[di Cynthia Rose*]
Beatrice Alemagna nel suo studio di Parigi (fotografia di Jake Green).
Sono molte le cose che potremmo dire per descrivere un libro di Beatrice Alemagna, ma le parole da sole difficilmente le renderebbero giustizia. Alemagna, che è di origini italiane ma vive a Parigi dal 1996, ha pubblicato oltre quaranta libri e ricevuto numerosi premi in molti paesi. Tra questi il Premio Andersen Italia, il Best Illustrated del New York Times, il Best Children's Book della New York City Library, l’Huckeback Prize in Germania, l’English Association Book Award, la Gold Medal dell’American Society of Illustrators e, in Francia, il Grand Prix de L'Illustration e il Prix Landerneau. È stata selezionata dall’Hans Christian Andersen Award, il “Piccolo Nobel della Letteratura” e – per ben quattro volte – dall’Astrid Lindgren Memorial Award. Nel 2013, è stata ospite d’onore al Festival Lucca Comics.
Ma ogni libro prodotto da Alemagna è diverso dagli altri. Alle pareti del suo studio sono appese le parole IL ME SEMBLE QU'IL N'Y A PAS D'INVENTION SANS RUPTURE («Penso che non possa esserci invenzione senza rottura»). A ogni nuovo progetto, cancella la lavagna. «Il mio studio è un posto dove vado per sperare di crescere», ha detto alla collega illustratrice Delphine Perret, «per sorprendere me stessa e rompere ciò che rischia di pietrificarsi in uno stereotipo mentale… la ripetizione mi terrorizza». Nel suo lavoro non osserva rituali, ma ha una regola sempre valida: non ripetersi.
Dettagli di un nuovo lavoro per una mostra nel 2021 (Beatrice Alemagna).
Alemagna fa libri per bambini solo tecnicamente. Ogni suo libro è un nuovo tassello di un’opera che varia tanto quanto i suoi materiali, dalla pittura ai pastelli, alle matite, al collage. I suoi colori e le sue superfici richiamano Edouard Vuillard o Paul Serusier. Ma Alemagna potrebbe anche scegliere di lavorare a tinte piatte e con forme semplici. È una colorista creativa che predilige i contrasti forti e intensi e ha un senso molto viscerale delle texture. A catturare l’occhio nel suo lavoro è qualcosa di più grande dello stile. È la perfetta integrazione di ritmo, sentimento e disegno.
Alemagna è nata a Bologna. Sua madre, psicologa, e suo padre, architetto, hanno sempre incoraggiato le loro due figlie a disegnare. Già da bambina, Alemagna sapeva con convinzione cosa avrebbe fatto da grande. Una Balzac di sette anni, decise di diventare une peintre des romans, una pittrice di romanzi.
Ha studiato grafica all’ISIA di Urbino e, contemporaneamente, ha tenuto corsi di illustrazione - e trovato grande ispirazione nei libri per bambini pubblicati in Francia. Molti degli albi francesi che amava combinavano eccellenza e avventura – proprio come i suoi libri preferiti di Tomi Ungerer, Astrid Lindgren e Gianni Rodari. Così, nel 1996, Alemagna partecipò al concorso di illustrazione della fiera del libro per ragazzi di Montreuil. Dopo aver ottenuto il primo premio, si trasferì a Parigi, dove per un decennio si è mantenuta disegnando poster per il Centro Pompidou.
Il primo sketch di Beatrice Alemagna per Le cose che passano.
