[di Giorgia Atzeni]
Nel 2021, con un ombrello multicolor, come Mary Poppins sono atterrata in piedi sul piazzale di un Istituto tecnico industriale, la cui popolazione studentesca è prevalentemente maschile. Per la precisione mi incastro nel Triennio di “Costruzione del mezzo aereo” che, detto così, Top Gun spostati! Sento di meritarmi un meme dedicato, in sella a una Kawasaki GPZ900R.
Il nuovo murales del writer Manu Invisible sulla facciata d’ingresso dello Scano
Unico scopo è, come urla la scritta di Manu Invisible sulla parete all’ingresso della scuola: la (d)istruzione, ovvero smantellare, disarmare, rompere le righe di un drappello di quasi o ultra-maggiorenni nerboruti e, per dirla con Franco Lorenzoni, introdurre “la necessaria inutilità dell’arte” in un contesto in cui gli appassionati della futile materia artistica si possono contare sulle dita di una mano. La vera impresa in questo hub, in cui gli studenti amano la supply chain o sviluppano le doti del fissare rivetti e saldare piastre di metallo, è “educare” contro un vento di Maestrale che soffia forte il motto “viva gli studi di meccanica ed elettrotecnica, perché questi sì che offrono opportunità di lavoro. La storia medievale non serve e i classici oggi cosa ci insegnano?”
Immagine tratta dalla pagina Instagram @foundandchosen
Che ci faccio qui, dunque, con lo spolverino pieno di taschini stracolmi di letteratura, poesia e arte? Come posso riportare, o condurre per la prima volta, questi giovani tra le Muse?
Il modo è tutto da definire, pur convinta che il vaccino LMA (letteraturamusicaarte) messaggero possa avere un effetto sovversivo contro ogni rassegnazione o passività. Attraverso gli scrittori e gli artisti che non temono brutture, anzi le affrontano con orgoglio e creatività, provo con loro a immaginare un mondo diverso, sempre più nostalgico di bellezze come rifugi e baluardi interiori da contemplare, sia in senso estetico sia umano.
È ora di inocularlo anche ai più riluttanti.
Dopo un ingresso da leonessa, grazie al magico libro di Bernard Friot, Un anno di poesia e con il famoso trolley zeppo di ritratti di uomini e donne illustri, di cui ho già detto nel precedente post, la Atzeni, seppur promossa prof di ruolo, deve “ripetere”, come nell’eterno ritorno, “ogni anno, l’anno” immaginando però di trovare nel tascone davanti sempre nuovi chiuski per catturare l’attenzione dei più refrattari a perifrasi e parafrasi. Mannaggia a te, Doraemon! Mi hai illusa. Hai rovinato la generazione X.
In generale, a scuola ci s’incontra in una stanza in cui almeno la metà degli adolescenti non ha nessuna voglia di stare lì, stranito come un sordo. Ogni giorno, bisogna trovare la forza per dirsi, empaticamente, le parole giuste. Perché senza ascolto non c’è armonia. Ascoltarsi è mettersi in relazione e non sempre si parla la stessa lingua. Ma al tecnico succede che la prof umanista si esprime per analogie, per ossimori, per allegorie, inseguendo “il mondo delle idee”.
Mentre loro, i pragmatici, interessati soprattutto alla soluzione dei problemi concreti, seguono la logica del fare o aggiustare con le mani. Ci incontreremo mai su qualche pista?
Questo il tema ma, per spiegarvi meglio, è di scena la metafora del volo, soprattutto se in aula le orecchie sono sensibili al suono dei motori aerei. Se il carburante ce lo permette, essa si adatta alla perfezione al nostro giro del mondo in circa 180 giorni. L’anno scolastico non è forse un viaggio da fare con lo zaino pieno di buoni propositi, strategie didattiche, storie, parole, domande e risposte, progetti, contenuti, sorrisi e lacrime amare?
Si decolla a settembre e si atterra a giugno: posto unico, fila centrale o di fianco al finestrino. Per sbirciare fuori, di tanto in tanto.
