Parole, pensieri, poesia a scuola

[di Giulia Orombelli]

Mi è sempre piaciuto fare poesia a scuola, sperimentando con i bambini itinerari diversi. Credo che la dimensione di piccola comunità che si vive in classe sia straordinariamente fertile al “fare poesia”.

Il percorso tracciato nel libro Parole, Pensieri, Poesia è strutturato sui cinque anni, comincia fin dai primi giorni di scuola, in prima, quando la poesia entra in classe a cavallo delle filastrocche popolari, poi diventa poesia in prosa, esercizio di sguardo poetico, giochi di parole, pensiero metaforico e scoperta della grande poesia, fino agli autori moderni e contemporanei. Nello scrivere ho seguito un filo cronologico, in parallelo allo sviluppo delle competenze linguistiche ed espressive dei bambini. Sono partita dai loro quaderni, ripercorrendo la strada delle parole dalla prima alla quinta elementare.

Mi sembra importante, però, chiarire cosa intendo per poesia, quando sono i bambini che compongono e scrivono.

Rubo i versi a Giovanni, scritti un pomeriggio in cui aveva deciso che da grande avrebbe fatto il poeta. Sono ciò che intendo per poesia-bambina.

L’anno passato eravamo in quarta, stavamo “facendo poesia” e lui se n’è uscito con questa dichiarazione sul suo futuro adulto. Per dire la gioia creativa di certi giorni.

Quel pomeriggio Giovanni aveva scritto, per conto suo, otto piccole poesie come questa: brevi immagini, quasi epigrafiche. Forse, scrivendole, aveva trovato la sua voce, perciò era così felice. La cambierà crescendo, ma ora è quella che lui vuole pronunciare.

Non importa se da grande non farà il Vero Poeta, la sua voce creativa lo accompagnerà sempre e ovunque.

 

Durante un laboratorio per insegnanti che ho tenuto a Sfide, l’evento per le scuole e i docenti che si tiene a Milano all’interno di Fa’ la cosa giusta, mi sono divertita a fare l’analisi del testo di Picchio: più leggevo i versi di Giovanni più vi riconoscevo una certa bellezza compositiva.

La mania scolastica della comprensione e analisi del testo…

Per una volta è stato divertente rovesciare davvero la lezione: gli insegnanti al lavoro sulla poesia di un bambino. Ho pensato che smontare i pezzi dell’ingranaggio potesse servire a maestre e maestri per capire il funzionamento di un laboratorio di poesia.

L’ho letta più volte, con tono chiaro e non retorico, ma cercando di dare dignità all’immagine che Giovanni aveva creato. Poi ho fatto l’analisi del testo. Ecco le osservazioni fatte.

  • Non c’è la rima, prima grande “nemica” dei poeti-bambini, a mio avviso. Nel libro Parole, Pensieri, Poesia motivo questa mia opinione, benché, ovviamente, lavoriamo anche sulla rima.
  • A leggerla con attenzione, invece, la poesia di Giovanni ha ritmo. Secondo me, in poesia il ritmo è molto più importante della rima. Sui testi scolastici che si usano in classe, spesso, poesie e filastrocche sono ricche di rime, a volte anche scontate, a scapito della metrica e del ritmo.
  • Non c’è un tema universale (la pace, la libertà, l’amore …), né tantomeno un soggetto “poetico” (la primavera, gli uccellini, i tramonti…). Anche su questo insisto nel libro e soprattutto con i bambini durante il lavoro in classe: il Poeta si tiene lontano dai luoghi comuni, facili trappole in cui tutti cadiamo. Allenare i bambini a percorrere territori inesplorati e a cambiare direzione al pensiero credo sia uno dei fondamenti educativi e didattici del nostro lavoro di maestri. La poesia ci aiuta enormemente in questo.
  • La negazione “NON” è ripetuta quattro volte: una bella intuizione poetica. Giovanni parte dall’assenza per evocare quello che non c’è: il picchio e il suo lavoro. Se avesse scritto: “Sento il picchio che bussa …” la poesia non ci sarebbe.
  • La poesia si apre con una domanda, anche se l’autore non fa uso della punteggiatura (sulla quale, peraltro, insisto molto quando i bambini scrivono in prosa). Le domande in poesia piacciono da matti ai bambini e ci stanno bene, perché aprono e non chiudono. Questa in particolare è una domanda che viene da Pascoli e dice l’importanza della “biblioteca di versi” che i bambini interiorizzano a scuola. Giovanni non sa che forse la domanda gli è uscita anche perché qualche mese prima avevamo fatto L’assiuolo. Pascoli apre con: Dov’era la luna, ché il cielo notava in un alba di perla?