Per quanto fedele al cambiamento e al movimento, nulla di quello che fa Alemagna è creato frettolosamente. Vede se stessa principalmente «come una narratrice. Le parole sono uno strumento per me, tanto quanto una matita o un pennello. Se non trovo esattamente le parole che cerco, non riesco a vedere l’immagine. Per cui tutto ha inizio con il testo». Ogni nuovo progetto prevede un’intensa e approfondita fase di ricerca in cui riempie i suoi quaderni degli schizzi con commenti e storyboard. «Prima di iniziare un disegno definitivo, devo avere un’idea chiara in testa. Dev’essere sviluppato nei dettagli… faccio e rifaccio gli schizzi decine di volte». Se un’immagine non esce dalla sua testa per fissarsi sulla carta, per un po’ la lascia andare. Può abbandonarla per qualche ora o per sei mesi. «Potrei farlo, ma intestardirmi su una cosa non mi ha mai portato da nessuna parte».
L’ultimo libro di Alemagna, Le cose che passano (già tradotto in sei lingue), è una poesia sull’effimero. Tra una pagina e l’altra, un foglio trasparente mostra qualcosa che svanisce: capelli che cadono, pensieri neri che svaniscono, il fumo di una tazza di tè che evapora. La trasparenza si sovrappone all’immagine seguente trasformando ogni doppia pagina. Delle note musicali si fondono con le foglie di una pianta; delle lacrime si depositano sulla pelliccia di un gatto; il fantasma di un incubo scompare nella carta da parati.
Les choses qui s'en vont (edizione francese Hélium) e Le cose che passano (edizione italiana Topipittori).
Durante la quarantena, si è parlato molto del libro. Una libreria a cui Le Figaro aveva chiesto consigli di lettura lo ha messo al primo posto. «Tutti noi», ha detto l’intervistato «stiamo cercando un equilibrio nella nostra mente tra due idee diverse, l’idea della perdita e l’idea di ciò che troveremo dall’altra parte… in quest’ottica, il libro di Beatrice Alemagna è tanto audace quanto sottile».
Lo studio dell’artista compare in alcuni libri. Uno di questi, Les Ateliers di Delphine Perret e Éric Garault, è un elegante volume sulla creazione. L’altro, The Bookmaker's Studio di Jake Green, è un inno fotografico agli artisti che fanno opere per bambini. In entrambi, colpisce che nello studio di Alemagna manchi un computer. «Non l’ho mai usato; tutto è fatto con le mani». Questa settimana alcune restrizioni dovute alla quarantena sono state rimosse. Ma nella zona rossa che è Parigi, hanno riaperto solo negozi, chiese e cimiteri. Ho chiesto a Beatrice Alemagna come se la sta passando.
Cynthia Rose: Come ha influito tutto questo sul tuo mondo? Sei potuta andare nel tuo studio?
Beatrice Alemagna: Io vivo nel quartiere del Canal Saint-Martin, un quartiere che è diventato sempre più chic. Quando mi sono trasferita qui, venti anni fa, non era così. Sono fortunata perché, dopo aver lavorato per anni nel mio appartamento, ora ho uno studio sullo stesso pianerottolo di casa. Quindi, ho continuato ad andarci fin dall’inizio della quarantena. Ma, nonostante questi rigorosi pellegrinaggi, non sono stata affatto produttiva. Mi sentivo schiacciata dalla situazione e non ce la facevo… Ero completamente demotivata.
È stato un vero salvagente, comunque, poter uscire da questo piccolo appartamento parigino dove siamo sempre uno sopra l’altro – il mio compagno e le nostre figlie, di nove e quattro anni. In realtà, siccome a loro piace stare in casa, le bambine non si sono lamentate troppo del divieto di uscire. Ma sono ancora piccole e vogliono giocare. Per loro ogni momento è buono per costruire cose, giocare ai travestimenti… piantare noccioli di avocado sul davanzale.
La maggior parte dei creativi è abituata a lavorare in solitudine. Ma se non sei più immerso nel mondo che rappresenti… se non sei più in mezzo alle persone e la natura, è diverso. Per te com’è stato?
