Farsi specchio

Da mesi midomando che cosa mi affascini così dei disegni che pubblicoin questo post. Sono disegni di un grande artista, DavidHockney. Rappresentano probabilmente un punto di svoltadella sua carriera artistica e della sua avventura umana. Mala ragione per la quale mi colpiscono così profondamente mi èrimasta a lungo oscura. Ora penso di avere una risposta, per quantoabbozzata e approssimativa. E penso sia giusto cercare confortonella condivisione.


Non ho mai voluto bene alla mia maestra, la signora DeCesaris. Io, precocemente snob, la vedevo goffa e ridicola,con le sue gambette secche secche che reggevano un gransederone, un petto prorompente e una fluttuante pappagorgia. Misembrava che il suo aspetto fosse più adeguato a una "portinara"barelliana che alle aule della scuola elementare VeronicaGambara. E invidiavo a mia sorella la segaligna e severissimamaestra Languasco, che non metteva il cappotto neanche senevicava.


Addirittura, c'era in lei qualcosa di offensivoper la piccola carogna puritana che ero: una femminilità espressain maniera eccessiva e minacciosa, in aperta contraddizione con tantabruttezza. Anelli, bracciali e collane, occhi bistrati, rosso alle labbrae - nefandezza fra le nefandezze - unghie laccate. Tanto più incongrue,quelle unghie eufemizzate, in quanto non diverse da quelle che, grifagne,ti afferravano all'omero per scuoterti come un pupazzetto, se parlaviquando avresti dovuto tacere, tacevi quando avresti dovuto parlare,ignoravi quel che avresti dovuto sapere o sapevi quel che avrestidovuto ignorare.



Tutto il tempo che è passato non riesce a farmistare simpatica questa persona. Ma verso di lei provo oggi una immensagratitudine. Perché è stata lei, come un bravo maresciallo di fureria, aconsegnarmi l'ordinanza: le armi, le dotazioni, le divise, i complementi,le munizioni che uso tutti i giorni, ormai con una disinvoltura taleda non rendermene più quasi conto.


La signora De Cesaris, come tutte le suecolleghe dell'epoca, faceva imparare le poesie a memoria- by heart, come più correttamentedicono gli aglofoni. Ma nel suo caso quella delle poesie amemoria era una ossessione, una vera mania. Ce ne imponeva millee mille, della qualità più varia, facili come difficili, bruttecome belle, infantili come criptiche. Dalla pioggerellinadi marzo di AngioloSilvio Novaro (antenato del più noto Federico)al meriggiarepallido e assorto diEugenio Montale. E noi le dovevamo sapere. Leunghie erano minaccia.


Però io mi divertivo molto a impararle e mi ricordoancora il momento esatto in cui una frase poetica, un verso, entrandonella memoria, diventava parte di me. Non accadeva con tutte le poesie. Macon qualcuna sì. E una di queste mi è tornata in mente l'altra sera,mentre guidavo per le strade secondarie di una Brianza assediata daltraffico, interrogandomi sulla ragione per cui da settimane, ovunque vada,metto sempre nello zaino la copia del catalogo della mostraThe arrival of spring in 2013.

Specchio
Ed ecco sul tronco si romponogemme:
un verde più nuovo dell'erba che il cuore riposa:
il tronco pareva già morto piegato sul botro.
E tuttomi sa di miracolo:
e sono quell'acqua dinube
che oggi rispecchia nei fossi
più azzurro ilsuo pezzo di cielo,
quel verde che spacca la scorza
che pure stanotte non c'era.


È questo farsi specchio, questo avere una pazienza minerale,a dare a questi disegni - a questi versi - la potenza commovente diun io che si fa da parte e, facendosi da parte, fa sì che il disegnocessi di essere appropriazione del reale per diventare rivelazionedel vero. Mi confortano in questo pensiero le parole che ha dettoDavid Hockney in una recente intervista sul processo che lo ha portatoalla creazione di questi disegni: «Sono cinque diverse visioni di Woldgatee per ciascuna di esse ho dovuto aspettare che avvenisse uncambiamento. Alcuni disegni erano troppo simili ai precedenti e misono reso conto di essere stato impaziente. Dovevo aspettare uncambiamento maggiore. Penso che farlo sia stato molto eccitante:mi costringeva a osservare molto più approfonditamenteciò che volevo disegnare.»


Mi piace questo artista che si fa spettatore. Mipiace perché ne esce esaltato. Come da questo carboncino esceesaltato l'arrivo della primavera, che pure siamo così abituati aimmaginare si manifesti in «quel verde che spacca la scorza». Ciricorda Hockney che «secondo i cinesi, il bianco e il nero contengonoi colori, quindi deve essere vero.»


A margine:
[La poesia è di SalvatoreQuasimodo e l'ho imparata a memoria il 21 marzo 1970. Lasottolineatura è mia.]
[La mostra di DavidHockney ha chiuso i battenti il 1 novembre a New York, alla galleria Pace.]
[Di David Hockney avevamo già scritto qui.]
[Il catalogo del mostra mi è stato donato da ElhamAsadi, alla quale va una gratitudine immensa.]
[Sono debitore verso D. del germe della riflessionesull'io che si fa da parte, avendomi lei recentemente scritto: «Quandodisegno, non voglio essere io.»]