Frequentando la poesia dei poeti veri, si impara a giocare con i versi. Questi si annidano nella memoria e si risvegliano in alcune situazioni della vita, a volte ci soccorrono o per lo meno ci prestano le parole per dare forma a ciò che sentiamo. Ecco perché credo sia importante fare poesia a scuola.

La prima è l’anno delle filastrocche popolari, che oggi, a tanti, appaiono antiche e superate. I bambini invece ne sono entusiasti. Le imparano in classe, per contagio musicale, una a settimana. Al mattino vogliono intonarle tutte ed è un bel modo per cominciare insieme la giornata. Alcune sono accompagnate da gesti e movimenti del corpo, altre fanno ridere, molte non sono del tutto comprensibili. Ma non è importante, ciò che conta, a mio avviso, è il ritmo che le accende.

Ci sono tante altre buone ragioni per riscoprire le filastrocche popolari.

Vengono da lontano nel tempo, ci legano alle nonne e più indietro alle nostre radici, e questo i bambini lo avvertono, esattamente come accade con le fiabe classiche.

Vengono da lontano nel mondo e possono essere una straordinaria occasione di inclusione, proprio in quei primi mesi di scuola in cui si costruisce il gruppo. Aiutano la dizione, sciogliendo la lingua. Sono uno strumento utilissimo per chi viene da un altro paese e deve imparare l’italiano, ma anche per tutti quei bambini, oggi sempre più numerosi, che hanno difetti di pronuncia e disturbi fonologici.

Nel mio libro mi soffermo a lungo sull’importanza della scelta dei testi, sullo straordinario tesoro letterario che abbiamo a disposizione, spesso dimenticato dai libri scolastici “moderni”.

Non è raro trovare testi con cedimenti al buonismo e al linguaggio semplificato e “bambineggiante”, come se i bambini non fossero in grado di comprendere la bellezza vera, il linguaggio alto, i temi profondi. Il linguaggio poetico cresce con loro, non dobbiamo temere la complessità. Guidato dalle nostre domande maieutiche, il gruppo arriva a immaginare, vedere, comprendere, sentire.  

Più avanti, oltre al grande Rodari, che è davvero una miniera, e con lui tanti autori contemporanei, andiamo in cerca di versi nella poesia italiana dell’Otto e del Novecento, senza timore che i bambini non comprendano. Siamo noi ad accompagnarli, ma lasciando a loro il gusto della scoperta e della “fruizione creativa”.

La poesia, si sa, non denota, non precisa, non indica in modo esatto, ma convoca immagini, risveglia, esprime in modo vago. C’è posto per bellissimi dialoghi, ogni volta, nei quali le idee e i sentimenti di ciascuno vanno a completare l’apprendimento di tutti. Durante quelle conversazioni, i bambini costruiscono conoscenza in modo autonomo, semplicemente riflettendo in gruppo.

 

C’è una soglia da attraversare per accompagnare i bambini nel territorio della poesia d’autore, dunque per cominciare un laboratorio di poesia. Una cornice di silenzio e semibuio che è utile per poter abbandonare quello che si stava facendo e lasciarsi trasportare dalle parole. I versi emergono da questa penombra di silenzio. I bambini “vedono” la poesia e immaginano. Poi si accende la luce e si apre il dialogo. L’ascolto, la lettura e la comprensione dei versi dei grandi poeti portano in classe la bellezza, accendono la riflessione e conducono in profondità. Solo dopo si inventa e si scrive, prima insieme, poi da soli.

Imparare con la poesia, dunque, non è la stessa cosa che imparare una poesia. È molto di più. Si può entrare in una poesia come si entra in un quadro: i versi dei grandi poeti ci regalano straordinarie occasioni per comprendere il mondo e le sue contraddizioni, per leggere dentro noi stessi, per dare forma a quello che proviamo, per guardare alle cose con occhi nuovi. 

Da quei versi, nello spazio di libertà espressiva che noi possiamo regalare ai bambini, si leveranno tante piccole voci poetiche. Come quella di Giovanni dedicata al Picchio o come quelle di Riniera e di Giada che riporto di seguito.

Eravamo in terza e avevamo lavorato sulla primavera. Come scintilla avevo usato l’immagine di un mio cugino fotografo.

New life from pain, Lorenzo Ceva

Dopo il dialogo e le osservazioni personali, avevamo composto una poesia collettiva. Nel mio libro racconto quanto è importante creare e comporre insieme e quanto è utile didatticamente il lavoro collettivo di tutto il gruppo.

Poi avevo chiesto ai bambini di provare a comporre da soli, con l’unico espediente di rivolgersi alla Primavera dandole del tu.

Le voci di Giada e Riniera sono molto differenti, proprio per questo mi piacciono ancora oggi: a distanza di anni mi raccontano quelle due bambine diverse.