È passato un bel po' di tempo, dall'ultimo articolo a tema scuola apparso su questo blog. Ma in effetti, gli insegnanti che collaborano con noi, sono stati travolti dal nuovo anno scolastico, e dunque sono presissimi dalle mille incombenze che caratterizzano il corso delle loro giornate, perciò, giustamente, il loro tempo preferiscono dedicarlo ai bambini. Qualche giorno fa, però, sulla pagina Facebook di Enrica Buccarella, una delle nostre collaboratrici più seguite, è apparsa una riflessione che ci è piaciuta così tanto che le abbiamo chiesto se poteva cederla a queste pagine. La sua risposta è stata positiva. Leggetela, perché davvero merita.
[di Enrica Buccarella]
In un incontro che ho tenuto la settimana scorsa nella biblioteca di Castelfranco Veneto per il progetto Quanti libri!, fra coloro che assistevano c'era anche la mamma dei gemelli, miei alunni, due bei tipi tosti e svegli, che agiscono come la terza legge della dinamica, esercitando una forza uguale e contraria, 'na volta è uno che rompe e l'altro lo seda, 'na volta è l'altro... Insomma io facevo la mia bella esposizione... dico più o meno sempre le stesse cose, però sono cose in cui credo davvero, tipo, 'prima di fare il programma bisogna fare la classe' e io, dicevo, spesso faccio la classe proprio leggendo tanti libri. Allora, guardando verso la mamma dei gemelli, mi è venuto un sospiro di sconforto e ho detto: "Signora, mi dispiace a questo giro ancora non ci sono riuscita... ma ci sto lavorando, c'è tempo." E sì, perché ho realizzato che i bambini di quest'anno sono fortemente individualisti, ancora molto egocentrici... e mi sono venuti anche tanti altri pensieri: la mascherina, la distanza dei banchi, le raccomandazioni... Cioè, questi bambini non hanno nemmeno il compagno di banco! Quella cosa che si cercava di stare con l'amico che ti era più simpatico, che la maestra invece te lo metteva il più lontano possibile... non esiste più. In classe, ogni banco è un pianeta che ruota per conto suo, e ruota davvero pure senza le rotelle... Mai come quest'anno ho visto banchi ruotare, spostarsi, viaggiare e levitare che nemmeno nelle sedute spiritiche. Però, nonostante tutte le transumanze, poi i banchi finiscono sempre lì, isolati, circondati da quel metro che ti priva dell'amico del cuore, del quaderno su cui ogni tanto buttare l'occhio per vedere se hai capito bene quello che ha detto la maestra, del temperino con i mignons da provare a tutti i costi e che in un colpo solo ti fa fuori la matita nuova, trasformandola in un mozzicone col culetto rosso. Ecco che, cinque anni fa, in prima, scrivevamo il libro dell'amicizia con le parole gentili, e questi nuovi alunni, invece, si dicono cesso, cacca di zebra e puzone. Tristezza.
Poi, oggi, succede una cosa. Stiamo ultimando il nostro primo Museo (i miei percorsi didattici spesso prevedono la costruzione insieme ai bambini di piccoli, accurati musei), nato per soddisfare la richiesta di Davide, uno dei miei nuovi alunni, sostenuta a gran voce proprio dai gemelli. Visto che è un loro desiderio ho pensato che dovevo fare una cosa talmente carina ed efficace da sorprenderli, da conquistarli e fare in modo che pensino: "Che bello venire a scuola, solo qui si può fare una cosa così simpatica... conviene proprio volersi bene e fare le cose tutti insieme!"
Allora per realizzare questo Museo abbiamo letto un libro, ne abbiamo colto i suggerimenti e poi ognuno doveva inventare e raccontare una microstoria che io avrei registrato direttamente dalla loro voce. Registrare le storie è stato uno spasso, anche se in sottofondo si sente un po' di tutto. È stato facile quasi per tutti. Riham ha inventato una storia bellissima con protagonista Amir e si capisce che diventerà proprio brava con l'italiano. I tre pakistani avevano chiarissima l'idea di cosa dire, ma gli mancavano le parole. Per loro è stata davvero un'impresa. Ma mentre i due più grandi si sono adattati a ridimensionare la loro storia, la più piccola, Mahira, non ne voleva sapere di dire altro rispetto a quello che aveva immaginato, e non si arrendeva. E dopo una serie di tentativi che, ho scoperto, l'intera classe magicamente, senza accorgersi, ascoltava, facendo il tifo in religioso silenzio, è finalmente riuscita a dire esattamente quello che voleva. Allora, improvviso come un temporale, è scoppiato un applauso fortissimo, partito da Giorgio e seguito da tutti. E non un applauso di "Beh, adesso facciamo casino", ma un applauso vero, di gioia, di ammirazione, con sorrisi veri e felici. E Mahira, che è grande quanto il mio gatto, era lì, felicissima anche lei, fiera, che si beava di questo riconoscimento, tutta occhiali e sorriso, e non si decideva ad andarsi a sedere, a sottrarsi a quel momento di gloria. E così, oggi, per la prima volta dall'inizio dell'anno, ho visto dei bambini che stanno diventando compagni, che si sono immedesimati e hanno sostenuto uno di loro con la forza del gruppo.
Ecco, leggere libri fa la classe, immaginare e realizzare un progetto insieme fa la classe. E ce n'è ancora da fare. Però c'è speranza.