Trovo che la mia quotidianità non sia cambiata molto, anche se non vedo più i miei amici o non vado a passeggiare lungo il canale. Per me la cosa positiva – in una situazione che è comunque molto buia – è poter stare, per la prima volta, tutti i giorni con le mie figlie. Facciamo delle cose insieme e, soprattutto, non devo correre da una parte all’altra. Credo che fosse arrivato il momento di prendere un po’ di fiato. Questa è stata l’occasione per mettere in discussione tutte quelle cose che fanno rumore dentro di noi, ma che di solito non ascoltiamo.
Ritratto di Georgia O'Keefe (Beatrice Alemagna).
Quando è iniziata la quarantena, a quali progetti stavi lavorando? Hai dovuto cancellare o posticipare i tuoi piani o le tue consegne?
Quando è iniziata la quarantena non avevo libri in uscita; la maggior parte dei progetti attuali usciranno nel 2021. Questi, che sono ancora in fase embrionale, non hanno subito ritardi o cancellazioni, a parte un libro in Italia, A sbagliare le storie di Gianni Rodari, che è appena stato pubblicato, nel bel mezzo della tempesta Covid in Italia. Lo avremmo dovuto presentare alla fiera di Bologna, a marzo. Ma è uscito comunque. E forse potrà essere presentato lo stesso alla fiera di Bologna dell’anno prossimo in occasione dei nuovi festeggiamenti per il centenario dalla nascita di Rodari. Ovviamente, ho dovuto cancellare tutti i miei viaggi. Ma, come dicevo, non è stato troppo penoso per me… al di là delle circostanze economiche.
Per anni, ho sognato di potermi riposare un po’, per cui, in questo periodo, mi sono potuta concedere degli sfizi. Confesso che, adesso, l’idea di riperdere gli stessi ritmi di prima mi dà una sensazione di panico. Ci sto riflettendo seriamente. Sono capace di farlo? Lo voglio davvero? Senza dubbio ci sarà un prima e un dopo. E sono certa che, oltre alle ricadute politiche, sociali ed economiche, subiremo degli effetti concreti a livello personale. Influenzerà il rapporto di tutti noi con gli altri e la relazione di ognuno col proprio lavoro.
Sketch (Beatrice Alemagna).
Hai avuto difficoltà dal punto di vista logistico?
Ho avuto un momento di enorme apprensione. Perché, una settimana prima della chiusura totale, sarei dovuta uscire per comprare la carta che uso sempre. Invece ho rimandato l’acquisto fino al momento in cui, senza saperlo, era ormai troppo tardi. Quindi mi è venuto il terrore che non avrei potuto lavorare. Ma mi è passato quando ho trovato dei fogli sotto il tavolo del mio studio… Erano sepolti sotto scatoloni pieni di disegni e libri e ho cominciato a disegnare su una carta che in altri momenti non avrei mai pensato di usare. Questo episodio mi ha fatto ricordare qualcosa che sapevo già: la maledetta costrizione è fertile ed è un catalizzatore di creatività.
L’impedimento consente a un artista di trovare qualcos’altro – a volte è una questione tecnica ma può anche essere emotiva – di estremamente creativo. È come un bambino che userà qualsiasi stratagemma possibile per arrivare a una scatola di caramelle. Potrebbe essere anche posta molto in alto, fuori dalla sua portata ma, alla fine, in qualche modo troverà la maniera di prenderla.
Studi per un ritratto di Picasso nel 1957.
Il tuo lavoro mi fa sospettare che tu sia molto disciplinata. Hai notato dei cambiamenti nel tuo metodo?
Mi dispiace deluderti, ma non sono proprio per niente disciplinata! Non c’è il minimo ordine nel mio processo creativo o nella mia tecnica artistica. Tutti i miei tubetti di colore vengono maltrattati. Li spremo senza nessuna cautela o rispetto – sia verso di loro sia verso i pennelli che infilo tutti insieme nei barattoli… pennelli che sono sudici e inzuppati. Non ho grande riguardo per i miei strumenti. Per esempio, con puntuale disappunto, rompo spesso le mie matite e i miei pastelli.
Il tavolo da lavoro di Beatrice Alemagna a Settembre, al ritorno dalle vacanze.