L’aula è un microcosmo: ai docenti capita a tiro un coacervo di anime ancora acerbe in cerca di identità e il gruppo classe non è mai a nostra immagine e somiglianza perché è un organismo complesso. Essa può ricordare un’ampia fusoliera i cui posti a sedere sono assegnati in modo casuale a persone tutte diverse. Non si può scegliere il proprio compagno di fila, né conoscere il pilota in anticipo, né scendere in volo. Si scaldino, dunque, i motori! Chi c’è, c’è.
Immagine tratta dalla pagina Instagram @foundandchosen
In questo habitat bizzarro devi creare lo spazio per l’incontro e contribuire, secondo quando dice l’art. 3 della Costituzione “al pieno sviluppo della persona umana”, rimuovendo gli ostacoli come si fa “con una ruspa”.
A metà settembre, il mio sguardo è perso, simile a quello di una hostess alla ricerca di occhi attenti al briefing di sicurezza pre-decollo e si prosciuga rapidamente quando perde ogni speranza di incontrare almeno uno studente ai piedi dell’ermo colle.
I controllori di volo verificano che tutto sia in regola per raggiungere le piste d’atterraggio. A volte i passeggeri approdano più volte nella stessa classe, perché i respinti alle superiori non sono pochi nonostante gli studi di John Hattie, nel campo delle evidenze in educazione, trovino una forte correlazione tra ripetenti e il fuggifuggi dopo il primo biennio.
La rete delle relazioni, sempre mobile e mutevole, è spietata e condiziona il clima di ogni classe. Ma se alle medie “chi fa epica” è accolto come una rockstar, nell’istituto tecnico industriale, se insegni italiano e storia è tutto una specie di odi et amo a ritmo alternato: ecco, arrivi tu, la pesantezza! Tu credi di essere una lanterna volante, la prof della materia distensiva. Ti sbagli!
Certo, cori da stadio e vuvuzelas, se gli concedi di mangiare le patatine mentre leggiamo La vita nova e scopriamo che Beatrice ha ghostato Dante nel turbinio di un amore, ai loro occhi, ridicolo.
“Figo prof, lei se la tirava proprio!”
Piovono invece critiche sul tuo “metodo d’insegnamento” se “Su ragazzi, via gli smartphone, c’è la prova scritta!”. Parte subito la “mano a muraglione per nascondere i diabolici dispositivi” (Valentina Petri docet) e il coro a tenores “Non ci abbiamo voglia, bim borom bò, non è possibile, baram bim bà prof, qui si scrive tutti i giorni, biraaaam bài!” (fosse vero!)
Se la povertà educativa è ampia, a me spetta accorciare le distanze con la poesia, come fa l’aereo.
“Chi vi leggeva le storie quando avevate cinque anni?”
Se la risposta non è soddisfacente, parte subito la predica.
“È importante ascoltare da una viva voce una fiaba, indispensabile per affrontare la paura di perdersi nel bosco o di incontrare il lupo e appagare il bisogno di meraviglioso. Ascoltando le storie, viaggiando nell’inverosimile, si accoglie il nascosto, l’oscuro, il doloroso. A teatro quante volte ci siete stati?”
Così poggio sulla cattedra, modello espositore, alcuni volumi pop-up. Necessari direi, per ripartire dall’ABC. Perché i libri belli son belli, anche se sono per i bambini.
Sappiamo bene che alcuni genitori, per sopravvivere al trantran quotidiano, sottovalutano il sano bisogno di evasione dei più piccoli dotandoli presto di uno smartphone. Perché come dice Rodari, nel mondo della produttività, le fiabe sono altamente improduttive come l’arte e la musica; e con l’immancabile “Un attimo prof, faccio record su Candy Crush”, siamo solo ai rulli di partenza!
Insomma, vi pare possibile parafrasare La Vergine cuccia di Parini se fra i banchi la “stagione della caccia” è trendy o parlare di Winckelmann, se manca il link mentale al “Discobolo di Mirone” o all’”Apollo del Belvedere”?
Però, almeno i muscoli ci sono! E i maschietti ci tengono a mostrarli.
La prof Atzeni imita gli antichi alla Gispoteca del Canova, Possagno.
Studenti in posa neoclassica.
