Fin da quando ero piccola

CaraAlessia,
ho letto le tue riflessioni sulblog di Radice-Labirinto, nel post Libroelegante, libro distante?.
Sono d'accordocon te: i librai hanno vita movimentata, come tutti coloro che sioccupano di libri. E sono anche d'accordo che l’idea di bambinoche ognuno possiede è la bussola con cui si traccia la linea diconfine fra libri per bambini e non.
Il tuo post toccamoltissime questioni, su tutte varrebbe la pena di riflettere, ma,essendo stata chiamata in causa, a proposito del libro L'uomodei palloncini, penso sia necessario fare, suquesto, alcune precisazioni. La tua analisi di L'uomo deipalloncini arriva dopo una serie di considerazioni che,a partire da quella centrale di 'nostalgia dell'infanzia' da partedell'adulto, proseguono con distinzioni fra poesia e prosa, e conl'identificazione del 'lirismo come insidia' che porta alla 'perditadi vista della trama e della realtà'. Al di là delle idee personalisu concetti generali, su cui si può essere più o meno d'accordo, inbase alle proprie convinzioni, formazione e cultura, voglio specificarealcuni punti fondamentali che riguardano il mio lavoro, che conoscobene e di cui posso parlare con sicurezza, grazie a un'esperienzaventennale di autrice e di lavoro editoriale, escludendo quello chenon mi appartiene e in cui in alcun modo mi riconosco.
Ilsentimento di nostalgia nei confronti dell'infanzia mi è estraneo(anche quello verso l'adolescenza). Provo grande interesse verso questeetà, che mi sembrano fondamentali nella vita degli individui. Bambinie ragazzi hanno, per me, pensieri, comportamenti e idee degni di estremaattenzione per la forza, la ricchezza, l'intensità, l'intelligenza, lospessore dei significati e dei valori che mettono in luce. Significatiin grado di mostrare aspetti rilevanti dell'esperienza umana, ancheadulta.
Non è una mia scoperta, ovviamente: tutti coloro chehanno studiato, educato e sono stati in compagnia dei bambini lo sannoe ne hanno fatto esperienza. 

Per quanto riguardala mia autobiografia, non ho nostalgia della mia infanzia, il che nonsignifica naturalmente che non abbia bei ricordi a essa legati e chenon mi capiti di provare nostalgia, come tutti, verso momenti passatilegati soprattutto a persone che non ci sono più. 
Da piccola mi è sempre interessato giocare, ma anche crescere,mi sono sempre interessati gli adulti, oltre che i miei coetanei. Forseanche perché ho la fortuna di avere una memoria del passato molto viva,questo da sempre. Capita che cose accadute quarant'anni fa mi sembrinovicine come il ricordo di una cosa accaduta ieri, il che rende il passatonon insanabilmente lontano, ma prossimo e presente. Questo mi aiutanello scrivere per bambini, non per volgermi al passato con rimpianto,idealizzandolo, ma perché mi dà la possibilità di recuperare esperienzeinfantili.
Pur avendo avuto un'infanzia e una adolescenzaagiate e tutto sommato serene, in una famiglia sufficientementeequilibrata e di buon senso, mi ricordo con estrema chiarezza che questeetà hanno comportato notevoli dosi di fatica, impegno, dolore, paura,coraggio, rabbia, disagio, e richiesto, per questo, molta energia. Nonè facile essere bambini e ragazzi per la semplice e buona ragioneche in quei periodi della vita non sai nulla e devi capire tutto, inun contesto adulto che afferma di sapere tutto e di non dovere capirenulla. Questo, anche se sei un bambino che vive in società e famiglieaccoglienti, benestanti e democratiche, non cambia di una virgola.
Tale concetto è particolarmente arduo da accettare da parte delmondo adulto che chiede alle generazioni giovani di restituirgli, incambio di cure, educazione e accudimento, una buona immagine di sé,e tende a chiudere gli occhi su tutte le manifestazioni dell'infanzia edell'adolescenza che destabilizzano la perfezione del quadro d'insieme,e che possono generare sentimenti ed emozioni non proprio accettabili,come dubbi, rabbia, fastidio, irritazione, indifferenza, stanchezza,senso di inadeguatezza o di colpa. Insomma il confronto generazionalenon è facile per nessuno, da sempre.

