Pomeriggio in una scuola media

[diGioiaMarchegiani]

Questa volta sonoarrivata mezz'ora prima dell'orario di apertura. La volta scorsa, infatti,arrivare con calma ha significato trovare ben 50 nomi davanti al mio,e rientrare a casa con niente di fatto, con gran delusione di Aliceche fremeva all'idea di sapere.
Ma sapere cosa, poi, figliamia!?
Quanto amor proprio. E quanta fragilità in questiragazzi. A cui evidentemente ancora non siamo riusciti a far capire cheil valore di quello che si è, a scuola e fuori, non lo può stabilireun giudizio né, tanto meno, un numero.

Insomma,arrivata davanti all'ingresso della scuola, non ero certamente laprima. Già un bel gruppetto se ne stava lì, bello compatto davanti allavetrata. Mi sono immaginata la scena vista dall'interno, dove tre bidellici guardavano col sorriso di chi ha la chiave della gabbia. Anche se,in realtà, in gabbia ci stavano loro.

Eallora che ci stavamo a fare noi, lì fuori, a prenderci contro perentrare? In attesa, come domatori pronti a entrare nella gabbia deileoni o forse come adolescenti che smaniano per entrare al concerto delloro cantante preferito.
Raggiungere la vetrata dove eranoesposti i nomi dei docenti e le classi dove li avremmo trovati, è stataun'impresa. Ho giurato di fare presto, di disturbare solo per il tempodi una foto col cellulare (evviva la tecnologia!), per poi tornare dabrava al mio posto che, prudentemente, avevo chiesto a un complice ditenere occupato con la promessa di condividere con lui la foto dellalista.

Tornata a posto, ho preso un foglietto eimpugnato la penna. Avremo anche i cellulari, ma i cari, vecchi sistemisono sempre i migliori. Anche perché, vuoi mettere quanto sia piùpericolosa una penna, rispetto a un touch screen,se usata come arma!?
In quel momento, mi sono guardataintorno e mi sono accorta che tutti avevano avuto la mia stessa idea,ma soprattutto ho capito per quale motivo una penna serviva davvero:semplicemente per scrivere il proprio nome sulla lista dei colloquiQuindi, ognuno se la teneva ben stretta, a mo' di arma contundente... Ecosì, naturalmente, ho fatto anche io.

Alle 16 e 32,la porta si è aperta e un'onda anomala di teste, cappotti e penne siè riversata nell'androne. Giusto il tempo di precipitare dentro, comebuttati da una mareggiata.
In quel momento mi sono sentitafelice, e davvero l'impressione è stata quella di essere un'adolescenteche è riuscita a entrare al concerto del suo cantante preferito.
Peccato che lì ad aspettarmi ci fossero solo bidelli inferociti,scale da salire di corsa e soprattutto una ansiogena ricerca dell'aulagiusta...

Sì, perché le aule non sono dispostein ordine alfabetico e numerico. Che senso avrebbe? Quindi, gran avantie indietro generale alla ricerca della 3H, dove aspetta matematica,della 2N, dove c'è geografia, della 3D, dove avrebbe dovuto esserciitaliano, ma che poi, per mia fortuna, all'ultimo momento è finito in3G, al piano terra...

Per mia fortuna perché sonostata una delle prime ad accorgermene e, naturalmente fino a che non hopiazzato il mio cognome al terzo posto della lista, mi son ben guardatadal dirlo a qualcuno. E solo dopo, con falsa generosità, ho elargitola notizia a chi chiedeva informazioni.

Nel giro di cinqueminuti ho piazzato le mie firme. Dopo non è rimasto che attendere.

Nel frattempo, i corridoi si erano riempiti. Così, fuoridalle classi i genitori in attesa si sono messi a parlare, a chattare equalcuno, come sempre, anche a litigare.
La volta scorsa, inprevisione dell'attesa, mi ero portata un libro. Ma poi non l'ho neppureaperto, eppure per quante persone avevo davanti probabilmente lo avreifinito. Ma leggere in un angolo di corridoio, con poca luce, seduta suuna vecchia cattedra per due o tre ore, senza la certezza di farcelaa incontrare il leone, ops! scusate l'insegnante,non avrebbe fatto onore allo scrittore. Questa volta il libro lo avevodimenticato per la fretta di uscire in tempo e, ahimè, avevo scordatoanche il mio sketch book.

