Qualche tempo fa abbiamo presentato Il segreto delle cose, l'ultimo libro della collana di poesia Parola magica, attraverso il racconto della sua traduttrice, Marta Rota Núñez. Oggi ospitiamo María José Ferrada, autrice cilena di grande talento e successo internazionale, in un'intervista curata e tradotta da Lisa Topi.
Le illustrazioni del libro sono opera di Gaia Stella (quale altro segno avrebbe saputo dare un carattere tanto enigmatico alle cose?!).
Nei tuoi testi appaiono spesso gli oggetti, due i libri che ne fanno il centro e il titolo: El árbol de las cosas (A buen paso) e Il segreto delle cose (Topipittori). Nel primo le cose sono emblema del mistero, nel secondo hanno una vita autonoma, come esseri in corpo e spirito. Da dove nascono questo rapporto così intimo con gli oggetti e la tua pratica di osservazione?
Penso che qualcosa degli oggetti che usiamo quotidianamente - la nostra tazza, la nostra sciarpa, la nostra penna - rimanga sempre con noi. Una presenza sottilissima che i bambini riescono a percepire meglio degli adulti (un bambino non penserebbe mai che il suo peluche non gli faccia davvero compagnia). Mi interessa questo approccio animista perché fa del mondo un posto più gentile e accogliente. Viviamo in un’epoca in cui le grandi cose, le istituzioni che per secoli ci hanno accompagnato, come la politica o la religione, ci hanno lasciato soli. L’unica cosa che ci rimane è l’umile presenza degli oggetti amati e, forse, in realtà non c’è stato mai niente di più. Mi piace pensare che queste cose possano contenere l’enorme e l’infinito. C’è un libro di Banana Yoshimoto in cui una bambina orfana, che ha appena perso la nonna, riesce a tranquillizzarsi solo in mezzo agli oggetti della cucina, perché in essi ritrova il ricordo della nonna. Credo nel potenziale degli oggetti, nella loro piccolezza, più che in molte altre cose che a prima vista potrebbero sembrare grandi.
Il baule è il museo della casa: sono gli oggetti della tua storia famigliare e affettiva a parlare? O si tratta di un esercizio di ascolto da fare su qualsiasi cosa, preferibilmente da un occhio bambino in grado di capovolgere le proporzioni per cui una tazza può diventare una piscina e un cucchiaio ospitare un lago di zuppa?
Sono convinta che esista un legame tra gli oggetti e la memoria. Quando mi avvolgo con la coperta di mia nonna, mi sembra che sia lei ad abbracciarmi, anche se ora non c’è più. Ma quello che cerco è anche l’assoluta libertà del bambino che pensa “puoi dirmi che quella è una tazza finché vuoi, ma per me rimane una piscina per gente minuscola”. È un atto di profonda libertà definire il mondo attraverso il proprio sguardo invece di usare la definizione già data da altri. Questo gioco dei bambini rivela una grande profondità. Quando diventiamo adulti ce ne dimentichiamo e ci abituiamo ad accettare le definizioni altrui senza metterle in discussione. Insomma, in quanto a libertà i bambini sono i nostri maestri.
Dato che ti sei concentrata sui dettagli della casa che, potenzialmente, porterebbero a una catalogazione infinita, mi interessa sapere come sei arrivata a una lista circoscritta. Quando hai capito che la tua selezione rappresentava una raccolta organica e completa?
È il libro ad avvisarti una volta che è finito: quando ha un suo ritmo e quando leggendolo ti accorgi di aver detto tutto quello che avevi da dire. Il lavoro di selezione può richiedere anche più tempo della scrittura. È molto difficile escludere delle poesie che ami, ma che nel complesso non funzionano. La raccolta, come giustamente dici, deve essere organica, avere una sua cadenza che dipende, non solo da ogni singola poesia, ma da come ognuna contribuisce all’armonia dell’insieme.
Nel nostro blog spesso abbiamo ospitato riflessioni sull’uso della poesia a scuola, ti capita di lavorare con i bambini? Hai riscontri, pensieri, aneddoti da raccontarci al riguardo?
Sì, quando lavoro con Il segreto delle cose chiedo ai bambini di far finta che siano degli alieni appena arrivati sulla terra e, trovandosi davanti a degli oggetti mai visti, di descriverli in lettera a un amico rimasto sul loro pianeta. Giochiamo e, senza renderci conto, facciamo poesia. Per loro la poesia è naturale: quando sono concentrati nel gioco di far finta che le scarpe siano delle automobili o che un sasso sia una persona, stanno costruendo e vivendo le proprie metafore. In questo senso prendono la poesia molto più sul serio degli adulti.
Il tuo stile ha una connotazione fortemente visiva che si presta particolarmente all’illustrazione. Le poesie di Il segreto delle cose sono accompagnate da immagini di due illustratori diversi, Pep Carrió per l’edizione spagnola (El jinete azul) e Gaia Stella per quella italiana. Quando scrivi ti prefiguri mai la pagina illustrata? Qual è il rapporto della tua poesia con le immagini e come si risolve, poi, il confronto con il lavoro dell’illustratore?
Quando scrivo non prefiguro niente, mi piace lasciare libertà assoluta all’illustratore che dovrà creare una sua poesia visiva, come hanno fatto Gaia Stella per l’edizione italiana e Pep Carrió per quella spagnola. Questo libro si presta particolarmente bene alla rappresentazione figurativa e, proprio perché io mi concentro solo sulle parole, il risultato è sempre una sorpresa, una bella sorpresa.
Ci sono oggetti che hai escluso? Ce ne sveleresti qualcuno e il perché?
Scrissi questo libro nel 2010 per cui non ricordo tutte le voci, ma c’è un oggetto che non compare nel libro e che, se mi trovassi a fare una selezione in questo momento, escluderei ancora: il cellulare. Se, da un lato, il cellulare aumenta la nostra capacità di comunicare, dall’altro può allontanarci dalla forma di comunicazione più autentica, sottraendo spazio a cose importanti come andare a prendere un caffè per chiacchierare di argomenti qualsiasi, spedire una cartolina a chi è lontano o stare semplicemente al fianco di qualcuno in silenzio. Il cellulare sta cambiando il nostro modo di vivere, non so se in bene o in male, ci penso da un po’ senza avere ancora trovato una risposta.