Fare scuola è una sfida sempre più complicata in un mondo dove è richiesto di essere tuttologi, dove tutti devono sentirsi competenti in ogni settore. Però acquisire davvero una competenza non è uno scherzo, ma una delle cose più difficili da fare. Spesso le persone che la possiedono non sono accumunate da una laurea, ma dal “ saper fare”. In proposito, Gianfranco Zavalloni ha scritto: «Chi ascolta dimentica, chi vede ricorda, chi fa impara.»
La sapiente capacità di mettere insieme saperi e abilità, crea il mondo meraviglioso delle strategie in contesti differenti: cioè saper utilizzare quanto appreso in modo creativo per risolvere i problemi che la vita riserva: questa è competenza. Ultimamente ho riflettuto molto su questo e su altri aspetti.
La scuola, che ha come fine le ultimo “i traguardi per le competenze”, in realtà, spesso si ferma ai saperi. Non a caso la scuola lavora pochissimo sulle immagini, credendo forse, erroneamente, che i bambini ne vedano già troppe. Le immagini che si susseguono attraverso schermi (giochi al pc, cartoni animati, pubblicità…) spesso mettono il soggetto in posizione passiva, sono immagini istantanee che non lasciano il tempo per una metariflessione.
Un antidoto, allora, è staccarsi dalle didattiche seriali e preconfezionate (quei quaderni pieni di schede fotocopiate non si possono vedere), abbandonare la frenesia del “tutto e subito” per lavorare con lentezza, smetterla di allevare bambini in batteria, nell’immobilità di corpo e mente, a fruire immagini che li rendono passivi o ancor peggio, consumatori. Non è un caso che oggi sempre più spesso nascano realtà scolastiche e didattiche differenti.
I nostri ragazzi spesso trascorrono giornate intere seduti al banco, ad ascoltare e ripetere saperi labili perché non vissuti. Per questo, per quest’anno scolastico, ho pensato e provato a realizzare una programmazione interdisciplinare. Con la convinzione che le materie scolastiche (le discipline, appunto) non vadano divise in compartimenti stagni, ma possano coesistere in una molteplicità di apporti che ciascuna, sapientemente, sa offrire in armonia con le altre.
Essendo quest’anno maestra di italiano, storia, geografia, arte e immagine in una classe terza, ho pensato che dare centralità a una disciplina considerata “minore” potesse essere un’esperienza nuova e formativa per tutti.
Sono partita, quindi, proprio dall’ultima parola che compariva ogni qualvolta scrivevo o compilavo documenti vari: immagine. Ho cercato di capire bene le richieste delle Indicazioni Nazionali in merito alle competenze sulle immagini. Atteggiarsi a innovativi è facile, esserlo con competenza, invece, richiede la capacità di argomentare le proprie scelte didattiche in modo ineccepibile. In questo consiste la professionalità docente.
Ho progettato un lavoro che potesse passare dalla competenza linguistica a quella comunicativa attraverso diverse immagini, anche in assenza di competenze relative alla lingua scritta. Ho pensato che produrre e manipolare immagini potesse aiutare a contestualizzare.
Le immagini hanno un forte contenuto narrativo e mettono in relazione linguaggi differenti attraverso lettura critica, analisi e confronto.
La comprensione e l’uso di codice visuali concorrono all’utilizzo di un linguaggio articolato sia orale sia scritto. Le immagini insegnano a “operare selezioni”. Attraverso il confronto tra diverse rappresentazioni iconiche (immagini grafiche, mappe, simboli…) i bambini possono familiarizzare con alcune forme di arte che saranno utili ai fini della narrazione, della comprensione e delle produzioni personali (coinvolgendo creatività, riflessioni, emozioni, sensazioni…). Anche il teatro diventa gioco attraverso immagini che il corpo disegna nello spazio. Un corpo di cui spesso la scuola si è dimenticata.
Ma quante attività si possono svolgere partendo da un’immagine? In questa immagine se ne trovano delineate alcune.
Così, nel tentativo di una didattica che possa essere apprendimento costruttivo, ho iniziato un’esperienza diretta e interdisciplinare, che si prestasse a farci spaziare dalla narrazione, alla lingua, alla scienza, alla storia, all’osservazione.
Partendo dal silent book di Iela ed Enzo Mari L’uovo e la gallina, edito da Babalibri, i bambini hanno analizzato le immagini attraverso cui l’autrice racconta lo sviluppo e la nascita di un pulcino. La grande efficacia dei silent book sta nel raccontare in modo preciso attraverso le immagini, lasciando ai bambini la possibilità e lo spazio per ipotizzare, riflettere, immaginare, verbalizzare approfonditamente.