Non può che scattare il momento mimesis: li chiamo a turno per formare il gruppo scultoreo del Laocoonte, idra e figli compresi, davanti alla LIM. Cosa mi tocca fare per trovare un aggancio tra la loro “favola dell’invincibilità” e l’indefesso spirito neoclassico di chi, come me, è certa che l’unica via per diventare grandi è imitare gli antichi.
“Prof, ma perché l’arte è piena di gente nuda? Sotto i vestiti siam tutti nudi, no?”
Tra un cambio d'ora e l'altro, come Carletto, il principe dei mostri (manga di Fujiko Fujio, come la serie anime Doraemon), sfrego le mani sul volto per attivare il sorriso più smagliante - o quello a denti stretti- e mi immergo in una routine che deve "spostare il baricentro" alla ricerca del silenzio, per "ascoltare forte" e introdurre nell'angusto bagaglio studentesco parole nuove, utili a ripensare la propria interiorità.
Con ieratica flemma e compassione - intesa come arte della telepatia delle emozioni e intenzioni - indagando cada die sugli effetti positivi della contemplazione, mi munisco di nuovi tricks ogni mattina da ormai circa tre anni per far passare i contenuti dall’uscita di emergenza. Un giorno scatta la lectio magistralis quiz con Kahoot. Un altro c’è il mazzo di carte Dante, gioca con i dannati, ideato da Beniamino Sidoti per Giunti.
“Oh prof, io ho Filippo Argenti, malvagità 9!
“Vinco io: sono Lucifero! Cattiveria 10!”
Se la somministrazione dello “sciroppo di teatro”, invenzione recentissima dei pediatri, non ha salvato molti dei nostri studenti dalla “carenza di vitamina C(ultura)”, anche la distribuzione della memoria e della capacità di fare silenzio è stata dalle mie parti ingiusta e arbitraria. Memoria è alloggiare in uno spazio in cui si sta fermi e zitti, per l’appunto. E loro sono loro: i nostri alunni irritabili e impazienti, alcuni dei quali non hanno mai comprato nemmeno il libro di storia e che non comprerebbero - sempre per citare la mitica Valentina Petri - un libro nemmeno se fosse la guida galattica per ripetenti con tutte le domande e tutte le risposte a tutte le domande. La scrinscioterebbero, al massimo. Sono giovani affamati nella versione “la mia non è proprio fame di conoscenza ma voglia di panino con kebab!”. Son stanchi alla sola idea di stare seduti per sei ore ad ascoltare tanta teoria perché desiderano - fischiando forte come Heidi ragazza delle Alpi, per protesta, quando abbandonano l’edificio al suono dell’ultima campana - far la pratica.
Noi vogliamo avvitare, svitare, limare, aggiustare, avvitare, svitare, limare, aggiustare. Azioni declinate all’infinito. Appunto!
Per rinfrescare le idee, aspetto il rigenerante soffio di Grecale che li convinca al classico “dai, memorizziamo qualcosa! oggi studio assistito”, per esempio la biografia di Jacopo da Lentini o Guittone.
“Prof ma che nome è?”
“Qual è l’ultimo libro che avete letto?”
“Qui siamo allo Scano, prof! Nessuno legge, non gliel’hanno detto?”
Scatta allora il gioco dei pacchetti, ovvero Affari vostri!, in diretta streaming dalla cattedra. Compro classici a prezzi stracciati nel mercatino rionale della domenica, glieli incarto e si procede con l’estrazione. Si sbarazzano degli involucri e, come fossero Baci perugina, mi affido alla speranza che apprezzino i lunghi messaggi composti da Verga, Pirandello, Kafka, Allan Poe, Borges, Svevo, Deledda.
In un secondo momento qualcuno, timidamente, inizia ad appassionarsi e mi mostra, tronfio, la copertina del suo nuovo acquisto: “Bukowski, prof. Il mio preferito!” Un miracolo dal gusto estremo!
Quei ragazzini sono stati bambini fragili, poco amati o “curati”, lontani da orecchie attente, in contesti in cui il senso estetico è trascurabile, nell’arido ambiente di chi “i libri cosa sono?” Me lo chiedo di continuo.
