preparataper la commissione. E così, di getto, ho scritto questa storia. Volevodare parole a quelle sequenze di immagini, di gesti, di sguardi. Volevoche fosse la voce di Robera a narrarla. Difficilmente l’odissea deimigranti viene raccontata da un bambino, soprattutto se non ne è ilprotagonista diretto, ma si trova, come è accaduto a Robera, a viverequell’esperienza trascinato dagli adulti. Eppure, sono molti i bambiniche hanno attraversato il deserto e il mare, e molti quelli che vi hannolasciato la vita.
Taiba,illustrazione di GuidoScarabottolo. |
Questoracconto non vuole spiegare ai bambini la situazione dell’Etiopia, nonsono affatto preparata su questo, e non è nemmeno un racconto che vuoledenunciare quanto sia scandaloso che intere popolazioni siano costrettea subire esperienze simili per poter sfuggire al carcere o alla mortecerta. È una storia che prova a raccontare lo sguardo di un bambinoattraverso lo sradicamento e il pericolo, l’amicizia e l’avventuradi un viaggio forzato.
Dopo essere stata scritta, questastoria è rimasta nel mio computer e non sapevo bene che farne. Non sonouna scrittrice e non avevo il coraggio di proporla a nessuno, ma nemmenodi buttarla o dimenticarla.
L’ho data all’amico FrancoLorenzoni, che fa il maestro in una scuola elementare. L’ha propostaa scuola e i suoi bambini l’hanno apprezzata molto. Volevano conoscereRobera e mi è dispiaciuto molto non potergli fornire un indirizzo poichéda anni non sapevo più nulla di lui.
Poi, ungiorno, Franca, che pure non sentivo da tanto tempo, mi ha chiamata: «Cisono Taiba e Robera a Roma, vuoi venire a pranzo?».
E siamoandati al ristorante cinese ed è stato un bellissimo rincontro. Taibaera identica; Robera, un gigante.
Un abbraccio stretto,pochissima lingua in comune, ma a questo eravamo abituati e ci siamocapiti lo stesso e, soprattutto, scambiati gli indirizzi.
Forse è stato allora che questa storia si è sentita prontaa uscire dal mio computer: perché dopo poco l’ha letta l’amicogiusto; così ha iniziato a camminare.
Qualche giorno fa, hotelefonato a Taiba e Robera e ho spiegato loro che avrei raccontato aibambini del loro viaggio, anche se forse qualcosa dei loro racconti sisarebbe un po’ mescolato alle narrazioni di altri. Erano contenti e,sotto sotto, mi è sembrato di intuire, anche un pochino orgogliosi. Lospero.
Si sono raccomandati di spedir loro una copiadel libro, appena uscirà.
Per chi èinteressato alla presentazione di Gli amici nascosti,l'11 aprile, a Roma, alle 17, presso CentroInterculturale Miguelim, via Policastro 45, eccoil programma:
Cecilia Bartoli, autrice del libro Ilpercorso di una storia.
AlessandroTriulzi, africanista e professore all'università orientale dinapoli Fuggire dall'Etiopia ieri e oggi.
Alessandra Orsi, psicoterapeuta, formatricein ambito interculturaleLa migrazione nei panni di unbambino.
Franco Lorenzoni, maestroelementare, fondatore della Casa laboratorio Cenci.Parlaredi migrazione in classe.
Maria Coletti,Cinemafrica, Associazione genitori Pisacane0-11Parlare di migrazione in classe: raccontodi una esperienza.