[di Matteo Maculotti]
Succede tutto nel giro di pochi minuti. L’entrata in classe, il libro estratto dal mio zaino, i banchi spostati, l’invito a fare un semicerchio al centro dell’aula. Ora sono in quarta, e una bambina esclama di colpo che da molti anni non si erano più seduti per terra in quel modo, forse addirittura dalla prima. C’è una bella tensione nella sua voce emozionata e nell’aria, mentre apro il libro e comincia a diffondersi il silenzio.
Come spesso accade per le esperienze scolastiche più significative, l’idea è nata da un’imprevedibile mescolanza di caso, intuizione e voglia di sperimentare. Venti minuti alla settimana dopo le lezioni mattutine della collega e appena prima di scendere a mensa, anzi quindici, contando il cambio dell’ora e la sosta ai bagni. Impossibile pensare di cominciare una nuova attività da interrompere così presto, ma ancora più assurdo rinunciare a trasformare un breve intervallo in un appuntamento, un piccolo extra ricavato fra le maglie dell’orario settimanale. Ma come fare in modo che un avanzo di tempo possa diventare un momento davvero straordinario, capace di suscitare negli alunni il senso dell’attesa?
Ho accantonato quasi subito l’idea di un ciclo di letture di fiabe e racconti brevi, perché gran parte delle storie avrebbero richiesto due o più incontri per essere lette integralmente, e altrettanti almeno per sviluppare una discussione adeguata. Ho pensato allora di proporre un albo illustrato da leggere insieme un po’ alla volta, e poiché mi piaceva immaginare che i nostri mercoledì, fino alla fine dell’anno, sarebbero stati le tappe di un lungo viaggio in territori ancora inesplorati, ho sentito che il libro giusto per dare il via all’esperimento era La conferenza degli uccelli di Peter Sís. Presentato nel 2011 come il suo primo volume per adulti, e nel 2013 pubblicato in italiano da Adelphi nella collana di letteratura per ragazzi “I cavoli a merenda”, il libro è la rivisitazione di un antico poema persiano scritto nel XII secolo da Farīd ad-Dīn ‘Attār, un classico della letteratura sufi che narra la storia di una moltitudine di uccelli, guidati dall’upupa, che per trovare una soluzione alla profonda crisi in cui versa il mondo si mettono alla ricerca di un leggendario re perduto, Simurg, la cui sapienza non conosce limiti.
Un viaggio iniziatico verso l’ignoto, dunque, fra mari, deserti e valli che di pagina in pagina, nelle splendide figure di Sís, assumono contorni sempre più enigmatici, allegorici e metafisici, e un invito al confronto col linguaggio della poesia e della mistica, mirabile anche nella traduzione di Livia Signorini per densità, potenza e carica evocativa. Al di là dell’enorme risonanza attuale di questioni come la crisi planetaria e la ricerca di risposte a problemi che riguardano il mondo intero, molto sentite dai bambini che riconoscono di far parte di una generazione destinata a farsi carico di profondi cambiamenti, credo che il fascino antico e misterioso di questo albo sia un’ottima garanzia di coinvolgimento anche per gli alunni meno avvezzi alla lettura, e di conseguenza possa rappresentare un viatico per futuri incontri letterari. Non a caso Sís ha scelto di avviare il racconto con una metamorfosi che ricalca uno dei più memorabili incipit della letteratura di ogni tempo: «Una bella mattina, al risveglio da un sogno agitato, il poeta Attar si accorse di essere un’upupa…» (e chissà che in futuro, leggendo la novella kafkiana, a qualche alunno non torni in mente un lontano giorno di scuola!).
Di sicuro c’è da rimanere impressionati dalla loro ricettività e dall’attenzione che riservano ai minimi dettagli. Sto mostrando una doppia pagina che raffigura tutti gli uccelli del mondo riuniti in congresso prima del viaggio, e a un certo punto un alunno vuole sapere se l’autore li ha disegnati davvero tutti, e se c’è anche l’aquila. «Ma sì, eccola lì» gli rispondono subito un paio di compagni, indicando da due o tre metri di distanza una minuscola aquila che io non avrei mai notato senza di loro. Allo stesso modo ogni pagina con le sue frasi e figure, anzi ciascuna parola, ciascun particolare offre lo spunto per una comprensione che passa attraverso il dialogo e l’ascolto reciproco, e che a ogni incontro, proprio grazie al confronto con la classe, arricchisce la mia stessa esperienza di lettura. Non sto solo presentando ai miei alunni un albo che conosco già, sto soprattutto leggendo assieme a loro un libro nella consapevolezza di poterlo conoscere ancora più a fondo, come tutto ciò che ci circonda, alla ricerca di nuove risposte alle sue e alle nostre domande.