Forse son quelli che, per non finire al Professionale, scelgono il Tecnico - propedeutico alla Facoltà di Ingegneria - pensando che qui sia tutto molto più facile?
Non sanno a cosa vanno incontro, perché anche per affrontare le materie tecniche la teoria è essenziale. Ed è subito Salon Des Refusés.
Chi è passato per la scuola sa che ci sono tanti ostacoli difficili da rimuovere, tra cui le barricate. Noi fermi e distanti alla cattedra e loro dietro al banco su cui giacciono, impilati l’uno sull’altro, zaino, astuccio, quaderni, squadre e chi ne ha più ne metta! L’importante é stare nascosti in trincea per dedicarsi ad attività para-letterarie.
Mentre tu racconti che gli incunaboli, inizialmente, avevano pagine di pergamena e che la carta, inventata in Cina, è stata introdotta in Europa solo nel XII secolo, quando gli Arabi conquistarono Sicilia e Spagna, loro son capaci di smontare un quaderno e trasformarlo in palline o aeroplanini di tutte le fogge, che Jirō Horikoshi[1] in confronto è un principiante!
“Aeronautica, prof: fa parte del programma!”
Se alcuni insegnanti old school resistono nell’impianto dello “spiega-interroga”, sistema che accontenta l’utenza più irriducibile, non puoi non arrenderti al mantra: “Prof, le ha corrette le verifiche? Quando carica i voti?”.
“I voti? Adesso accontentatevi delle mie correzioni! Ricopia il testo seguendo la penna rossa!”
Si impara sempre insieme e “non si insegna contro”. Il rosso è solo: stop, rifletti! Quindi cambio spilla di nuovo. Smonto l’aula e via col circle time, spazio di apprendimento collettivo! Mettersi in gioco è molto più difficile che lasciare tutto come è da copione.
Immagine tratta dalla pagina Instagram @foundandchosen
Scuola è anche scardinare certezze o abitudini vecchio stampo e svuotare le tasche adolescenziali, colme di smartphone ma prive di logica, concetti, libere associazioni e immaginazione.
Chi ha bisogno di maggiori attenzioni?
Proprio coloro che ci sfiniscono per contratto. In realtà non si dà mai troppo spazio al singolo alunno. Ognuno con le sue peculiarità, che ci piacciono molto o per niente. È più facile amare meno quelli che hanno più bisogno d’aiuto. Quelli più faticosi. Che si muovono di più, che gridano di più, che non sanno concentrarsi. Talvolta nessuno ascolta, né i ragazzi ma soprattutto noi insegnanti. Gli adulti in generale. Così si alzano i toni.
Alcuni ragazzi vogliono discutere le regole imposte, di ciò che in fondo gli adulti decidono per loro, perché non sempre ciò che gli si propone dalla cattedra li soddisfa.
Forse potrei abbandonare lo stile multicolor e ripristinare quello con una predella alta almeno due metri, magari istoriata con scene del primo canto della Divina Commedia. Forse potrebbero apparire in classe anche Apollo e il Parnaso. Dall’alto dell’Olimpo, misticamente, impartirei la lectio magistralis con impegno, eleganza, usando linguaggio forbito.
Oppure potrei introdurre il modello a Botola! Questa più che una cattedra è un accessorio del pavimento dell’aula, sottostante il mobile. Ogni alunno è provvisto di telecomando e se la prof è noiosa, non piace o urla troppo, schiacci un bottone, si apre la botola e CIAONE.
Il nostro ė un lavoro che espone a frustrazioni molto grandi ma è anche una tensione positiva quando sai di dare un piccolo contributo per far sì che tutti possano farcela!
Le mani sono più democratiche della mente, per questo l’esperienza del fare è la più potente. Si sceglie il tecnico perché va maggiormente nella direzione del calcolo e della quantificazione: gli studenti sanno riconoscere schemi e lavorano con simboli astratti. Hanno bisogno di visualizzare, si perdono nei dettagli. Ecco perché soffermarsi sulle immagini premia: l’importante è evitare quelle due parole messe in fila sul manuale. Per questo ci esercitiamo con la scrittura collettiva o l’ekfrasis.