La maturità ritengo sia unaconquista: finalmente si è liberi di scegliere e di essere. L'infanziae l'adolescenza sono, costituzionalmente, età di grandi scoperte,cambiamenti, trasformazioni e inquietudini, ma non sono le età dellalibertà e delle scelte. Per questo i bambini vogliono, giustamente,crescere, e per questo gli si fa un torto se si impedisce loro difarlo.
L'uomo dei palloncini nascenon dalla nostalgia per la mia infanzia o un momento particolare diessa, ma dall'avere osservato, una sera di qualche anno fa, dallafinestra di una casa in una cittadina appenninica, un giovane uomoche faceva quel mestiere. Non mi ero mai soffermata su questo tipo dipersonaggio e quello che vidi quella sera mi accorsi che non era unsemplice venditore, ma una figura interessante che sapeva entrare inrelazione coi bambini e parlare loro, capirli. Questo mi interessòmolto: non me l'aspettavo, e rimasi a osservare quell'interazione perqualche ora, come fossi al cinema.
In seguito, pensandoalle ragioni per cui quella figura mi potesse avere tanto attratto,e dopo aver scritto L'uomo dei palloncini,testo la cui stesura avvenne nel lasso di tempo di due anni circa,ne misi a fuoco con chiarezza tre. Tutte sono legate a mie esperienzeinfantili. Siccome per i bambini le questioni fondamentali si esprimonosotto forma di domanda, in questo modo formulerò le tre ragioni.

1)    Come hafatto il mondo a esserci se io non esistevo? Come era prima?Ovvero c'è sempre un momento in cui i bambini scoprono questa realtà:e cioè che il mondo, e i loro genitori, non sono nati con loro. È unascoperta incredibile, proprio filosofica, anche perché in quel momento ibambini si rendono conto che il mondo potrà continuare a esistere anchequando loro non ci saranno più. Insieme a questo scoprono i concetti,impersonali, di tempo e di spazio.


2)    Come fa una persona chenon mi conosce a conoscermi così bene? Come fa a sapere chi sono, dicosa ho bisogno? Ovvero, ci sono adulti che pur non sapendonulla di noi ci conoscono benissimo e sono in grado di offrirci coseche nemmeno i nostri affetti più cari sanno darci. Questa è un'altrascoperta incredibile perché apre all'infinito l'orizzonte, limitato,della famiglia e della casa. Con questa scoperta si inizia a esserenel mondo.

2)   Come mai la notte il mondo non scompare, le cose non siannullano nel buio? Avevo osservato, le volte in cuiavevo accesso al mondo dopo le 9 di sera, che esistevano personeche la notte rimanevano sveglie, per lavoro, per esempio, ma ancheperché insonni. Pensai così che il merito della salvezza del mondofosse loro che non dormivano mai, e vegliavano sul sonno degli altri,permettendolo. Fu un grande sollievo. Immaginavo figure adulte di appoggioe responsabilità, figure di bene e saggezza che magari non conoscevo,ma su cui sapevo di poter contare. I miei mi proteggevano, ma c'eraqualcuno che a sua volta proteggeva loro.

Questa storia,perciò, non ha nulla a che vedere con la nostalgia, ma conesperienze infantili molto forti. L'ho scritta pensando a quantomistero quella semplice figura portasse con sé. Quanto un incontrodel genere, così apparentemente prosaico, l'acquisto di un oggetto,possa determinare un'esperienza significativa per un bambino, per ilquale, per esempio, le cose rivestono sempre significati immaterialie simbolici importanti. Vi siete mai chiesti, seriamente, perché ibambini, tutti i bambini del mondo, siano irresistibilmente attrattida venti grammi di plastica attaccata a un filo? O perché un bambinopossa metterci molto tempo a scegliere un oggetto assolutamenteinsignificante? Addirittura a volte un prodotto seriale, ugualea cento altri identici, ma nel quale sembra vedere fondamentalidifferenze?