Ingenere, vado di mattina ai colloqui con i docenti, uno dei tantivantaggi del lavoro che svolgo nel mio studio, a casa.
Maquesta volta mi sono detta: “Vediamo come funzionano gl incontripomeridiani. Vediamo se sono fattibili.” Quella dei colloqui è unarealtà che appartiene al mondo della scuola: ci sono passata io, dabambina, ci si trova ora Alice, e poi ci passerà Chiara. Tutto sembraessere rimasto uguale, come se non ci fossero stati cambiamenti in questianni. Invece c'è ne sono stati, eccome.

Intanto, se pensoai miei genitori o a quelli dei miei compagni, questa necessità diincontrare i professori non era sentita così come lo è oggi. Siaveva più stima e fiducia e considerazione per la categoria a cui eraaffidata la formazione dei propri figli. E poi si aveva la sensazione,a volte era anche solo una sensazione, che tutto fosse sotto controllo:a casa e a scuola.

Fermo restando che i braviinsegnanti, così come quelli cattivi, ci sono sempre stati, oggi misembra ci siano ragioni diverse per cui si sceglie di insegnare. Incerti casi, si ha la sensazione che gli insegnanti per primi abbianoperso convinzione, rispetto al valore del proprio compito. E che ognunoproceda a modo suo, con il suo metodo, frutto spesso di un adeguamentoda una parte a un sistema che non sostiene, a una società che nonriconosce il valore del buon operare, dall'altro al livello dellaclasse e degli alunni che la compongono.

E lastessa cosa accade nelle famiglie: genitori e ragazzi, fuori e dentro lascuola, una volta capito come funziona, si adeguano, in base a quelloche viene richiesto, spesso con poca passione e poche motivazioniall'idea di impegnarsi, di spendersi.

Eppure stando aquanto questi colloqui sono frequentati, sembra che noi genitori citeniamo molto che i nostri figli facciano 'bella figura'. Ma il come e ilperché, evidentemente, cambiano. A volte ho l'impressione che tutto siriduca a una ostentazione, a una corsa a essere i primi: primi a scuola,nello sport... per qualcuno va bene anche solo primi in quel che si ha,come un cellulare di ultimissima generazione. È una specie di corsaad accumulare punti di vantaggio per far fronte a un futuro sentitocome incerto e precario.

E una corsa, infatti,è stata anche quella che abbiamo dovuto fare il giorno dei colloqui, peraggiudicarci il posto più vicino all'ingresso, il posto più in cima allalista dei nomi.
Per poi ritrovarci lì, in attesa. Singoliindividui senza un senso vero di collettività. Senza una realecondivisione di percorso e di quello spazio-casa che è la scuola (o che,personalmente, credo, potrebbe essere).

A parte i consuetiproblemi di incuria e fatiscenza di quei corridoi, su cui come fiorispiccano i lavori di arte dei ragazzi, e a parte il mio temperamentoevidentemente schivo, mi sono chiesta: se questi siamo noi adulti,come saranno i nostri ragazzi?

Probabilmente nonavranno il problema dei colloqui con i docenti, perché anche quellisi faranno online, come già si fa per le pagelle,con tanti problemi in meno per tutti. Niente corse. Niente sorrisie fredde strette di mano. Ma, certo, senza neppure quella sensazioneistantanea di sentirsi come adolescenti che entrano al concerto delloro cantante preferito...

Ho scritto questopost dopo aver riguardato gli schizzi che, il giorno dei colloqui,mentre aspettavo il mio turno, ho tracciato col dito indice sulloschermo del mio smartphone, ormai vecchio, ma chemi è stato utilissimo.