Le parole nascono da immagini, sono la soglia!
Quindi, in fondo, gli insegno arte ma non ditelo a nessuno. Insomma, lo sappiamo, questi benedetti ragazzi tutto vogliono fare tranne che LEGGERE! E allora io li frego. Porto a scuola libri senza parole.
Questo lavoro, utile per stimolare la verbalizzazione e riflettere, si può realizzare coi silent book anche nella scuola superiore.
“Ma prof, libri senza parole? Mai sentiti. Faccia un po’ vedere…”
Uno dei miei preferiti è “Migrando” di Mariana Chiesa Mateos che ci permette di affrontare un tema sempre caldissimo dalle nostre parti: i flussi migratori.
In questo bellissimo volume, pubblicato da Orecchio Acerbo, i volatili si mettono in moto per cercare nuove terre così come i nostri connazionali, a inizio Novecento, su bastimenti carichi per le Americhe.
L’esperienza degli avi è a confronto con quella odierna dove carrette del mare solcano il Mediterraneo stracolme di magrebini, eritrei, curdi, yemeniti, sudanesi, pakistani, per raggiungere le coste europee.
Osservando le tavole, si possono raccontare tante storie diverse secondo il proprio sentire e il lessico disponibile nel bagaglio a mano. È incredibile, ma vengono fuori tanti libri diversi quanti sono gli studenti.
L’acqua dell’Oceano mare, quello raccontato da Crialese in “Nuovo Mondo”, separa e unisce terre e destini come nel viaggio di due giovani senegalesi su un barcone al cinema nel film diretto da Matteo Garrone in “Io, Capitano!”, film che non ho potuto non proporre nel corso di questo anno scolastico, coi sottotitoli. Così, guardiamo film impegnati in lingua originale: se vogliono capire i dialoghi devono leggere. E così lo fanno per due/tre ore senza accorgersene.
Al cinema con gli studenti per la proiezione di “Io, Capitano!” di Matteo Garrone.
Intendere è pure sapersi esprimere. È necessario osservare gli affreschi, sfogliare un libro miniato, un erbario, un bestiario, lavorare dentro l’immagine che si traduce in parola, imparare a imparare, ponendo domande, che sono la luce. Come scintille.
Anche il libro manoscritto può diventare un bellissimo gioco. Fonte di numerosi aneddoti figurati, la miniatura propone scenette - a tratti anche esilaranti - come pure è interessante l’Arazzo di Bayeux, noto anticamente come Telle du Conquest. Il tessuto, ricamato nel secolo XI, racconta la l'invasione dell'Inghilterra da parte dei normanni ed è una miniera di informazioni visive anche per la storia navale.
Per poter articolare un pensiero coerente e gentile, è necessario avere dimestichezza con la sintassi italiana. Meno parole si conoscono e più è difficile articolare un pensiero. «Le parole danno forma al pensiero», come saggiamente dice il Manifesto della Comunicazione non ostile.
Per rendere più evidente la modalità con cui si può giocare possiamo mettere in campo le Parole del cuore, quelle desuete, Parole brutte o anche ostili, Parole professionali, Parole promiscue (regionalismi), Neologismi. Hate words, che hanno (ahinoi) larghissima fortuna tra gli adolescenti.
L’aula è come un’incubatrice e il sapere pratico e progettuale o il lavoro di squadra deve rendere i ragazzi e le ragazze più umani.
In tutto questo la fretta non aiuta. Direi quasi, molto meglio “fare meno”, lasciando il tempo per il respiro, anche trovando il tempo di perdere tempo, decollando controvento, come nell’esperienza educativa di Lorenzoni. Sbagliamo ogni volta che non pensiamo allo spazio e al tempo che occorrono per includere tutti. Con lentezza, come i granelli di sabbia nella clessidra.
Tornando, come una goccia insistente. Tante volte, sempre sulle stesse cose, sperando di non annoiare, impiegando strategie didattiche sempre diverse.
Per incidere, in modo che ognuno trovi la sua pista d’atterraggio.
E, infine, come si fa col pilota che ti conduce a destinazione, applausi!
[1] Protagonista del film di Miyazaki “Si alza in vento”