Sono consapevole di essere stata unabambina pensosa e portata per la contemplazione e la riflessione sulmondo intorno a me. Ma questa è una caratteristica che tutti i bambinihanno, non mia esclusiva. Che i bambini abbiano questa inclinazionenaturale lo ha affermato e ripetuto per tutta la vita, fra gli altri,Maria Montessori. È quel tipo di caratteristica per cui di solito,appena una bambino esprime un pensiero di solito definito 'profondo',gli adulti cadono dal mondo delle nuvole, trovando assolutamenteincredibile che a quell'età si pensi in quel modo, come se a parlarefosse stato, fra lo sgomento generale, una scimmia o un canarino. Nonsolo i bambini pensano, ma come dichiara il titolo di un imperdibilelibro del maestro umbro Franco Lorenzoni, edito da Sellerio, Ibambini pensano grande. Cronaca di una avventurapedagogica.

Da piccola,alle elementari leggevo fumetti: da Topolinoa Diabolik (che trovavo un po'pretenzioso), da Valentina Mela Verde aiPeanuts. Essendo una bambina osservatrice miera chiaro che con numerosi miei coetanei potevo condividere le mieimpressioni sui primi due fumetti, molto popolari (oggi direi il 90%dei bambini); per trovare amiche con cui condividere il mio amoreper Valentina, la percentuale scendeva diciamo al 30%. Dei Peanuts, -ragazzini americani dal segno elegante, filosofici, caustici, pensosi,esilaranti, le cui storie non cominciavano e non finivano perché eranostorie fatte di situazioni e non di trama - potevo parlare con pochissimi,praticamente nessuno. Io conoscevo i Peanuts perché mia madre eraabbonata a Linus, rivista di nicchia che i più nonconoscevano. I miei non mi forzavano a leggerlo per farmi diventare unascimmia intelligente da esibire nei salotti radical. Semplicemente imiei erano curiosi, leggevano molto e di tutto, e la rivista girava percasa e io la guardavo e leggevo i fumetti che mi piacevano; gli altri,quelli che non mi parlavano, li lasciavo perdere, pensando cheprima o poi magari avrei avuto accesso ai loro misteri.
Non mi sentivo strana per avere, fra gli altri, anche gustidiversi: non mi importava non trovare qualcuno con cui parlare deiPeanuts. Se rimanevano una passione solitaria, coi miei amici potevoparlare di un milione di altre cose.

Senza paragonarmia Schultz, trovo importante che i bambini possano avere esperienzedel genere. Che vi siano libri che parlino loro con una voce che puòanche spiazzarli e parlare una lingua che ha regole diverse. Se scrivoIl grande libro dei pisolini o Al supermercatodegli animali sono, ovviamente, consapevole che avrò unpubblico più numeroso: temi, parole e rime so benissimo che rendono illibro più accessibile e godibile per tutti, facendo riferimento a un miogusto e a mie esperienze di bambina molto amate, allegre e condivise. Macome scrittrice penso sia interessante rivolgermi anche a quei lettori chehanno esperienze meno condivisibili e meno facili da capire, spiegare,affrontare, accogliere, esattamente come le avevo io. Per questo non miprecludo libri come L'uomo dei palloncini, come Lapiù buona colazione del mondo, C'erauna volta una storia o Casadi fiaba per dire qualche titolo davanti al quale hovisto inarcarsi più d'un sopracciglio.

Infine,due considerazioni: se qualcuno mi dice che a suo figlio è piaciutoun mio libro sono ovviamente molto contenta, ma con ciò non deducoin nessun modo che il libro piaccia 'a tutti i bambini'. E rimarreipiuttosto perplessa davanti a una riflessione che parta dal presuppostodi 'osservare il libro con gli occhi di un adulto'. Quale adulto? Forseme stessa? Difficile stabilire che in base alla reazione di un nonben definito adulto una storia sia mancata o riuscita, stabilendoil perché. Sappiamo bene che i pareri di noi tutti sui libri sonocontrastanti. Ma sappiamo altrettanto bene che esiste un modo piùimpersonale di valutare un libro, e che ci sono libri orrendi e libribuoni, al di là del fatto che ci siano piaciuti o meno, dato che lanostra opinione è relativa e soggettiva. Per giudicare una cosa bisognaconoscerla. E quello della conoscenza è un processo di avvicinamentoche richiede tempo, distacco e impegno.
Sforzarsi divedere con gli occhi di un bambino è meritevole, ma sempre tenendopresente che noi non lo siamo bambini, e quel bambino lo immaginiamosoltanto. Sotto numerosi giudizi dati a libri per bambini cova semprel'idea che i libri, per essere definibili adatti ai bambini, debbanopiacere alla misteriosa categoria dei bambini,test inequivocabile, che ne sancisce la leggibilità toutcourt. Come se non ci fossero gusti, inclinazioni, interessiche fanno di ogni bambino un lettore diverso, come avviene per noiadulti che a ogni passo invochiamo, fino destituirla di ogni senso,la famigerata bibliodiversità. Come se nonesistesse una possibilità di discorso critico, al di là dell'età,come se provare a uscire dal cerchio mi piace/non mi piace deibambini, fosse un sopruso inammissibile e antidemocratico. Come senon ci fosse un'idea di educazione. Quanti problemi da sbrogliare,quanta confusione su questi temi.