È mia abitudine documentare le conversazioni che i bambini hanno su argomenti rilevanti. Una prima veloce visione del libro ha portato a riflessioni semplici: «Beh, è una gallina che fa un uovo.» Una seconda visione delle immagini, più attenta ai dettagli, ha portato a nuove considerazioni: «Ma si spiuma perché ha prurito? Non lo dice un testo da qualche parte?»; «Ma all’inizio l’uovo che mangi è identico a quello dove si forma il pulcino?»; «Le zampe della gallina sembrano di gomma.»; «Guardate! Anche una formica si ripara sotto a una foglia!»; «Ehi, ma l’ultimo è il pulcino cresciuto, cambia le piume.»; «Si chiamano penne!»
Dopo una terza analisi del libro abbiamo provato a verbalizzare le immagini per poi trasformarle in elaborati scritti.
Abbiamo poi affrontato le domande emerse da questo lavoro con una ricerca scientifica sul pulcino e sulla gallina e il loro ciclo di vita, e a questo punto i saperi appresi ci hanno accompagnato a sperimentare e vivere in prima persona il nostro tema di studio.
È stato a questo punto, infatti, che abbiamo conosciuto Luigi. Lo abbiamo seguito fin dalla prima crepa sul guscio.
Nascita di un pulcino from Topipittori on Vimeo.
L’uovo da cui è nato il pulcino Luigi è stato messo in cova, il 7 luglio quando la scuola era chiusa, affidandolo a Teresa, gallina di mia proprietà. Luigi è nato il 29, 22 giorni dopo. Fin dall’inizio di questo progetto, mi ero proposta di portare un pulcino a scuola. Volevo però che i bambini facessero la sua conoscenza solo dopo la lettura del libro di Iela Mari, partendo dalle sue immagini e dalle immagini fotografiche da me scattate, della schiusa dell’uovo e della nascita di Luigi, e non direttamente dall'animale. Volevo che i bambini a partire dalle immagini potessero crearsi un mondo proprio di idee e aspettative, per poi toccare con mano la realtà e poterla confrontare. A posteriori sto valutando l'idea di una incubatrice per farli assistere direttamente alla nascita, ma sono indecisa.
Quando è cominciata la scuola, il 14 settembre, Luigi era molto piccolo. Attraverso le fotografie da me scattate i bambini hanno potuto conoscerlo, analizzarlo e seguirne i cambiamenti e la crescita.
Attraverso le mie foto, i bambini hanno compreso cosa significa il detto: “bagnato come un pulcino”. E anche osservato che, dopo alcune ore, Luigi era asciutto e già molto morbido.
Quando alla fine Luigi è stato abbastanza grande, è venuto a trovarci in classe per raccontarci qualcosa di lui, così i bambini hanno potuto osservarlo, e confrontare, conoscere e ipotizzare dal vero.
Quel giorno lo abbiamo tenuto con noi tutta la mattina. Quando in classe è entrata una vespa, Luigi ha cercato di prenderla e così i bambini hanno osservato una scena quasi identica a quella rappresentata in una immagine del libro di Iela Mari.
Un altro esempio: nel libro di Iela Mari il pulcino pian piano cambia le piumette vecchie con le nuove, di colore nero. I bambini hanno potuto osservare il cambio di piume: ma da gialle a bianche, perché da grande Luigi sarà un gallo o una gallina di colore bianco. Quando hanno osservato che la chioccia di Luigi è nera e non bianca come lui, ho spiegato loro che non si trattava della sua mamma naturale, ma adottiva (non senza riflessioni sull’adozione, argomento particolarmente vicino alla classe). Questa osservazione del piumaggio bianco e nero, ci ha portati poi a cercare i nomi di alcune razze di gallina con rispettiva localizzazione geografica. Abbiamo imparato la razza “a collo nudo” di Luigi, e quella delle ovaiole Shaver Black della mamma adottiva.
In quell’occasione i bambini hanno anche analizzato le zampe del pollo, le hanno toccate e paragonate a gomma. Li ha incuriositi anche il gozzo che hanno potuto toccare, comprendendo l’affermazione di Giorgia che «la gallina ingoia il cibo intero», osservando nella trasparenza della pelle il grano appena ingerito.
Hanno inoltre potuto sentire il naturale “cambiamento di voce” del pulcino che inizia a chiocciare o cantare, distinguendo quindi le diverse sfumature di significato dei verbi pigolare, chiocciare e cantare.
Dalle immagini, quindi, siamo passati a un apprendimento attivo per condurre i bambini a una condivisione dei saperi attraverso processi di riflessione, di pensiero critico e divergente, considerando i fatti passati e futuri da molteplici prospettive.
La prossima tappa ci porterà ad affrontare il concetto di casa attraverso uno studio propedeutico alla creazione e definizione dello spettacolo teatrale Escargot di Danila Barone e Antonio Panella, produzione Teatro del Piccione. Ai bambini verranno proposte immagini teatrali corporee e scenografie per stimolare una discussione sui pensieri evocati, per definire concetti di casa, movimento, forma, spazio e ritmo, mondo civile, ritmo naturale e memoria. Per l’occasione prenderemo in esame il silent book Chiuso per ferie di Maja Celija, edito da Topipittori.
Per approfondimenti su Rete di cooperazione educativa qui, e su Valentina Guastini qui.