Da anni, letteralmente, il mio tavolo da lavoro ha una corazza di sporcizia… è molto tenace e, probabilmente, ormai è diventata permanente. E no, non è lo stereotipo dell’artista in preda al delirio dell’ispirazione o del creatore in uno stato mistico. È solo l’effetto di un’immensa disorganizzazione e una specie di caos mentale che non ha mai fine… e che a volte può essere estenuante. E non ci sono stati grossi cambiamenti in questo periodo particolare. Mi viene in mente un’immagine che ti manderò: The Artist, The Solitary Artist, The Artist in Quarantine e The Artist After Quarantine (L’artista, L’artista solitario, L’artista in quarantena e L’artista dopo la quarantena).
Vorrei chiederti delle due serie che hai condiviso durante la quarantena. Una è composta da dettagli visivi di marchi della moda – immagini taggate con Rykiel, Hermes, Miyake ecc. L’altra da una schiera molto variegata di ritratti di artisti, tra i quali Keith Haring, Edvard Munch e Georgia O'Keefe... Fanno parte di progetti specifici o sono più un esperimento?
Sto facendo entrambi come una sorta di esercizio personale. È un modo di imparare da me stessa; di obbligarmi a uscire dagli schemi e dalle formule. So che certi schemi sono il “marchio” di un artista. Ma penso anche che possano diventare problematici. Ed è anche un modo per divertirmi! Mi piace disegnare senza avere un pubblico specifico, senza una narrazione a supporto delle immagini. Mi permette di arrivare dove di solito non arrivo quando, per esempio, sto facendo un libro.
Ritratto di Alexander Calder (Beatrice Alemagna).
Molto di quello che oggi passa per comunicazione si limita ai social network. Come li gestisci, ti fai aiutare da qualcuno o no?
Gestisco i social media abbastanza male. Spesso mi faccio monopolizzare, affascinare dalle vite degli altri. Come ogni artista, mi nutro di informazioni e immagini che trovo ovunque e in qualsiasi momento. Questa specie di nutrimento mi è certamente utile, ma mi porta troppo lontano rispetto a dove vorrei andare. Non aiuta affatto a velocizzare il processo creativo. Tutt’altro. Mi fa infuriare questa schiavitù a cui mi sottometto troppo spesso.
Ritratto di Gustav Klimt (Beatrice Alemagna).
Questo è un momento di riflessione per tutti, in cui il modo in cui agiremo determinerà come vivremo. In termini di lavoro e creazione, cosa pensi che cambierà per te?
Penso che adesso stiamo tutti cercando cose che abbiano un senso, non più futili. Negli ultimi anni non ho sentito il desiderio di acquistare niente. Anche comprare il pane è diventato uno sforzo (soprattutto da quando, come tutti, ho iniziato a farlo nel forno di casa mia). Perché le dinamiche di acquisto e produzione sono diventate più semplici… Spero che i ritmi a cui eravamo abituati cambino per sempre. Mi auguro di cuore che, anche nel mondo dell’editoria, la sovrapproduzione di libri possa diminuire per far spazio a lavori più essenziali, veramente necessari.
Progetto personale di Beatrice Alemagna dedicato allo stilista Tsumori Chisato.
In questo periodo, qual è stato il momento più inatteso?
La mia vicina di novantacinque anni, che vedo sempre alla finestra, era molto ansiosa di condividere una sua creazione. Si è fatta una mascherina anti-virus costruendo delle vere barchette di carta che poi si appiccicava sulla faccia. Mi ha fatto ridere, certo, ma, più che altro, mi ha ricordato che l’arte e la creatività a volte si trovano dove meno te lo aspetti… se sei in grado di vedere le cose intorno a te.
Aspettando Léon, olio su carta (Beatrice Alemagna, 2020).
Questo articolo è uscito su The Comic Journal, il 28 maggio 2020. La traduzione è di Lisa Topi.