Ricordo un padre,a Più libri più liberi, fiera romana dalpubblico selezionato, che dopo essersi rigirato per le mani un libroper dieci minuti, decise di non comprarlo con questa spiegazione:«Troppo problematico, preferisco non mettergli in testa idee che nonha.» O una madre, pediatra, in cerca di un libro per il compleannodella sua bambina, che dopo aver ispezionato ogni millimetro diFilastrocca ventosa non lo acquistò: «Non vogliogettare un'ombra sul momento felice dello spegnere le candeline.» Quantoquesti due genitori stavano pensando al loro figlio come lettore e hannoeffettivamente valutato il libro al di là della riflessione 'fa beneo fa male'? Quanto quelle ombre e quelle idee sbagliate riguardavanoloro e non i loro bambini? Se empiricamente stabiliamo che a moltibambini piace di più il coniglio dei cereali Nesquik rispetto alleillustrazioni di Mattotti per Hansel e Gretel, cosasignificherà? Che i bambini sono più esposti a immagini pubblicitarieo che Mattotti non è un illustratore adatto all'infanzia? Che laNesquik ha sfruttato la popolarità planetaria di un celebre conigliodei cartoni animati o che la fiaba dei Grimm è inadatta a essereillustrata per i bambini di oggi perché propone loro un immaginarionegativo e spaventevole? Che il coniglio è rassicurante e proponeun'idea di infanzia positiva, allegra e condivisibile o che Mattotti èinquietante e distante perché ha elaborato un linguaggio visivo chenon ha tenuto in considerazione la visione delle cose dei bambini, masolo la propria? Qual è la visione delle cose dei bambini? Quella chestabiliamo noi? Quella che stabilisce la Nesquik? O quella che stabiliamonoi insieme alla Nesquik? Quella di Mattotti? Quella dei Grimm?

Possibile che quando si parla di libri per bambini ilgiudizio sia quasi invariabilmente vincolato a ragioni psicologiche eterapeutiche di fruibilità e così raramente a un discorso sulla cultura,l'educazione all'immagine, al segno, alla parola? Non è anche questomodo di vedere le cose che alla fine consegna l'idea di lettura in etàinfantile a pratica di puro intrattenimento con tutte le conseguenze delcaso? Eppure, come spiega impeccabilmente Lorenzoni nel suo bellissimolibro, in un capitolo magistrale sull'educazione all'arte, "i bambinisanno nutrirsi in modo straordinario del bello."

Si parla sempre, e aggiungerei quasi da non poterne più (e danon capire più di cosa si stia parlando), di diversità. Forse cosìcome dobbiamo rispettare e capire le differenze fra le persone, grandie piccole, dobbiamo capire quelle fra i libri.
Al di làdi L'uomo dei palloncini che leggitimamente puòpiacere o non piacere così come tutti i libri del mondo, forse questilibri 'eleganti' che ricorrono a parole e immagini che utilizzanoregistri 'altri' perché raccontano di esperienze 'altre', parlanoa bambini che nella vita di tutti i giorni fanno esperienze pococondivise, ma importanti sia per se stessi sia per gli altri.
Fin da quando ero piccola ho imparato che riguardo a certi temie modi di esprimersi, le percentuali si abbassano. Non è un problemaper me, mi colpisce sempre che lo sia per altri.