Sul secondo numero di Quarantotto, Michele Longo parla di albi illustrati a scuola come di «libri concepiti per essere letti da un adulto a un bambino che gli siede in grembo, formando una figura a tre fin troppo perfetta, che contiene un mondo, ma è anche al centro del Vasto Mondo», e facendo l’esempio della lettura di coppia dei bambini la definisce «un modo di stare in compagnia intorno o dentro un libro», cosa che penso sia vera anche per i momenti di lettura collettivi. Mi piace vedere nei libri che porto a scuola essenzialmente dei pretesti per stare insieme, e credo che questa idea, per quanto possa suonare un po’ oltraggiosa, sia feconda di implicazioni che vanno ben al di là di una concezione della lettura meramente strumentale, per cui essa sarebbe in primo luogo un esercizio o un mezzo per trasmettere informazioni. Pur senza negare le sue innumerevoli potenzialità didattiche, direi che concepire la lettura anzitutto come un fattore e uno spazio di relazione (all’interno del quale costruire poi la conoscenza) rende conto di una magia molto difficile da descrivere a parole, ma di cui chiunque ha fatto esperienza. Mentre l’ascolto, la sospensione dell’incredulità e la cadenza di una voce che viene da lontano avvolgono l’aula in un’atmosfera quasi irreale, il richiamo della storia, col suo appello all’ignoto e all’invisibile, pone ciascuno in profonda sintonia con gli altri, col proprio mondo interiore e col peculiare orizzonte di trasformazione che in certi racconti ricorda il linguaggio familiare e straniante dei sogni. Bastano allora pochi minuti perché la classe si trasformi in uno stormo di uccelli in volo.
Di settimana in settimana attraversiamo le sette valli che si susseguono nei capitoli centrali del libro, lasciandoci incantare dai loro nomi altisonanti (Ricerca, Amore, Comprensione, Distacco, Unità, Stupore, Morte) e dalle tante figure che affiorano sulla pagina come visioni. C’è l’uccello ossessivo che passa al setaccio la sabbia del deserto, impossibilitato a trovare la strada perché incapace di aprire il suo cuore al vento che spazza il vuoto, e più avanti l’uccello astrologo che traccia costellazioni effimere, scoprendo che il mondo «non è altro che granelli di sabbia». Nella valle della Comprensione ci soffermiamo a lungo sulla storia dell’uccello che si era perduto, finendo pietrificato perché nessuno lo stava cercando: una breve storia che fa venire a galla molte osservazioni e ricordi personali, perché a chiunque è capitato almeno una volta di sentirsi invisibile. Nella valle del Distacco apprendiamo invece che «qui un pesciolino è più possente di una balena, e nessuno sa perché»: qualcuno evoca l’astuzia di Ulisse con Polifemo, altri la lotta di Davide contro Golia. Poco oltre, nella verdeggiante valle dell’Unità, è un dialogo tra l’upupa e un uccellino demoralizzato a colpirci: il re degli uccelli, così sicuro e sprezzante all’inizio, sembra per la prima volta disposto ad ascoltare e confortare un compagno che ha bisogno di aiuto. Forse le difficoltà del viaggio l’hanno reso più sensibile e attento, perché ora i suoi consigli non suonano più come sentenze calate dall’alto, ma come le parole di un fratello che rivelano un aspetto inedito della sua regalità. Alla luce di questa intuizione la strada è spianata per l’incontro con la figura leggendaria della Fenice, cui ci appelleremo per superare indenni anche un tema tabù come la morte, e per approdare infine alla montagna che custodisce il segreto di Simurg.
Una fortunata coincidenza, poco prima delle vacanze di Natale, ci dona due ore libere da dedicare interamente alla lettura del finale, che altrimenti avrebbe dovuto slittare a gennaio. Sono due ore di completo rapimento, nelle quali possiamo dilatare all’inverosimile ogni minima suggestione senza timore di distrarci, e le più varie congetture si cercano e inseguono incessanti da un capo all’altro dell’aula. Sentendo la parola “illusione”, e vedendo il numero di uccelli assottigliarsi sempre più (come in questi giorni di quarantene e vacanze anticipate capita anche in molte classi, compresa la nostra), c’è chi insinua un dubbio che ci fa rabbrividire: «E se tutto il viaggio è solo un sogno degli uccelli morti?». Una bambina si alza in piedi di scatto, e con la stessa voce squillante, rotta dall’emozione, con cui un paio di mesi fa ha ricordato che da molti anni non si erano più seduti in cerchio per terra, rammenta che all’inizio della storia si parlava davvero di un sogno del poeta Attar, trasformatosi in upupa. Sembra passato un secolo da quei nostri primi quindici minuti di lettura. Stupore e smarrimento, mentre si fanno sempre più remote le speranze di trovare Simurg e le sue risposte decisive per il futuro del mondo, finché l’intuizione inattesa di alcuni alunni non ci avvicina alla meta: «Forse Simurg non esiste davvero, ma sono i luoghi del viaggio».
Ma cos’è quel grande uccello che appare quando al centro della montagna si apre uno specchio d’acqua, e «il sipario si scosta»? Siamo a un giro di pagina dalla rivelazione fondamentale, eppure c’è ancora spazio per un prezioso commento che ispirerà il lavoro di arte nel pomeriggio: il grande uccello sembra una stella, e come una stella cometa può indicare l’inizio di un nuovo capitolo, la nascita di una visione inedita, l’approdo a un’ottava valle… Numerosi alunni, del resto, fin dalla prima ora hanno caldeggiato la proposta di un disegno natalizio, e c’è anche chi mi ha confidato di aver chiesto a Babbo Natale una copia di La conferenza degli uccelli. Al rientro dalle vacanze proseguiremo l’esperimento con un altro libro, nei nostri ormai irrinunciabili quindici minuti alla settimana.